pansa montanelli

PANSA IS BACK! IL PRIMO ARTICOLO DEL GIORNALISTA PER IL “CORRIERE” DI CAIRO: “SONO ARRIVATO A VIA SOLFERINO IL 1° LUGLIO DEL 1973. OTTONE ERA ALLE PRESE CON LA POSSIBILE USCITA DI MONTANELLI. UNA PARTE DELLA REDAZIONE PREMEVA PERCHÉ VENISSE CACCIATO. LA PENSAVO ANCH'IO COSÌ, RITENENDOLO UN FASCISTA. IL MIO GIUDIZIO CAMBIÒ SOLTANTO QUANDO LE BR GLI SPARARONO NELLE GAMBE. CONFESSO CHE DI MONTANELLI MI IMPORTAVA POCO. DA GIOVANE CAZZONE PENSAVO CHE I MIEI ARTICOLI AVREBBERO FATTO DIMENTICARE I SUOI…”

giampaolo pansa

Giampaolo Pansa per il “Corriere della sera”

 

Sono arrivato al «Corriere della Sera» il 1° luglio del 1973 lasciando una gabbia di matti. La gabbia era il «Messaggero» di Roma, diretto da Alessandro Perrone. Lui aveva un cugino primo, Ferdinando, padrone di una quota del giornale. I due cugini non andavano d' accordo e litigavano tutti i giorni, dalla mattina alla sera. Per di più, alla redazione non piacevano i nuovi arrivati.

 

Eugenio Cefis

Capeggiati da Giorgio Fattori, era una microscopica squadra, ci stavo anch' io con un incarico per niente adatto al sottoscritto: il redattore capo. Infine i giornalisti di via del Tritone ci accolsero tappezzando il corridoio con i manifesti pubblicitari di una casa vinicola: «Arrivano i piemontesi!». Forse era un omaggio al nuovo direttore amministrativo, giovane e bravissimo, Gigi Guastamacchia che aveva un solo difetto: era di Cuneo o di quelle parti. Che cosa ho trovato al «Corriere»? Prima di tutto l'ombra di un padrone strapotente: Eugenio Cefis, il re indiscusso della Montedison, che però non si faceva mai vedere in Solferino.

 

piero ottone

Ma lui e la sua banda se ne occupavano eccome! Una volta arrivato al «Corriere», Cefis si trovò alle prese con un problema non da poco: lasciare Piero Ottone alla direzione oppure sostituirlo? Una parte dei cefisti era per la cacciata di Ottone. Costoro erano superstiziosi e gli faceva orrore la scarpa ortopedica che Piero portava da ragazzo dopo aver fatto la poliomielite. Ringhiavano: «Omo segnà da Dio, cento passi indrio». Un uomo segnato da Dio va tenuto lontano cento passi. Ma i cefisti non avevano tra le mani un altro direttore per il «Corriere» e Piero rimase al suo posto.

COLETTE ROSSELLI INDRO MONTANELLI

 

Ottone era il direttore ideale per il giornalone di via Solferino. Prima di tutto era un signore paziente. Il suo vero nome era Pier Leone Mignanego e sapeva trattare tutti con una grande signorilità. Era di sinistra, di centro o di destra? Non l' ho mai compreso e del resto non me lo sono mai chiesto. Allora certe etichette non avevano l' importanza che hanno oggi. In Italia comandava un solo partito, la Democrazia Cristiana, mentre l' unico oppositore, il Partito comunista, doveva accontentarsi di qualche lembo dell' Emilia e della Toscana.

 

Quando arrivai in via Solferino, Ottone era alle prese con un problema gigantesco: la possibile uscita di Indro Montanelli intenzionato a fondare un giornale tutto suo. Una parte della redazione del «Corriere» premeva perché Indro venisse cacciato. La pensavo anch'io così, ritenendo Indro un fascista o giù di lì. Confesso che il mio giudizio cambiò soltanto quando le Brigate rosse spararono nelle gambe a Montanelli in piazza Cavour a Milano, mentre si recava a piedi alla redazione del giornale che aveva creato.

franco di bella

 

Confesso che di Montanelli mi importava poco. Da giovane cazzone pensavo che i miei articoli avrebbero fatto dimenticare i suoi. Per me era molto più importante che fosse rimasto al «Corriere» un signore che di nome faceva Franco Di Bella. Chi era costui? Non conosco quale fosse il suo incarico contrattuale, ma compresi subito che se il giornale usciva senza errori, perfetto, sempre in palla era merito di Franco. Quando arrivai in Solferino, volle subito capire che tipo ero, se mi piaceva scrivere o se appartenevo alla plebe degli sfaticati. Ogni mattina mi consegnava una notizia di agenzia e mi ordinava: «Fammi un fogliettone per la prima pagina».

 

Nel faticone Pansa aveva trovato il tipo giusto. Credo di aver scritto per lui una quarantina di pezzi sempre comparsi in prima pagina. E fu così che i lettori del «Corrierone» cominciarono a conoscere la mia firma.

 

pier paolo pasolini sul set di salo' 2

In seguito Di Bella divenne il protagonista di un episodio che nella mia vita non ho più dimenticato. Era l' inizio del novembre 1975. La mattina del due, la festività dei morti, stavo in una casa di campagna che avevo costruito nell'Oltrepò Pavese, nel paese di Calvignano. La casa esiste ancora, ma da un pezzo l'ho regalata ai miei nipoti. La mattina del 2 novembre 1975, qualcuno bussò alla nostra porta. Andò ad aprire Lidia, la mia prima moglie, e si trovò di fronte una coppia che non conosceva: Franco Di Bella e una ragazza bella e spigliata.

 

La coppia entrò in casa e si presentò. Ad accoglierla fu mio figlio Alessandro che allora aveva tredici anni ed era un tipo molto sveglio, del genere carogna. Quando comprese di avere di fronte uno dei capi del «Corriere» che mi chiamava spesso anche a casa, gli disse: «Ma lei lo sa che questa notte hanno ammazzato Pasolini?».

 

paolo di paolo mondo perduto pasolini 3

Di Bella ringhiò: «Che cosa mi stai dicendo?». Sempre più spavaldo, Alessandro continuò: «Le dico quello che tutti i giornali radio stanno ripetendo da stamane...». Di Bella rantolò: «Datemi un telefono». Chiamò via Solferino e si imbattè in Gaspare Barbiellini Amidei, il capo della cultura. Gaspare gli disse, gelido: «Rimani pure dove sei, ho già pensato a tutto io».

 

È utile ricordare che Pier Paolo Pasolini, un acquisto recente del «Corriere», era il numero uno delle stelle reclutate da via Solferino. Una donna l'aveva trovato morto alle 6.30 di quella domenica 2 novembre all' Idroscalo di Ostia. Purtroppo i testimoni del risvolto famigliare di quella tragedia sono scomparsi tutti: morto Franco Di Bella, morto mio figlio Alessandro, morta Lidia la mia prima moglie. Soltanto io sono ancora qui. E a volte mi domando che cosa ci faccio in questo mondo. Ma devo riconoscere che ritornare al «Corriere» mi mette di buonumore.

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")

donald trump volodymyr zelensky vladimir putin servizi segreti gru fsb cia

DAGOREPORT - L’OSCENO PIANO DI PACE SCODELLATO DA TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA CAPITOLAZIONE DELL’UCRAINA, ANDAVA CUCINATO BENE PER FARLO INGOIARE A ZELENSKY - E, GUARDA LA COINCIDENZA!, ALLA VIGILIA DELL’ANNUNCIO DEL PIANO TRUMPIANO SONO ESPLOSI GLI SCANDALI DI CORRUZIONE A KIEV, CHE VEDONO SEDUTO SU UN CESSO D’ORO TIMUR MINDICH, L’EX SOCIO DI ZELENSKY CHE LO LANCIÒ COME COMICO - PER OTTENERE ZELENSKY DIMEZZATO BASTAVA POCO: È STATO SUFFICIENTE APRIRE UN CASSETTO E DARE ALLA STAMPA IL GRAN LAVORIO DEI SERVIZI SEGRETI CHE “ATTENZIONANO” LE TRANSIZIONI DI DENARO CHE DA USA E EUROPA VENGONO DEPOSITATI AL GOVERNO DI KIEV PER FRONTEGGIARE LA GUERRA IN CORSO…