E’ MORTO JFK? E CHISSENEFREGA! L’ARTICOLO CHE IL “NEW YORK TIMES” CESTINO’ A GAY TELESE SULLO CHOC (CHE NON CI FU) PER L’ASSASSINIO DI DALLAS

Gay Talese* per "La Stampa"

Millenovecentosessantatré: a quel tempo ero un giornalista del New York Times. Generalmente, scrivevo di folle e persone. Mi occupavo, di solito, delle feste nel giorno di San Patrizio, delle rivolte a Harlem, di alcune risse - ce n'erano un sacco in quegli anni. Ero un cronista della carta stampata, non una sorta di romanziere come ce n'erano per il New York Herald Tribune.

Nel 1963 il Tribune era come una bella nave ancora a galla, ma in fase di inabissamento, con a bordo bravi giornalisti che ancora ballavano. Come Jimmy Breslin, Tom Wolfe e un sacco di altri. Io, in compenso, ero uno dei pochi del «Times» ad avere totale autonomia. Certo, non tanto quanto Breslin e Wolfe: voglio dire, il New York Times era davvero un giornale di reporter, un quotidiano di redattori, mentre il Tribune era un giornale di narratori. Ho voluto specificarlo in funzione di ciò che accadde dopo.

Wolfe e io ci vedevamo in giro, come giornalisti eravamo in competizione perché spesso dovevamo scrivere degli stessi argomenti. Quando il Presidente Kennedy fu assassinato, immediatamente ebbi la sensazione che quello sarebbe stato il mio incarico successivo. E così fu: l'editore mi chiese quale fosse la reazione delle persone a New York.

Avevo scritto della folla a Cape Canaveral, della spiaggia di Cocoa Beach e simili. Se Mickey Mantle avesse tentato di superare il record di Babe Ruth a baseball, avrei scritto delle reazioni della folla. Coprii le rivolte nel 1964; mi occupai della marcia di Selma e delle lotte per i diritti civili. Tornando al '63, sapevo che avrei trattato la reazione popolare all'assassinio. Il direttore mi disse di andare e studiare le reazioni delle persone. Così iniziai a camminare per le strade, semplicemente.

Il New York Times era al 229 West della Quarantatreesima strada a quel tempo: era tra la Ottava e Times Square. «Bene, adesso vado in metropolitana e scenderò a Wall Street. Magari passerò per Little Italy o andrò a Chinatown, magari prenderò un'altra metro per arrivare nel West Side. Forse mi fermerò al Garment Center, nella Trentaquattresima strada, se riesco poi andrò fino a Harlem, nella Centoventicinquesima».

Il mio piano era quello. Mi fermai quando vidi Tom Wolfe. Come collega, era un buon giornalista, lo ammiravo. Lo vidi per strada: stava arrivando dalla Quarantesima, dagli uffici del Tribune. Gli urlai: «Ehi, Tom, cosa stai facendo, ti stai occupando delle reazioni della gente anche tu?».

Mi rispose di sì. Suggerii di prendere un taxi insieme: era troppo costoso salirci da solo, soprattutto per andare in centro. Arrivati, camminammo da Canal Street a quella che sarebbe poi diventata Little Italy, o forse verso Chinatown, o forse da qualche altra parte lì in mezzo a cui nessuno ha mai dato un nome di quartiere identitario. Sentivo dalle autoradio la notizia del dramma avvenuto a Dallas: ma non vedevo piangere nessuno, nessuno gridava a gran voce: «Oh mio Dio, cosa faremo adesso?»; o «Che cosa terribile». Nessuno.

Io? No, non fui particolarmente sconvolto dalla notizia. Era solo lavoro. È la cosa peggiore per noi giornalisti: non so se sia ancora così, ma posso raccontarvi l'esperienza della mia generazione. Wolfe e io abbiamo circa la stessa età, entrambi cresciuti negli anni Cinquanta e Sessanta, quando da ogni parte c'erano storie interessanti. Si poteva tranquillamente evitare di provare pena per un ragazzo privilegiato e ricco come JFK. Sapevo che aveva un fratello maggiore morto in guerra, e ne rimasi colpito, eravamo circa della stessa età.

Ricordo che con John Kennedy in televisione ero molto orgoglioso di essere americano. Era meraviglioso in quelle conferenze stampa, sapeva parlare benissimo. Era un giovane uomo di bell'aspetto, ricco, con una moglie affascinante, era capace di riemergere dalla crisi dei missili di Cuba e dalla Guerra fredda, pareva essere in cima al mondo. Insomma, come ci si poteva sentire davvero dispiaciuti per lui?

Ma non dovevo parlare di me, delle mie impressioni. Quello che intendevo fare era scrivere di ciò che potevo vedere. Così andai per strada, non avevo neppure bisogno di chiedermi come si stesse muovendo Tom Wolfe dal momento che era con me. Camminammo insieme, ogni tanto ascoltavamo la radio. Ma per strada non c'era niente da ascoltare. Mi ricordo che ci spostammo verso il Diamond District e sulla Cinquantesima Ovest; raggiungemmo Yorkville in metropolitana, facemmo un ulteriore giro e, alla fine, tornammo a Times Square per lavorare. Non vidi niente. Pensai che tutto quel silenzio fosse interessante. Era come se la vita di ogni giorno, la routine fosse in grado dominare le emozioni e le reazioni delle persone.

Io tornai al mio giornale, Tom al suo. Ricordo quello che dissi al direttore, il signor Adams: «Sembra che non ci sia alcun segno di angoscia, là fuori. Non ho visto gente piangere per strada e non ho sentito nulla di significativo. Ma posso scrivere di questo, se vuoi».
Ci sono casi in cui la storia che hai tra le mani non è quella a cui avevi pensato.

Immaginavo che avrei visto persone reagire come quando l'esercito tedesco entrò a Parigi nel 1940, o anche solo qualche incidente d'auto. La gente reagisce con orrore, con tristezza o con lacrime: ma non ci fu niente di tutto questo. Feci alcune supposizioni, la più credibile fu quella dello choc.

Camminai su e giù per i corridoi della redazione fino alle cinque del pomeriggio: dovevo scrivere il mio articolo entro le sette. «Posso scrivere di questa non-reazione», suggerii nuovamente all'editore. Mi rispose: «Non serve, ho altre storie». Non aveva bisogno di me, non voleva una storia al contrario. La mia sarebbe stata una non-storia, un'assenza di avvenimenti.

*Cronista per il New York Times e poi per Esquire, è uno dei padri del «New Journalism» che cambiò l'informazione americana e mondiale Il suo libro più noto è «Onora il padre»
[traduzione di Martina Carnesciali]

 

 

omicidio kennedy Gay TaleseJOHN KENNEDY E MARILYN Gay Talese coverterry e gay talese FOTO BY TERRY RICHARDSON John F KEnnedy e Jacqueline in barca nel

Ultimi Dagoreport

matteo salvini luca zaia giorgia meloni

DAGOREPORT – COSA SI SONO DETTI GIORGIA MELONI E LUCA ZAIA NELL'INCONTRO A PALAZZO CHIGI, TRE SETTIMANE FA? - TOLTA SUBITO DI MEZZO L'IDEA (DI SALVINI) DI UN POSTO DI MINISTRO, LA DUCETTA HA PROVATO A CONVINCERE IL “DOGE” A PRESENTARE UNA SUA LISTA ALLE REGIONALI IN VENETO MA APPOGGIANDO IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA (ANCORA DA INDIVIDUARE) - MA TRA UNA CHIACCHIERA E L'ALTRA, MELONI HA FATTO CAPIRE CHE CONSIDERA ZAIA IL MIGLIOR LEADER POSSIBILE DELLA LEGA, AL POSTO DI UN SALVINI OSTAGGIO DELLE MATTANE DI VANNACCI – UN CAMBIO DI VERTICE NEL CARROCCIO EVOCATO NELLA SPERANZA CHE IL GOVERNATORE ABBOCCHI ALL’AMO...

elly schlein giorgia meloni beppe sala ignazio la russa maurizio lupi marcello viola

DAGOREPORT - NESSUNO VUOLE LE DIMISSIONI DI BEPPE SALA: DA SINISTRA A DESTRA, NESSUN PARTITO HA PRONTO UN CANDIDATO E TRA POCHI MESI A MILANO COMINCIANO LE OLIMPIADI MILANO-CORTINA – MA SALA VUOLE MANIFESTARE ALL'OPINIONE PUBBLICA UNO SCATTO DI DIGNITÀ, UN GRIDO DI ONESTÀ, UNA REAZIONE D'ORGOGLIO CHE NON LO FACCIA SEMBRARE  ''LU CIUCCIO 'MIEZZO A LI SUONI'' - L’UNICO A CHIEDERE IL PASSO INDIETRO DEL SINDACO È IGNAZIO LA RUSSA, CHE INVECE UN CANDIDATO CE L’HA ECCOME: MAURIZIO LUPI. METTENDO SOTTO LA SUA ALA IL PARTITO DI LUPI, "NOI MODERATI", ‘GNAZIO SOGNA IL FILOTTO: CONQUISTARE SUBITO IL COMUNE DI MILANO E NEL 2028 LA REGIONE LOMBARDIA – MOLTO DELL’INCHIESTA SULL’URBANISTICA DIPENDERÀ DALLA DECISIONE DEL GIP, PREVISTA PER MERCOLEDI': SE IL GIUDICE NON ACCOGLIERÀ LE RICHIESTE DEI PM (CARCERE O DOMICILIARI PER GLI INDAGATI), LA BUFERA PERDERÀ FORZA. VICEVERSA…

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER?