LA CANNES DEI GIUSTI - ASPETTANDO GODARD, I SOLITI DARDENNE CON LA SOLITA COTILLARD PIAGNENS E I SOLITI MOVIMENTI DI MACCHINA: AI CRITICI È PIACIUTO MOLTO - DIVERTENTE E BEN DIRETTO “QUEEN & COUNTRY”

Marco Giusti per Dagospia

Cannes ottava giornata. Fermi tutti. Oggi arriva Jean-Luc Godard con "Adieu au langage". Siete avvisati. Intanto il film dei Dardenne con la Cotillard eroina proletaria è piaciuto praticamente a tutti i critici internazionali. Magari qualche appunto si potrebbe fare. Anche perché l'accoppiata Cotillard+Dardenne sviluppa da subito, già sulla carta, lacrime e camera a mano che inquadra le spalle della protagonista.

E il film è esattamente così. Prevedibile fino al minimo movimento di macchina, alla battuta telefonata dieci secondi prima. Certo questo "Deux jours, une nuit", scritto e diretto da Jean-Pierre e Luc Dardenne, è giusto e necessario per questi tempi, pensando alla crisi e ai tanti che hanno perso o stanno perdendo il lavoro, spesso venduti per un piatto di lenticchie dai loro stessi simpatici colleghi pezzidimerda che non conoscono non diciamo la lotta di classe, ma nemmeno un sano principio di solidarietà.

Sappiamo tutti di cosa stiamo parlando e la forza del film è proprio quella di raccontarcelo per tutti noi, con Marion Cotillard nei panni di Sandra, madre e operaia di una piccola fabbrica, che si ritrova cacciata per una votazione maligna dei suoi stessi compagni di lavoro, magari indirizzati un po' dal padrone. Preferite Sandra o un bonus di mille euro? Mica male, mille euro, altro che le 80 euro di Renzi...

Così i sedici operai votano per i mille euro, capisci, ne abbiamo bisogno?, ma c'è una possibilità. Una nuova votazione il lunedì mattina e Sandra, assieme al marito, Fabrizio Rongione, ha due giorni e una notte, il weekend, per convincere almeno nove dei suoi compagni. Il film la segue nel suo complesso viaggio di convincimento personale di operai che non se la passano tanto meglio di lei. E attraverso la sua fragilità, è appena uscita da una brutta depressione e si bomba di xanax, e lo sfogo continuo con il marito.

"Sono sola", "Sono stanca", "Non mi ami più", "Io non sono più nulla". Frasi che sentiamo davvero nelle famiglie tutti i giorni. E non ci salveranno né Renzi né Grillo. Perfetto nello sviluppo del dramma e nella costruzione della storia, con tanto di scomparsa di un sindacato, di un partito comunista, di un vero appoggio morale della comunità, il film dei Dardenne è esattamente quello che i tempi richiedono, un sano studio sul lavoro, sulla depressione della sua perdita, sulla possibilità di un risarcimento umano nella ritrovata solidarietà.

Porta al festival un po' di realtà dell'Europa delle classi più popolari (alla faccia di Grace di Monaco), anche se, certo, vedere l'attrice più pagata di Francia nei panni dell'eroina sofferente, in giro con la spallina del reggiseno a vista, la maglietta rossa, il jeans sdrucito e lo stivaletto, ci convince un po' meno. La Cotillard inizia a piangere dopo dieci secondi di film. Mentre tira fuori dal forno una torta e sente l'amica Juliette al telefono.

Piange quando arriva il marito. Piange quando si fa di xanax e sente le canzoni tristi alla radio. Piange quando si sente un verme a rompere i coglioni a gente che se la passa pure peggio di lei e non sa cosa dirle. A mariti e mogli di suoi compagni un po' stronzi. E i Dardenne non si inventano mai, ma proprio mai, un movimento di macchina che non sia dardenniano e ultraprevedibile, fissando alla perfezione il neo in alto, sulla spallina, di Marion, che è bravissima, per carità, e magari stavolta, dopo aver riempito di lacrime ogni anno lo schermo di Cannes, ce la farà a ottenere il suo premio, ma ai critici più cinici e senza cuore, magari a quelli che non hanno ancora perso il posto di lavoro, può dare anche parecchia noia.

Certo, applausi giganti alla fine del film, quando Marion grida al marito e a noi tutti "Sono felice", perché ha alzato la testa, e la macchina da presa dei Dardenne finalmente si ferma. Na fatica a seguirla.

Veramente molto divertente, ben diretto e costruito, con attori per noi inediti, ma di grande freschezza, "Queen & Country" del vecchio John Boorman, ottanta anni neanche portati troppo bene, primo film in dieci anni, finito alla "Quinzaine", ma che poteva forse aspirare al concorso. Non è altro che il sequel del più ricco e ugualmente notevole "Hope and Glory" dello stesso Boorman. Entrambi autobiografici, il primo si svolgeva nella Londra sotto le bombe del 43, questo esattamente nove anni dopo, nel 1952, quando il regista era diciottenne e passò due anni di complicata vita militare.

Il suo alter ego è Bill Rohan, interpretato da Callum Turner al suo esordio sulle scene, che finisce nel vortice di ferree regole dell'Esercito Britannico da digerire e trasgredire assieme a un nuovo amico, Percy, Caleb Landry Jones, di fronte a ufficiali e sottufficiali che credono fermamente alla Regina e alla Patria, come il sadico sergente maggiore Bradley, interpretato con ironia da David Thewlis, e il più umano Maggiore Cross, cioè Richard E. Grant. Ma sono anche gli anni dei primi amori e i ragazzi sono vergini, e sognano Jane Russell.

Bill prende una cotta per una donna dell'alta società, che lui ribattezza Ophelia, cioè Tamsin Egerton, e Percy per la irriverente e libera sorella dell'amico, Dawn, Vanessa Kirby, che fa il bagno nuda e il fatto di darla un po' a tutti le ha portato due figli e nessun marito. Bill ha però un altro amore, il cinema, visto che abita vicino agli studi Shepperton e va al cinema a vedere i capolavori del tempo, come "Rashomon" di Akira Kurosawa.

Non è un film di grandi mezzi, come era "Hope and Glory", girato ben 27 anni prima, ma la scrittura, dello stesso Boorman, è di grande livello e di grande ironia. Basterebbe la scena dell'incoronazione di Elisabetta, vista in diretta tv dalla casa di Bill, con un nonno che seguita a fare battute sulla famiglia reale. Molto amato dal pubblico in sala e dalla stampa inglese, è il film più divertente del festival aassieme all'argentino "Relatos salvajes", appena comprato dalla Lucky Red.

 

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