francois ozon

BUCO NELL’OZON - IL REGISTA DI “GRAZIE A DIO”, FRANCOIS OZON, RACCONTA COME LA CHIESA ABBIA PROVATO A FERMARE IL SUO FILM SUGLI ABUSI: “ABBIAMO GIRATO IN SEGRETO, MA QUANDO È STATO PUBBLICATO IL TRAILER GLI AVVOCATI DELLE GERARCHIE ECCLESIASTICHE SI SONO MOSSI PER EVITARE CHE USCISSE” - “ALLA FINE CI HANNO PROCURATO MOLTA PUBBLICITÀ E IL FILM HA FATTO UN MILIONE DI SPETTATORI IN FRANCIA…” - VIDEO

 

 

 

Cristina Battocletti per www.ilsole24ore.com

 

grazie a dio il film sugli abusi dei preti di francois ozon 8

Grazie a Dio è l’ultimo film di François Ozon, che ha vinto l’Orso d’argento alla scorsa edizione del festival del cinema di Berlino, nei cinema da giovedì, distribuito da Academy Two. La pellicola, che ha fatto un milione di spettatori in Francia, è tratta da una storia vera , accaduta nella diocesi di Lione, in cui decine di bambini, ormai diventati adulti, fanno i conti con l’abuso sessuale subito dal parroco Bernard Preynat (nel film interpretato dal Bernard Verley). Nonostante i molti anni passati, gli ex ragazzi, vittime di pedofilia, nell’accorgersi che il parroco è ancora a contatto con i bambini, decidono di interpellare il responsabile della diocesi, il Cardinale Barbarin (François Marthouret) perché lo scempio non si ripeta.

Bernard Preynatgrazie a dio il film sugli abusi dei preti di francois ozon 4

 

Scritto dallo stesso regista francese, il film ha inizio dalla storia di Alexandre Guérin (Melvil Poudad), un uomo che, nonstante abbia una bella e numerosa famiglia, non riesce a dimenticare ancora le ferite di quelle”attenzioni”. Quando si imbatte in un muro di gomma da parte della Chiesa che tenta di insabbiare la vicenda, decide di denunciare padre Preynat, supportato da altre due vittime, François Debord (Denis Ménochet) ed Emmanuel Thomassin (Swann Arlaud). 

 

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Il Sole 24 Ore lo ha incontrato a Milano, Fraçois Ozon.

 

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È vero che avete girato il film in segreto per paura delle interferenze della Chiesa cattolica?

Sì, abbiamo utilizzato un titolo diverso durante le riprese, perché se avessi usato quello con cui ora il film esce nelle sale, Grazie a Dio, avrebbero tutti collegato la trama al cardinale Barbarin, che pronunciò quella frase, riferita alla prescrizione della pena, facendo un enorme scalpore in Francia. Il titolo utilizzato era Alexandre e fingevamo fosse la storia di tre amici sulla quarantina che si ritrovavano. Questo ci ha permesso di girare in luoghi che altrimenti non sarebbero stati autorizzati.

 

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Poi però quando è stato pubblicato il trailer e si è capito quale fosse effettivamente il soggetto del film, immediatamente gli avvocati delle gerarchie ecclesiastiche si sono mossi cercando di impedirne l’uscita, in particolare quelli del sacerdote, di Preynat, chiedendo che venisse rimandata dopo il processo. Il problema è che il processo a tutt’oggi non è stato fatto e chissà mai se mai si farà. Il tentativo evidente era quello di impedire che il film uscisse.

 

I giudici hanno dovuto mettere sul piatto della bilancia la libertà creativa e di espressione di un artista, e dall’altra la presunzione di innocenza dell’imputato. Hanno deliberato a favore della libertà creativa, determinando appunto che il film fosse di pubblica utilità, anche perché Preynat non ha mai negato di aver effettivamente abusato di questi bambini. Tutto questo ci ha procurato molta pubblicità e il film ha fatto un milione di spettatori in Francia.

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francois ozon1

Io forse sono stato un po’naif perché la mia scelta è stata quella di mantenere i veri nomi dei rappresentanti della Chiesa esattamente come sono ed è per questo che sono stato attaccato; ma del resto non c’è alcuna rivelazione, alcuno scoop rispetto alle azioni che ha fatto la diocesi di Lione e la Chiesa tutta in merito a questa vicenda.

 

Tutto quello che viene detto nel film da parte loro era già uscito e pubblicato sugli organi di stampa. Gli elementi nuovi che introduce il film riguardano le vittime stesse, il loro privato, i loro rapporti familiari e personalmente mi sarebbe sembrato ipocrita cambiare i nomi del cardinale, del sacerdote. Questo dimostra quanto il cinema faccia paura.

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Che reazioni ha avuto dalla gente comune che si considera cattolica?

 

Penso che il successo del film sia dovuto ai cattolici che sono venuti a vedere il film in massa a Lione. È evidente che nessun cattolico può dichiararsi a favore della pedofilia. Alcuni cattolici hanno fatto delle dichiarazioni a favore di Barbarin, dicendo che ha agito bene, nelle sue facoltà. Ovviamente tutti i cattolici sono contro Preynat, ma ce ne sono alcuni a favore del cardinale.

 

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La gerarchia ecclesiastica era molto inquieta e preoccupata per il film. Una volta che l’ha visto si è rilassata perché ha trovato che fosse un film molto equilibrato e ha avuto la conferma che non è contro il dogma della religione cattolica, ma contro quella parte di istituzione cattolica teatro di queste vicende. Ora la Chiesa cattolica utilizza il mio film per la formazione dei giovani sacerdoti.

 

Il suo cinema si è soffermato diverse volte sui ragazzi e sul mondo dell’adolescenza, come ne La casa e Giovane e bella.

 

Io ho spesso mostrato la sessualità come un atto liberatorio, come un atto trasgressivo e di piacere, un atto di ingresso nel mondo degli adulti. Nel film Giovane e bella vi èuna ragazza che soffre e che è alla ricerca di qualche cosa attraverso la sessualità. Qui invece abbiamo dei bambini che non scelgono , che non hanno nessuna capacità di dare un consenso, che subiscono e sono violati. Quindi il contesto è completamente differente.

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Anche La casa è un film in cui un adolescente viene a contatto con una capacità seduttiva

 

Veramente è un film più sulla creazione letteraria che sulla sessualità.

 

Cosa l’ha attratta di questo nuovo soggetto?

 

Volevo posare lo sguardo su questi uomini fragili, che cercano di esprimere un’emotività e una sensualità che ha subito il trauma di una violenza quando erano piccoli e che in un modo o nell’altro non hanno superato quel trauma. Non si tratta di un giudizio morale, ma di un fatto realmente accaduto, da cui è scaturita una sofferenza oggettiva.

 

Come è andato l’incontro con Alexandre, la prima delle vittime che ha denunciato l’abuso?

 

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È stato un incontro molto forte. Mi hanno profondamente commosso e toccato tutte le testimonianze delle vittime che sono pubblicate sul sito dell’associazione “La parola liberata” (che riunisce le vittime di padre Preynat, n.d.r.). In particolare mi ha commosso la testimonianza di Alexandre perché è un fervente cattolico che ha cercato, proprio supportato dalla sua fede, di condurre questa battaglia, immaginando che sarebbe stata vinta facilmente nel momento in cui Preynat durante l’incontro ammetteva candidamente la sua pedofilia: Alxandrea immaginava che il cardinale Barbarin agisse di conseguenza per fermare questo pedofilo, ma l’inazione di Barbarin e il fatto che consentisse al sacerdote di stare a contatto con i bambini lo ha reso sempre più fragile. Quando io l’ho incontrato è arrivato con il suo dossier che conteneva tutta la corrispondenza scambiata con Barbarin e le altre gerarchie della Chiesa. Mi ha detto: «Fanne quello che vuoi».

 

Le vittime volevano un film più vicino a Il caso Spotlight, ma lei ha deciso di concentrasi su un ambito più emozionale.

 

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Sono due film complementari il mio e Il caso Spotlight . Quest’ultimo è molto importante per le vittime e tra l’altro era appena uscito quando ho iniziato a pensare al film. È il motivo per cui si sono fidati di me e hanno voluto che io facessi un film di finzione nella speranza che fosse affine al film di Tom McCarthy. Anche se i due film sono complementari, sono molto diversi perché il primo parla di giornalismo investigativo, mentre nel mio il punto di vista è quello delle vittime che utilizzano però gli organi di informazione per condurre la loro battaglia.

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