IL CINEMA DEI GIUSTI - GRANDE CAST, GRAN FOTOGRAFIA, GRAN RISCHIO SONNO: “SYNECDOCHE, NEW YORK”, USCITO NEL 2008 E DISTRIBUITO ORA PER RICORDARE PHILIP SEYMOUR HOFFMAN
Marco Giusti per Dagospia
“Synecdoche, New York” di Charlie Kaufman.
Ci ha colpiti tutti la morte di Philip Seymour Hoffman, uno degli attori più amati della sua generazione e che ben rappresentava, nei suoi film, le contraddizioni e le nevrastenie di un’epoca. “Synecdoche, New York”, scritto e diretto nel 2008 da Charlie Kaufman, geniale sceneggiatore per Spike Jonze e Michel Gondry, alla sua opera prima, che esce adesso in Italia come a ricordo dell’attore scomparso, ci porta un’altra prova della grandezza di Philip Seymour Hoffman, ma non si può dire un film del tutto riuscito.
Pensato per la regia di Spike Jonze e poi passato a Kaufman, sotto la produzione esecutiva del primo, con un bellissimo cast che va da Samantha Morton a Jennifer Jason Leigh, da Catherine Keener a Emily Watson, ha tutte le complessità dei suoi copioni senza possedere la leggerezza di un Jonze o di un Gondry. Al tempo aveva diviso totalmente la critica, tra chi lo riteneva il miglior film del decennio, come Roger Ebert, e chi uno dei peggiori della sua stagione. Certo alla Sony, che sborsò 20 milioni di dollari e ne incassò solo 3, se ne ricordano ancora.
Quando lo vedemmo a Cannes nel 2008 al termine di un festival lungo e faticoso, malgrado fosse aspettato col più grande interesse, fu per quasi tutti una cocente delusione. Se l’oscurità dei copioni di Kaufman, pensiamo solo a “Se ti lascio ti cancello” o a “Essere John Malkovich”, trovavano nelle visionarie messe in scena di Michel Gondry e Spike Jonze una sorta di traduzione vitale per immagini, qui erano solo appesantite dallo stesso neoregista in una sorta di dedalo di costruzioni intellettualistiche una sull’altra che opprimevano clamorosamente lo spettatore.
Magari oggi il film, specialmente pensando alla morte assurda del suo protagonista, e alle sue affinità col regista teatrale che interpreta, Caden Cotard, ci potrà apparire in maniera diversa, ma allora, tra l’uscita sfortunata a Cannes e quella in sordina in America nell’ottobre del 2008, venne generalmente classificato come un capolavoro mancato, una sorta di “L’anno scorso a Marienbad” non riuscito zeppo di citazioni junghiane e con un titolo impossibile che gioca sul senso di sineddoche, cioè di un piccolo particolare che rappresenta il tutto.
In questo caso il piccolo particolare è rappresentato dalla cittadina di Schenectady, New York, e dalla vita di tal Caden Cotard, cioè Philip Seymour Hoffman, un regista teatrale che sta passando davvero un brutto momento. La moglie Adele, Catherine Keener, lo ha lasciato portandosi via la figlia assieme all’amica Maria, Jennifer Jason Leigh, per andare a Berlino, dove farà la pittrice. Contemporaneamente Caden scopre o pensa di avere una brutta malattia degenerativa che lo sta portando rapidamente alla morte, ma condita da ogni genere di fastidio fisico.
Ma già il suo cognome, Cotard, riporta alla sindrome di Cotard (esiste), cioè un disordine neuropsichiatrico che ci porta a sentirci in disfacimento fisico e mentale e a vedere malattie dove non si ha nulla. Caden scopre anche di avere una specie di stalker, Sammy Barnathan, il grande Tom Noonan, che lo segue da vent’anni. Tutto questo nella prima parte del film, la più tranquilla e lineare. Perché nella seconda, Caden decide di mettere in scena la sua vita con tutte le sue complessità e attori che interpretano le persone più importanti che ha incontrato dentro un grosso capannone di New York.
E lì nasce una sorta di situazione pirandelliana di attori e personaggi reali che si confondono, con doppi e doppi dei doppi in una sorta di allucinata messa in scena di qualcosa che è certo di più della vita di un regista teatrale, col tempo che passa e cambia le situazioni e i sentimenti dei personaggi. E con un paese intero ricostruiti che è un doppelganger della stessa New York. All’interno di questa vita-ricostruita o veramente vissuta Caden ha una storia con Hazel, Samantha Morton, ma sposa Claire, per poi tornare dalla prima, e tutto il vissuto diventa anche messa in scena teatrale.
Il suo doppio, Tom Noonan, ha a sua volta un proprio doppio sulla scena, in una sorta di costruzione labirintica grottesca che qualcuno ha definito baudrillardiana. Grande cast, si diceva, ci sono anche Dianne Wiest e Michelle Phillips in ruoli minori, gran fotografia di Frederick Elmes, antico collaboratore di David Lynch, ma anche grande spreco di buone idee e di ambizioni. Rischio sonno. In sala dal 19 giugno.