CIAK! IL CINE-SORPASSO DI PECHINO: GLI INCASSI AL BOX OFFICE SUPERANO QUELLI NEGLI USA - IL FILM CULT "L'ULTIMO LUPO" QUALCHE ANNO FA SAREBBE STATO VIETATO MA IL REGIME HA APPRESO LA LEZIONE DI HOLLYWOOD

1. NUOVO CINEMA PECHINO

Giampaolo Visetti per “la Repubblica”

 

CINEMA PECHINOCINEMA PECHINO

In sala silenzio assoluto. I cinesi al cinema trattengono il respiro. Negli occhi solo neri, puntati sullo schermo 3D, si riflette la necessità di carpire il segreto del futuro. Sedere qui è già il marchio di un successo. Imax di Chaoyang, tra i grattacieli di Pechino: due ore in fila per un biglietto, tre giorni di lavoro per pagarlo, popcorn esclusi.

 

Nelle metropoli il weekend non lascia alternative: migranti esausti vagano tra i miraggi dei cellulari, giovani colletti bianchi si perdono tra i sogni dei film. Proiettano il blockbuster uscito per il capodanno lunare: “L’ultimo lupo”. L’ha girato il francese Jean Jacques Annaud ma è tratto dal cinese“Il totem del lupo”, romanzo cult da 25 milioni di copie, scritto da Jiang Rong.

 

Sentirsi parte del popolo che va al cinema, nei giorni in cui i leader rossi erano riuniti nell’Assemblea nazionale, non è stato un atto sovversivo. Alla nomenclatura dice però che i cinesi oggi vogliono vivere come gli occidentali. Certe scene di amore, di violenza e di sesso, non passerebbero il filtro della censura sulla televisione di Stato. Sul grande schermo invece, gli affari sono affari, l’occultamento politico della vita si ammorbidisce.

Per andare al cinema, in Cina, prima di tutto ci si mette eleganti. Le poltrone sono rosse e i profumi sono forti. “L’ultimo lupo” è un evento e le probabilità che associargli l’aggettivo «storico » non suoni ridicolo, sono medio-alte. La trama è, come si dice a Pechino, «sensibile».

'ULTIMO LUPO'ULTIMO LUPO

 

Lo studente Chen Zhen, all’inizio della Rivoluzione culturale, viene spedito in Mongolia per civilizzare le tribù dei nomadi pastori. Undici anni di condanna per scoprire che al contrario sono i colonizzatori han (l’etnia prevalente in Cina) ad avere tutto da imparare da un mondo intatto. Non riuscirà a fermare la furia dei rivoluzionari comunisti, che distruggono i templi buddisti e sterminano i branchi dei lupi. Sceglie però di adottare l’ultimo cucciolo, atto estremo di rifiuto contro un potere che può legittimarsi solo cancellando sia la cultura che la natura.

 

Centinaia di ragazzi guardano e tacciono. Sono commossi e stentano a credere che questo film, così gonfio di metafore politiche, sia proiettabile in Cina. Si interrogano sulle ragioni e su possibili svolte non annunciate. Sul perché il partito abbia concesso la regia ad Annaud, bandito nel 1992 come «anti-cinese» dopo aver girato “Sette anni in Tibet”, sullo sfondo dell’occupazione maoista.

 

«I produttori della Beijing Forbidden City — racconta il regista — mi hanno detto che la Cina è cambiata e che i cinesi adesso sono gente pratica. Che avevano bisogno di me perché non sanno fare quello che faccio io». Assicura di aver ottenuto «una libertà assoluta e inspiegabile». La massa che in queste ore preme al botteghino, in tutto il Paese, spiega qualcosa e autorizza l’azzardo dell’aggettivo “storico”.

 

film cinese milanofilm cinese milano

In febbraio, per la prima volta, gli incassi al box office in Cina hanno superato quelli negli Stati Uniti. Le sale cinesi hanno guadagnato 650 milioni di dollari, rispetto ai 640 di quelle americane. Nella settimana delle ferie l’incasso è arrivato a 270 milioni.

 

Oltre che da “L’ultimo lupo” le casse sono state sbancate dai cinesi “L’uomo di Macao” e “La lama del drago”, dagli stranieri “The Hobbit” e “The hunger games”, ognuno capace di raccogliere tra i 35 e i 104 milioni di dollari. Nei primi dodici giorni il film di Annaud è stato visto da 12 milioni di cinesi, 80 i milioni incassati. Nessuno aveva previsto già nel 2015 il sorpasso Cina-Usa anche al cinema, fissato tra otto anni. Invece si è già consumato e sebbene il primato sia circoscritto ad un mese, ricco in Oriente e povero in Occidente, le conseguenze economiche e culturali si annunciano enormi.

 

Il morso imposto alla censura e al protezionismo dal presidente Xi Jinping, che ha aumentato da 20 a 34 le opere straniere importabili ogni anno, rivela come il partito abbia appreso la lezione di Hollywood: i valori del cinema diventano i valori del popolo e chi fa sognare la gente ne conquista, oltre che i soldi, anche cuore e cervello.

 

film cinese in italiafilm cinese in italia

Il “caso Cina” è impressionante. Nel 2007 per 1,4 miliardi di cinesi c’erano 3mila schermi. I 316 milioni di statunitensi potevano scegliere tra 40mila. In sette anni solo una tra queste cifre è mutata: gli schermi cinesi sono esplosi a 25mila. Saranno il dop- pio entro il 2025. Ogni giorno in Cina vengono aperti tre nuovi cinema, di cui uno Imax. Gli spettatori crescono del 22% all’anno e nel 2014 il box office interno ha superato i 4,5 miliardi di euro, rispetto ai 900 milioni del 2009. Il terzo miliardario più ricco del Paese si chiama Wang Jianlin e il suo Wanda Group possiede 150 sale e 1300 schermi 3D.

 

E’ il primo gestore mondiale di cinema e, acquisiti i diritti tivù del calcio europeo, sta completando la scalata a Hollywood. Cinesi sono anche i più grandi studi cinematografici del pianeta: gli Hengdian World Studios, 300 chilometri a sudovest di Shanghai, coprono 2500 ettari e vantano 13 set. In vent’anni sono stati girati qui 1200 film, più che in California e che nell’indiana Bollywood. Hengdian era un villaggio con di 8mila contadini. Xu Wenrong, ex bracciante di risaia, 80 anni, lo ha trasformato nel più grande centro di produzione contemporaneo. Girare un film in Cina costa un decimo che negli Usa, quindici volte meno che in Europa. Pechino al cinema supera dunque Washington non solo per giro d’affari, ma anche per opere prodotte e proiettate.

 

Lo spostamento del video soft-power è tale che nemmeno censura e propaganda rappresentano più un problema. L’industria cinematografica occidentale ha un bisogno disperato di accedere al pubblico asiatico. I tagli imposti da Pechino, che un tempo facevano gridare all’«inaccettabile sfregio», vengono definiti oggi «doveroso rispetto delle sensibilità nazionali ». Molti, pensando ai botteghini cinesi, si auto-censurano prima di girare. Il resto dei produttori di Usa e Ue tagliano a comando, invocando «aggiustamenti dettati del business globale».

 

Il punto è semplice. Negli Stati Uniti gli spettatori calano e invecchiano, assieme alle sale minate da web e pirateria. In Cina gli schermi esplodono, chi va al cinema si moltiplica ed è sempre più giovane. La solitudine di 400 milioni di migranti nelle megalopoli e l’incubo dello smog, che scoraggia qualche bella passeggiata, contano. Dalle origini però il cinema nasce e va forte nei Paesi di successo, con l’economia in crescita, dove la gente guarda al domani con la fiducia di poter realizzare il proprio sogno.

 

film cinese al fontanone di romafilm cinese al fontanone di roma

A questa regola la Cina aggiunge il messaggio più importante: per “esigenze di mercato” l’immaginario del mondo e quelli che si usano definire i “valori dell’Occidente” diventano sempre più cinesi, come nel Novecento, grazie a Hollywood, da europei si fecero statunitensi. Pechino ha capito che il cinema, con la cultura che esprime, vale molto di più dell’industria e delle auto che esporta. Nelle trenta sale Imax di Chaoyang la censura questa sera lascia che migliaia di increduli ragazzi vedano gli stessi sogni del resto del mondo perché il “nuovo Mao” sa che la Cina li sta nel frattempo acquistando e si appresta a rigenerarli. I nuovi consumisti cinesi, come i coetanei americani ed europei, nonostante tutto credono nella civiltà occidentale: non appena anche la rappresentazione di essa sarà made in China, la migrazione del pensiero dominante dall’Occidente all’Oriente sarà consumata.

 

Il profilo dei buoni e dei cattivi cambia, dopo i soldi tocca alle idee. Qui il pubblico resta in silenzio anche quando dal cinema esce nelle luci della notte, accolto dai botti di feste infinite. “L’ultimo lupo” insegna il valore della libertà, ma prima la potenza del branco. Non è un caso che la Cina oggi lo veda prima dell’America.

 

2. MARCO MULLER: È IL MERCATO DEL FUTURO, IMPARIAMO A CONOSCERLO

Maria Pia Fusco per “la Repubblica”

 

«NON possiamo ancora definirlo un cambiamento epocale soprattutto perché quest’anno il Capodanno lunare è arrivato tardi, nella seconda metà di febbraio, tutti vanno al cinema ed è il periodo in cui escono i film più popolari, difficilmente esportabili. Però è comunque una notizia importante».

marco mullermarco muller

 

In partenza per Pechino, dove è impegnato con il Festival in programma dal 16 al 23 aprile, Marco Müller, ex direttore della Mostra del cinema di Venezia e del Roma Filmfest, commenta così il fatto che il box office cinese a febbraio abbia superato quello americano. « The man from Macao 2, il maggiore incasso, è un poliziesco calibrato sul pubblico cinese e il protagonista Chow Yun- Fat è una delle star più amate».

 

Tra i primi incassi però c’è anche L’ultimo lupo di Annaud.

«Certo, ed è importante, perché è un film intelligente, senza uso di effetti digitali. Ma è interessante anche il secondo titolo del botteghino, Dragon Blade di Daniel Lee, un film che avrebbe tanto voluto fare Aurelio De Laurentiis, sullo scontro tra l’impero Han, la seconda dinastia cinese, e una legione dell’antica Roma, in cui Jackie Chan e John Cusack si battono senza esclusione di colpi, adatto anche al mercato americano».

 

Quanto inciderà a livello internazionale?

«Ci saranno vantaggi per tutti, ma dobbiamo imparare a conoscere il mercato cinese. Molte major lo stanno facendo. Un esempio è Hunger games. La Lion’s Gate ha scommesso sul mercato cinese tanto da scegliere la Cina per la prima mondiale e hanno avuto ragione: il film è tra i maggiori incassi di febbraio. Una cosa sicura sarà che nei film americani il cattivo non sarà mai più un cinese».

 

Secondo Annaud L’ultimo lupo segna il cambiamento in Cina. È d’accordo?

marco muller direttore della esima mostra del cinema di venezia marco muller direttore della esima mostra del cinema di venezia

«Se non ne fossi convinto non avrei accettato l’incarico di dirigere il festival di Pechino invece che quello di Shanghai, anche se è più complicato perché si lavora all’ombra del governo. Però voglio provare a piccoli passi a ottenere aperture. A Shanghai avrei dovuto trattare con le autorità locali che poi avrebbero dovuto consultare Pechino. Molti cineasti scelgono Shanghai pensando ci sia maggiore libertà. Lo pensavo anch’io, ma è un errore: a decidere è sempre il governo centrale».

 

Che ruolo ha nel festival di Pechino?

«Curo la selezione internazionale, ho un contratto di cinque anni, mi occupo di una trentina di film in anteprima mondiale, Lavoriamo con un comitato organizzativo affiancato da un comitato esecutivo, che è l’ultima istanza, quella che tratta con la censura. Ho proposto anche film italiani, ma saprò solo la prossima settimana quali sono stati approvati».

 

Qualche direttore di Festival europeo teme che il festival di Pechino possa danneggiarli.

«Dopo il 23 aprile avrò una riunione con le autorità cinesi per capire come regolarci per il futuro, quali cambiamenti di rotta dare e con che velocità. E soprattutto ragioneremo sulla scelta di date che non siano in conflitto con Cannes o con Venezia».

 

Il timore è economico. La Cina è ricca, può strappare ospiti e star… 

muller testo muller testo

«Il budget è di 10 milioni e mezzo di euro, che, con gli altri benefit, arriva a una cifra che in Cina vale 17 milioni di euro. Sì, è un Festival ricco, ma a me interessa soprattutto potenziare il mercato. È la ragione per cui ho deciso di tornare a vivere in Cina per buona parte dell’anno, dopo averla lasciata nel 1975. Ed è quello che mi chiede la maggior parte dei produttori e distributori con cui sono in contatto».

 

 

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