IL GENIO DI SCORSESE IN MOSTRA A TORINO: QUANDO IL CINEMA È UN’OPERA MULTIMEDIALE

Luca Beatrice per "il Giornale"

Ecco un nuovo modo di fare mostre, trasversale e intelligente, che potrebbe cambiare il manierismo delle personali sul singolo autore, per cui hai una sfilza di opere da contemplare e alla fine ti resta poco o nulla. Invece, si prende un personaggio, lo si studia sviscerandolo nei minimi particolari, cercando di capire le influenze reciproche con il contesto in cui ha operato, le suggestioni che sono emerse dalla sua poetica, i luoghi che ha frequentato e sono stati decisivi all'interno del proprio originale percorso.

L'esempio migliore di questa nuova scienza museografica è la grande mostra di David Bowie al Victoria & Albert Museum di Londra, che mettendo al centro l'eccentrico cantante inglese racconta decenni di storia attraverso le mutazioni del gusto e i cambiamenti epocali che l'ex Alieno ha cavalcato, dalla fine degli anni '60 a oggi. Appartiene alla stessa famiglia l'omaggio a Martin Scorsese da poco inaugurato al Museo Nazionale del Cinema di Torino, esposizione che spicca nell'asfittico panorama estivo.

Proveniente dalla Deutsche Kinematek di Berlino, sostenuta da Gucci, è allestita nelle rampe della Mole Antonelliana con una modalità che ricorda quella del Guggenheim New York. Pur conoscendo le difficoltà di trasformare un materiale dinamico come il cinema in un oggetto prevalentemente statico, la mostra si snoda per capitoli alla ricerca delle ragioni che hanno ispirato quello che probabilmente, insieme a Coppola, Allen e De Palma, appartiene all'ultima generazione capace di trasformare il film in un evento culturale autentico. Per Scorsese il cinema, studiato e sezionato fin dai tempi dell'università con metodo e rigore, ha rappresentato sempre la prima passione.

È un cinema che si respira, si tocca, si avverte in tutto il suo spessore a cominciare dallo sguardo su New York, la metropoli che più ancora che in Woody Allen non è solo teatro degli eventi ma luogo necessario di una drammaturgia che parte dalla storia di una famiglia di immigrati italiani, diventati americani solo dopo un lungo processo di non semplice integrazione.

Alcuni dei suoi personaggi, da Travis Bickle di Taxi Driver a Jake La Motta di Toro scatenato, da Rupert Pupkin di Re per una notte a Max Cady di Cape Fear, da Howard Hughes di The Aviator a Billy di Departed, fino ad Amsterdam di Gangs of New York sono divenuti archetipi letterari, non a caso interpretati da mostri di bravura e di versatilità come Robert De Niro e Leonardo DiCaprio.

Se dei film di Scorsese si conosce tutto, autentiche curiosità stanno nel modo in cui il regista italo-americano li ha costruiti e che scopriamo attraverso i numerosi oggetti esposti, a cominciare dai disegni degli storyboard che sono una vera e propria ossessione e che, quando non si usava ancora il computer, realizzava a mano inquadratura per inquadratura: «Amo disegnare il film nella sua versione montata. Praticamente sto immaginando il film attraverso gli storyboard». Tra le curiosità, il primo risale a quando Scorsese aveva 11 anni, uno straordinario esempio di sceneggiatura a colori per un film immaginario dal titolo The Eternal City.

Collezionista di poster originali e di memorabilia, Scorsese ama a tal punto il cinema (con una predilezione per Hitchcock e Fellini) da disseminare i propri film di citazioni, omaggi, strizzatine d'occhio allo spettatore più avvertito. La sua ossessione per la filologia tocca livelli «alla Visconti», soprattutto nella ricostruzione storica di opere come L'età dell'innocenza, Gangs of New York e Hugo Cabret.

Scorsese dimostra una sconfinata conoscenza sulla storia del cinema ed è stato tra i primi registi a preoccuparsi della difficile conservazione delle pellicole a colori, lanciando già alla fine degli anni '70 un appello alla Eastman Kodak al fine di produrre materiali inalterabili.

Ma il cinema, nella sua filosofia, non è solo immagine: è anche suono, musica, e la colonna sonora gioca un ruolo fondamentale sia nella fiction, parte integrante nello sviluppo delle vicende, sia negli omaggi appassionati che ha voluto dedicare al mondo del rock, nel lontano 1978 all'ultimo straordinario concerto di The Band in The Last Waltz , oppure nel documentario sulla recente tournée dei Rolling Stones (Shine a Light , 2008).

 

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