
“‘WISH YOU WERE HERE’ È COME UN DIPINTO DI DALÍ” – DAMIANO MICHIELETTO SULL’ALBUM CAPOLAVORO DEI PINK FLOYD, CHE QUEST’ANNO COMPIE MEZZO SECOLO: “È UN VIAGGIO DELLA MENTE, ACCOMPAGNATO DA AMBIENTI SONORI CHE LO RENDONO PER CERTI VERSI SIMILE A UN’OPERA LIRICA, DOVE IL FLUSSO NON SI ARRESTA MAI” – SYD BARRETT, IMPAZZITO PER L'ABUSO DA LSD, SI PRESENTÒ DURANTE LE REGISTRAZIONI: QUANDO I SUOI EX COMPAGNI LO RICONOBBERO, SI MISERO A PIANGERE. GLI FECERO ASCOLTARE “SHINE ON YOU CRAZY DIAMOND” (A LUI DEDICATA) E LUI DISSE… – VIDEO
1. COME UNA TELA DI SALVADOR DALÍ MUSICA DIPINTA
Estratto dell’articolo di Damiano Michieletto per “la Lettura – Corriere della Sera”
Quando ascolti Wish You Were Here non stai ascoltando delle canzoni, come in un disco qualsiasi. Ti ritrovi dentro a una galassia di suoni, uno spazio psichedelico e sospeso. Chiudi gli occhi e ti senti proiettato in una dimensione che non sai afferrare. Come essere dentro un dipinto di Salvador Dalí dove le forme si sciolgono, mutano, cambiano dimensione, non sono più quelle che i tuoi sensi sono abituati a riconoscere.
O come in una tela di Victor Vasarely, dove i colori ti vengono addosso con un’illusione ottica che ti avvolge e non sai più bene dove sei. I sensi sono come alterati. Quando ascolti Wish You Were Here potresti rimanerne ipnotizzato, come sedotto da un incantatore di serpenti. […]
Un disco che è un viaggio della mente, accompagnato da ambienti sonori che lo rendono per certi versi simile a un’opera lirica, dove il flusso non si arresta mai, dove le voci si intersecano, si danno la mano a dipingere ambienti sonori diversi ma tenuti insieme da uno stesso respiro.
[…] Sfidare il mercato con un concept album prevede la forza di un concetto, appunto, uno sguardo che non si esaurisce nei tre minuti e mezzo di un singolo brano ma è in grado di creare un ponte sonoro che ti trasporta dall’inizio alla fine. Il progressive rock dei Pink Floyd mescola i generi, usa la tecnologia per inventare nuovi suoni, e sviluppa sul palco un linguaggio performativo molto sofisticato con scene di grande impatto.
Il brano che dà il titolo all’album parte da Cajkovskij per sciogliersi sugli accordi di una chitarra a 12 corde e termina con un vento che soffia e si porta via tutto, una tormenta di neve che silenzia ogni prospettiva. È la neve che rivela le tracce dell’esploratore che si è avventurato verso l’ignoto. Le sue sono ampie falcate. Ascolti quest’album e non sei dentro a un mondo di sentimenti o di dolci illusioni: sei in un mondo di allucinazioni. L’ago della bussola comincia a vibrare e poi lentamente inizia a gira su sé stesso. Continua a girare. L’universo non ha un centro.
[…]Wish You Were Here è «galattico» e allo stesso tempo così terrestre da diventare un minatore che scava nelle profondità. Apnee e immersioni sonore. Un sommozzatore che fluttua. Per chi lo ascolta, 50 anni fa come oggi, è una immersione di 45 minuti che ti porta ad abbandonare gli ormeggi, a veleggiare. E lo fa con un gusto lirico e teatrale fortissimo.
Suoni e parole che non aspettano altro, forse, che una messa in scena magari prendendo ispirazione dalla copertina dell’album dove, nella quotidianità di un paesaggio urbano, una strada anonima con capannoni (gli studios Warner Bros) due uomini incravattati si stringono la mano, ma uno dei due è incendiato, sta bruciando.
Le fiamme gli avvolgono le braccia e le spalle. Che ne sarà di lui? Diventerà cenere? Esploderà? Quasi una stretta di mano diabolica, come Don Giovanni che dà la mano al Commendatore prima di essere trascinato in una dimensione ultraterrena, a contatto con il mistero dell’ignoto, lì dove voleva andare, a costo di perdere sé stesso, di smarrire la sua psiche, di non poter più fare ritorno. Come accadde a Syd Barrett, fondatore e leader dei Pink Floyd.
2. IL DIAMANTE FOLLE DEI PINK FLOYD
Estratto dell’articolo di Helmut Failoni per “la Lettura – Corriere della Sera”
[…] Wish You Were Here dei Pink Floyd […] è considerato un capolavoro della storia del rock e […] il 12 settembre festeggia mezzo secolo. Uscì dopo un altro successo mondiale del gruppo, The Dark Side of the Moon (1973), uno dei dischi più venduti della storia (50 milioni di copie).
L’effetto all’ascolto di Wish You Were Here, anche dopo così tanti anni, è ancora straniante. Con Shine On You Crazy Diamond, la lunga suite che apre e chiude il disco, nei primi due minuti si entra in un paesaggio sonoro misterioso. Evanescente, sospeso e liquido. In un divenire lento e ammaliante: è attesa della luce.
La musica si muove con profondità di campo: l’affiorare e lo scomparire di altri suoni aggiunti, come di cristalli che si sfiorano in lontananza, disorienta ma seduce. L’ascoltatore rimane lì. Immobile, in attesa. L’inizio della suite (composta da tre dei membri del gruppo) è molto abilmente costruito dalle tastiere e dai sintetizzatori di Richard Wright: nuovi suoni, nuovi timbri.
Nuova musica? Ci si sente quasi più dentro 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e più vicino ai primi esperimenti degli avanguardisti nel campo della musica elettronica che non in un disco di rock di quegli anni, tradizionalmente inteso. Ma i Pink Floyd erano i Pink Floyd. Diversi. Unici.
[…] La gestazione di questo disco da 20 e oltre milioni di copie vendute non fu breve: fu registrato nell’arco di sette mesi, tra gennaio e luglio del 1975, negli Abbey Road Studios di Londra, dove peraltro non solo i Beatles incisero quasi l’intero loro repertorio, ma anche i Pink Floyd tutti i loro dischi in studio, tra il 1967 e il 1975.
Si tratta di un album fuori asse (come del resto altri loro lavori) rispetto al mercato — già a partire della copertina criptica con due uomini d’affari che si stringono la mano (Ronnie Rondell Jr, lo stuntman infuocato sulla cover è scomparso il 17 agosto all’età di 88 anni) — che contesta un’industria discografica disumanizzata, che punta solo al lucro, ma gira soprattutto intorno all’idea di assenza.
L’assenza di Syd Barrett (1946-2006), uno dei fondatori dei Pink Floyd — da molti considerato il più creativo, il più originale, l’unico vero leader — che si alienò discostandosi dalla realtà, per abuso di sostanze psicotrope, Lsd in primis, al punto che nel 1968 fu allontanato, sebbene a malincuore, dal suo stesso gruppo e sostituito poi da David Gilmour.
Il 5 giugno 1975 i Pink Floyd sono negli studi discografici. Stanno terminando la registrazione di Shine On You Crazy Diamond («Continua a brillare, pazzo diamante»). È dedicata a Syd, come lo è in parte Wish You Were Here («Vorrei che fossi qui»). Entra negli studi un uomo stanco, con lo sguardo allucinato, un cappotto pesante addosso, senza capelli né sopracciglia e in sovrappeso. Ha due buste di plastica in mano. Passa inosservato perché tutti credono che sia amico di qualcun’altro. Invece è Syd Barrett.
Nessuno del gruppo aveva riconosciuto l’amico. Quando capiscono che è lui, Waters piange a vederlo così. Tutti piangono. Gli fanno ascoltare il brano. Lui fa un unico commento: «Suona vecchio». Poi si dilegua. Nessuno, a eccezione di Waters che lo incrociò per caso trent’anni dopo, lo rivide più. […]
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