INGROIA QUESTO FLOP – IL “PARTITO DEI PUBBLICI MINISTERI” RESTA FUORI DAL PARLAMENTO MA L’EX PM RILANCIA (“NON MI RITIRO DALL’ATTIVITÀ POLITICA”) E SE LA PRENDE CON PD E GRANDI GIORNALI – IL BLOGGER MASCIA DELIRA: “L’IMITAZIONE DI CROZZA HA TOLTO VOTI” - L’ITALIA AVRÀ UN DISOCCUPATO IN PIÙ: L’IDOLO DI “PIAZZAPULITA” FAVIA, ESPULSO DA GRILLO E AFFONDATO CON INGROIA, LASCERÀ IL POSTO DI CONSIGLIERE REGIONALE DEL M5S…

1 - IL RIBELLE FAVIA DISOCCUPATO «MI DIMETTO»
Dal "Corriere della Sera"

«In politica ci si deve battere anche quando si sa che il vento soffia altrove. Ora maniche rimboccate per costruire un Paese migliore, fuori o dentro il Palazzo che sia». Così Giovanni Favia, capolista alla Camera per Rivoluzione civile, ieri ha commentato il flop della lista Rivoluzione civile guidata da Antonio Ingroia. L'ex grillino, espulso da Beppe Grillo dal Movimento 5 Stelle, promette anche che lascerà presto il posto di consigliere regionale, così come aveva promesso prima del voto: «Per il resto - ha precisato infatti Favia - portate a termine le mie attività in corso darò le dimissioni come avevo già dichiarato dopo l'espulsione».

2 - «L'IMITAZIONE DI CROZZA HA TOLTO VOTI»
Dal "Corriere della Sera"

«Il Partito democratico ha fatto una battaglia per il voto utile ma, come si vede dai primi risultati, è stato un voto utile per Berlusconi». È il giudizio di Gianfranco Mascia, candidato di «Rivoluzione civile» per il consiglio regionale del Lazio. «Pier Luigi Bersani, invece - prosegue Mascia - avrebbe dovuto aggregare tutte le forze del centrosinistra mentre così non è stato e la Lista Ingroia è stata considerata un avversario». È il commento amaro di Mascia quando via via nel pomeriggio i dati confermano che il movimento di Antonio Ingroia otterrà un risultato molto lontano dalla soglia di ingresso del 4 per cento.

Mascia se la prende con l'informazione e con la satira in televisione. «Ho ancora fiducia - dice - anche se siamo stati penalizzati dal blackout informativo e da Crozza, che ci ha "segato" tutto l'elettorato del Nord Italia con le sue imitazioni di Ingroia». Esaminando il boom di Beppe Grillo, il blogger Mascia (che in campagna elettorale ha denunciato di aver ricevuto una lettera di minacce) osserva che «i cittadini hanno privilegiato il voto di protesta piuttosto che il voto di proposta. Forse i grillini saranno anche d'accordo a tagliare le spese per gli F-35 ma sui temi del lavoro, dell'immigrazione e dei diritti civili, se non c'è una sinistra come Rivoluzione civile e Sel, c'è il rischio che rimangano temi senza tutela e tenuti lontani da ogni agenda politica». Mascia si era fatto anche promotore di due esposti alla magistratura contro Berlusconi, uno per la lettera sull'Imu e l'altro per l'interruzione del silenzio elettorale.

3 - INGROIA: «DI CERTO NON MI RITIRO DALL'ATTIVITÀ POLITICA»
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Il suo destino, per adesso, resta incerto. Almeno ufficialmente. D'altronde ha impiegato alcune settimane per sciogliere la riserva sull'ingresso in politica, difficile immaginare una decisione repentina di Antonio Ingroia per sancirne l'uscita e il ritorno in magistratura, in Guatemala o in qualche altro angolo di mondo. «Per il momento non mi pongo il problema - sibila mentre si divide tra una telecamera e l'altra -, devo occuparmi del futuro di Rivoluzione civile. Di certo non mi ritiro dall'attività politica».

E ribadisce: «Considero la strada che ho intrapreso senza ritorno rispetto al ruolo di pubblico ministero. Non mi dimetterò dalla magistratura». Inutile chiedergli se ha commesso errori, perché risponde che rifarebbe tutto: «Non ho dubbi, sono altri che devono fare l'esame di coscienza». A cominciare da Bersani e il Pd, dichiara in ogni intervista.

Dunque Ingroia continua a parlare di politica, e gli tocca fare i conti con la sconfitta del movimento che ha messo in piedi. Il «partito dei pubblici ministeri», come qualcuno l'aveva ribattezzato, ha perso. E in particolare ha perso lui, che aveva messo in gioco volto e nome; ha perso per conto di tutti gli altri, che nel momento della sconfitta sembrano averlo lasciato solo.

Non si vedono Di Pietro né De Magistris, gli altri due ex magistrati di questa operazione, né c'è traccia di altri politici di professione che hanno tenuto a battesimo Rivoluzione civile, dal «comunista italiano» Diliberto al verde Bonelli. Nella sede del comitato a metà strada tra il palazzo che fu dei gesuiti e quello che ospita la Camera dei deputati si affacciano solo Leoluca Orlando e Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione comunista che per la seconda elezione consecutiva resta fuori dal Parlamento. Ma nemmeno di questo Ingroia si rammarica. Almeno in pubblico. Altri che invece gli sono rimasti accanto, aspiranti deputati mancati, storcono la bocca non solo per l'assenza dei leader alleati, ma pure per lo scarso appoggio arrivato dai loro partiti in campagna elettorale.

Stavolta il pm Antonio Ingroia non ha perso un processo, ma la sfida politica ingaggiata sull'onda delle inchieste e dei processi celebrati in vent'anni di indagini antimafia. È l'accusa che gli hanno mosso in tanti, ma è pure la storia che lui stesso ha rivendicato. Senza ammettere di aver abbracciato la politica per proseguire le battaglie giudiziarie contro gli stessi avversari, come sostengono i suoi detrattori, ma delineando una continuità ideale tra l'impegno in Procura e quello in Parlamento. Che però non ci sarà: togliere la toga e indossare i panni del leader di un partito costruito in un mese e mezzo non è bastato per entrare a Montecitorio.

È il fallimento di un esperimento unico nella storia dell'Italia repubblicana: quello di un magistrato che, in sostanziale continuità con la sua precedente attività, ha fondato un partito, gli ha dato il suo nome e s'è candidato alla guida del governo. Nessuna toga passata alla politica - e ce ne sono state diverse, in tutte le epoche, fino a Di Pietro e De Magistris, per l'appunto - aveva tentato un salto tanto ardito e repentino. Ingroia sì. Forse sopravvalutando le sue capacità d'attrazione, o sottovalutando le difficoltà imposte da un calendario che ha cambiato di molto i programmi iniziali.

La ritardata partenza per il Guatemala a causa delle lungaggini e delle polemiche legate all'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia (completa di pesanti ricadute politiche per le intercettazioni che hanno coinvolto il presidente della Repubblica) e lo scioglimento anticipato delle Camere hanno fatto suonare la sirena troppo presto. Ingroia ha voluto correre lo stesso, e ha perso.

Ora dice che la colpa è degli altri, dal Pd che gli ha «sbattuto la porta in faccia» alla «censura» di tv e grandi giornali. Anche per questo non annuncia che tornerà in Guatemala (ammesso che quel posto occupato per meno di due mesi sia ancora disponibile) o in qualche altro ufficio giudiziario lontano da Palermo. E promette, al contrario, di proseguire il suo impegno per dare un futuro a Rivoluzione civile, a cominciare dalle prossime competizioni elettorali.

Amministrative, aggiunge nelle dichiarazioni ufficiali, ma pure lui ha in mente l'eventualità di una nuova, imminente competizione per un Parlamento che si annuncia senza maggioranza. «La storia non è finita qui, abbiamo solo perso una battaglia che era giusto combattere», insiste senza dare a intendere quanto ci creda davvero. Quasi come avesse perso un processo. Ma non è la stessa cosa.

 

 

CROZZA IMITA INGROIAANTONIO INGROIA CON IL SIMBOLO DELLA SUA LISTA GIOVANNI FAVIAFAVIA E GRILLO

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