dago

DAGO FA 70 – ‘’L’INFELICITÀ NASCE SEMPRE DALLE NOSTRE ATTESE E PRETESE. LA FELICITÀ, INVECE, È APRIRE GLI OCCHI OGNI MATTINA - L’UNICA EDUCAZIONE CHE PUOI DARE A UN FIGLIO È IL TUO COMPORTAMENTO: QUANDO SEI A TAVOLA, QUANDO PARLI, QUANDO LAVORI - QUESTA È LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO, PREDETTA DA GUY DEBORD: UNO APPENA SI ALZA DAL LETTO NON È PIÙ SE STESSO, SI METTE UNA MASCHERA E VA”

Azzurra Della Penna per CHI - foto di Massimo Sestini

 

Dago con i boccoli - ph Massimo Sestini

“Nasce Rocco. E come tutti prendo questo evento, non dico in maniera banale, ma, insomma, uno pensa: “Tutti, a un certo punto, mettono su famiglia”. Poi, quando ti capita quel puffetto tra le mani, ti viene una domanda. Anzi, la Domanda: “Ma come si può educare un figlio?”. Sì, davanti a Rocco pensavo: “E adesso che devo fare?”. Ero quasi disturbato dal fatto di non sapere che cosa gli avrei dovuto dire nel corso del tempo».

 

Roberto D’Agostino sta per compiere 70 anni, il 7 luglio prossimo. «Tutti sette. Uffa, questi settant’anni mi hanno proprio preso alle spalle, è come se un giorno, all’improvviso, avessero bussato alla porta, “toc toc”, “chi è?”. Eccoli. Loro. Inattesi».

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

 

Dago, Dago per tutti, ha una redazione nuo va, tutta da guardare, anche nelle foto di queste pagine. «Il progetto casa è una parte del matrimonio, importante come l’affetto e come l’amore. Io e Anna litighiamo per giorni, perché io voglio il pavimento nero...». Dago, per la prima volta, parla pubblicamente del suo privato. A modo suo, con tene rezza, pudore, ironia. Lui, del resto, è uno che per dire che ama i gatti, ti dice che è un “gattolico”.

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

 

Domanda. Lei e Anna Federici vi sposaste dopo la nascita di Rocco...

Risposta. «Torniamo a Rocco, dai, che questa è bella: io non sapevo che cavolo dovevo fare e, allora, chiedo udienza al massimo esperto in materia, Giovanni Bollea, il discepolo, anzi, l’elet -to di Maria Montessori. Vado da lui e chiacchieriamo a lungo, ma, in sostanza, il professore mi dice: “Non devi dire niente e devi fare tutto”.

 

E io: “Cioè?”. “L’unica educazione che puoi dare a un altro essere umano è il tuo comportamento: quando sei a tavola, quando cammini, quando parli, quando ti vesti, quando ti pettini, ecco, quella è l’educazione che dai ai tuoi figli”. E sottolinea: “Puoi dire: fa il bravo, è brutto picchiare le lucertole, è pessimo uccidere i genitori, ma l’unica educazione che puoi dare a tuo figlio è il tuo comportamento”».

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

 

D. Mica male.

R. «Eh! Resto basito. Pensavo: se fai un bel ruttone, picchi la domestica, strangoli la moglie... Sono comportamenti che vengono trasmessi. Facendo così dici a tuo figlio che si può fare e, anche, che si deve fare».

 

D. Si dice che pensando di educare un figlio si viene educati da lui. La nascita di Rocco ha cambiato qualcosa nella sua vita?

R. «Da quel giorno è cambiato tutto».

 

Dago 1965 a Londra

D. Niente più “ruttoni”?

 R. «E non scoreggiavo neppure dopo i pasti. No, sentivo una responsabilità che non era solo la parola che dicevo, era anche il silenzio che mi prendevo».

 

D. E quando Rocco ha iniziato a vedere in tv o su YouTube le sue “scorribande”?

R. «Facciamo un esempio pratico. A Rocco, un bel giorno, dicono: “Tuo padre ha preso a schiaffi Vittorio Sgarbi”. E lui viene da me: “Papà, ma che hai fatto?”».

 

D. E lei che ha fatto, ha negato?

R. «Magari, mica potevo. Gli ho detto: “È vero, è successo, lui mi aveva tirato l’acqua...”. Vediamo insieme questo video e lui rimane molto colpito. Dico: “Quando le parole non arrivano a destinazione, uno allunga la mano, ma ho sbagliato”. Per un po’ a scuola gli hanno detto: “Tuo padre è uno che mena”».

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

 

D. Quello delle mani è un suo linguaggio dell’infanzia?

R. «Da piccolo abitavo in un quartiere proletario (Dago nasce in via dei Volsci, nel quartiere San Lorenzo, dove resta fino all’età di 37 anni, ndr). Là l’esibizione fisica era molto get -tonata, eravamo gente di giardinetti noi, niente oratorio. In più io avevo un problema, ero balbuziente, quindi non parlavo e menavo, e poi avevo pure gli occhiali. Oggi fa ridere, ma allora eri subito un “quattrocchi” e anche quella era una ragione di sberleffo, avevo gli occhiali ed ero balbuziente, è stato molto pesante. Però, dato che mi ‘’incantavo’’, stavo zitto e leggevo. E poi menavo per comunicare quello che non riuscivo a dire con le parole».

 

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

D. Leggeva e menava. E poi che è successo?

R. «Quando è iniziata la “cosa” con le ragazze, dovevo parlare in qualche modo, allora, chiesi a mia madre di portarmi da un logopedista e il problema, dopo un po’ di anni e con un po’ di esercizio, si è risolto. Certo, non riesco a dire alcune parole, devo fare dei respiri nel corso della conversazione e questi respiri mi permettono di saltare la balbuzie, ma non sono veloce».

 

D. Dunque uno Sgarbi, o come lo chiama lei, un “Vecchio Sgarbone”?

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

R. «Mi travolge, mi sono ritrovato travolto come un tempo e devo avere pensato: “Adesso ti spiego tutto con una mano”».

 

D. Parliamo di altre litigate. Michele Serra, prestigiosa firma, scrive: “D’Agostino è tutto quello che io non sono, lui ama il look, io la bellezza”.

R. «La categoria della bellezza è una cosa che riguarda un altro mondo e Serra, quella volta, aveva fatto un discorso sulla bellezza fuori dal contesto sociale dove, invece, conta esprimere agli altri ciò che si vuole essere».

 

D. Aiuto!

Dago family - ph Massimo Sestini

R. «Vabbè, mettiamola così: perché considero ‘’La febbre del sabato sera’’ fondamentale? Un grande film proletario? Perché racconta che io, un garzone di un negozio di vernici, riesco a impormi, a essere al centro della pista, ad avere la mia identità, a ballare meglio degli altri, a riuscire in qualche modo ad attraversare il ponte...».

 

D. E lei quando ha passato il ponte? Quando ha iniziato a vivere la “Roma godona”?

R. «Dopo Quelli della notte ».

 

D. L’incontro con la ricchezza che effetto le ha fatto?

Dago in redazione - ph Sestini

R. «La cosa che mi colpisce non è l’arredamento alla Lorenzo Mongiardino che, per altro, non mi piace ora e non mi piaceva per niente allora. La vita mondana, se l’ho frequentata in maniera molto attiva - e l’ho fatto - mi ha consentito di incontrare persone con una capacità di conversazione pazzesca. Non erano cene, quelle, erano grandi risse, confronti, idee. Quelli erano capaci di tutto. In quei salotti ti imbattevi in persone che avevano una grandissima abilità dialettica, io oggi mi lamento sempre quando ho ospiti a cena che non arrivano preparati. Se io vado a una cena mi preparo una storia, un pettegolezzo, un aneddoto».

ANNA FEDERICI E FIGLIO ROCCO DAGOSTINO

 

D. I pettegolezzi sono pane?

R. «Meglio, il pettegolezzo è un’arte e, come ogni cosa di superficie, va presa sul serio. Questo è il segreto della vita, prendere sul serio le cose superficiali».

 

Dago in redazione - ph Massimo Sestini

D. L’incontro con il più grande critico d’arte, Federico Zeri, le ha cambiato la vita?

R. «Quello che so è che lui mescolava l’alto e il basso con una capacità unica. Collaboravamo entrambi a L’Europeo all’epoca, questo suo vedere il mondo in maniera superficiale era il massimo della profondità. E mi colpiva. Allora scrissi ‘’Chi è, chi non è, chi si crede di essere’’, un ritratto su Federico Zeri . Lui mi chiamò e ci incontrammo a casa di Mentana. Abbiamo iniziato a conversare e siamo stati così bene che lui ha comi iato a chiamarmi. Mi invitava a pranzo a casa sua, abbiamo fatto queste conversazioni ed erano interessanti e, alla fine, ne abbiamo fatto un libro, ‘’Sbucciando piselli’’ , un titolo divertente, un’idea sua. Anche perché l’abbiamo realizzato tutto in cucina. Per me è stato un modo di spiare un genio in azione. È sempre la curiosità che mi ha portato a cercare e andare in giro per il mondo».

 

Dago e Zeri, 1990

D. Sua la frase: “Non si può avere la siringa piena e la moglie drogata”.

R. «Significa che siamo noi la nostra infelicità, l’infelicità nasce sempre dalle nostre attese, così ci manca sempre una parte. La felicità, invece, è aprire gli occhi: è un modo minimal per dire che c’è l’avventura che ti aspetta, non quella che ti aspetti tu».

 

D. E sua pure: “Dalla cintola in su sono gay”.

R. «È un fatto che riguarda la cultura: i libri, i film, il teatro, l’opera, il cinema che mi hanno influenzato sono gay. Ho letto Oscar Wilde, Proust, Truman Capote, Arbasino, e quelli non sono autori che tu leggi, ma che leggono te».

 

D. Il primo tatuaggio a sessant’anni e ora ne è ricoperto: Dago, le pare il caso?

schiaffo dago a sgarbi

R. «Il primo l’ho fatto perché m’era andata bene un’operazione tosta, ma quella è storia nota... Comunque, sono andato dal tatuatore Gabriele Donnini e gli ho fatto vedere l’ex voto che volevo sulla schiena, lui mi ha detto che quella è una delle parti più dolorose, abbiamo iniziato sul braccio dove il dolore è poco. Vede, il tatuaggio fa sempre parte di quella identità che vuoi metterti sulla pelle, dall’orologio alla camicetta. Ma il tatuaggio è quello che vuoi fermare della tua vita (Dago ha su una mano il nome della moglie, Anna, e sull’altra quello del figlio, Rocco, e si accorge che li sto guardando, ndr). L’amore ferisce e il tatuaggio è la ferita che resta sulla pelle, quando diciamo: “Mi hai spezzato il cuore”. Sappiamo anche che da quel dolore, da quella spaccatura, da quel taglio passa luce».

Rocco D'Agostino - ph Massimo Sestini

 

Rocco e Roberto Dagostino

D. Dago, ma la diciamo tutta la verità sullo schiaffo?

R. «Eddai: la verità è che quando è avvenuto, si è interrotta la trasmissione. A quel punto io mi aspettavo una reazione da parte di Sgarbi, uno che è stato schiaffeggiato... Invece lui - il programma era registrato - è andato a litigare con Ferrara che diceva: “Col cavolo che lo taglio questo pezzo”. In pratica mi hanno abbandonato e si sono messi a litigare furiosamente fra di loro. Ma questa è La società dello spettacolo, predetta da Guy Debord: uno appena si alza dal letto non è più se stesso, si mette una maschera e va».

 

 

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