IDEOLOGIA, FAI RIMA CON CRETINERIA! - GRANDE GOFFREDO PARISE: ‘’DOBBIAMO DISOBBEDIRE AL GENERALE CONFORMISMO DELLA SOCIETÀ ITALIANA, ALLA “BOUTIQUE IDEOLOGICA” IMPOSTA DALL’“OBBLIGO MONDANO”

Raffaele La Capria per il "Corriere della Sera"

Quante cose dell'intelligenza e del carattere di Goffredo Parise ci rivela questo libricino che Adelphi pubblica in questi giorni raccogliendo, a cura di Silvio Perrella, che ne è stato il promotore, gli articoli che Goffredo scrisse tra il '74 e il '75 sul «Corriere della Sera» in una rubrica di dialogo coi lettori intitolata «Parise risponde».

Già dal titolo di questo libro, Dobbiamo disobbedire , abbiamo una prima indicazione: disobbedire a chi? Risposta: al generale conformismo della società italiana, imposto soprattutto dallo spirito del tempo e dalla forza delle opinioni generalmente accettate. Disobbedire non significa dire no a tutto per partito preso, ma esercitare quella speciale critica, quella preziosa funzione, quella necessaria libertà che gli inglesi chiamano dissenting opinion , un'opinione che dissente, si oppone.

Per esercitarla occorre una buona motivazione e una percezione dello stato delle cose che pochi hanno, in specie quelli dotati di autonomia, libertà, individualismo e uno sviluppato senso artistico. Tutte qualità che Parise aveva e che mostrava in ogni espressione della sua multiforme personalità. Cosa lo muove? Lo dice chiaramente: è innanzitutto la curiosità umana, quella curiosità che gli ha fatto scrivere tanti suoi libri e indagare il fondo dell'animo suo e dei suoi personaggi.

E poi la sua regola è quella che gli fa considerare i problemi personali della gente infinitamente più interessanti dei problemi generali, perché questi ultimi gli sembrano astratti rispetto agli altri che portano a una conoscenza diretta.

Un altro punto centrale è quello che si riferisce allo stile, perché lo stile «è il carattere di una persona» e previene ed annuncia il contenuto, e insomma è il vero contenuto. Tutte queste osservazioni partono dalla «logica elementare» che Parise oppone alla «logica ideologica» che lo spirito del tempo usa più frequentemente. Ma ecco come lo dice: «L'obbligo mondano impone la boutique ideologica», «cretinerie da Francia ‘68», «gran marché aux pouces ideologico e politico di questi anni».

È questo il suo stile. La povertà, cioè un rapporto anche conoscitivo con le cose, diverso dal consumismo, sarebbe secondo lui il rimedio al «nuovo fascismo» che questo consumismo ha istaurato e che Pasolini per primo aveva diagnosticato. A un lettore che gli scrive di preferire il silenzio a tutto il rumoroso baccano politico, perché vuol essere lasciato in pace, risponde: «Il silenzio che lei tanto ama è la dittatura».

Una risposta drastica e illuminante. Lui, Parise, non pensa mai in termini assoluti, dice che questo gli ripugna del comunismo, pensare per assoluti. Se la prende anche con la politica quando viene scelta come carriera, e dice che «Tutti quelli che hanno fatto carriera politica venivano giudicati "falsi" da noi ragazzi».

Oggi non solo i ragazzi la pensano così, e l'antipolitica imperversa. Tuttavia Parise, che ama le distinzioni, fa una differenza tra chi ha vissuto una «carriera politica» e chi invece ha vissuto una «vita politica» e mi sembra una distinzione ancora buona. La vanità di apparire porta molti politici in televisione, ma questo genera nello spettatore una serie di osservazioni negative che l'analisi fisiognomica della cultura contadina antico-italiana mette in primo piano, perché «conosce i muscoli facciali nel bene e nel male».

Certo, quando Parise fa questi discorsi si sente che il suo è un linguaggio da artista, un linguaggio fantasticante diverso dal solito linguaggio politicante, che spesso scade nel pettegolezzo. E quando dice che la faccia di Berlinguer «in certe ultimissime fotografie ha delle stanchezze di dama in nero», sentiamo che questo suo linguaggio fantasticante ha risvolti profondamente rivelatori.

L'Italia, quella che Parise ama, è ormai sparita con tutti i suoi aspetti politici, culturali, linguistici, fonici, agricoli, e non soltanto paesaggistici, quella è ormai lontana, e quanta amarezza si sente dietro le sue parole quando dice che non la ricorda, e che non vuole più nemmeno ricordare la sua giovinezza vissuta in quell'Italia. «Io non ricordo più quei paesaggi e quelle montagne... né ricordo più la città dove son nato, se non vaghe luci, come in sogno...non ricordo e non voglio ricordare...».

Goffredo Parise sa che l'Italia non vuole più essere Italia, e questo è il tono amaro e dolente della sua spregiudicatezza. Ma è vero anche che in lui lo scetticismo si mescola sempre alla passione, il pessimismo apre spiragli all'utopia, alla fiducia, ed è questo che rende così straordinario l'impasto linguistico e concettuale di questo piccolo e prezioso libricino.

 

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