bruno gambarotta

‘’LA RAI È CAMBIATA: OGGI È UNA PALUDE COME L’ITALIA INTERA’’ – LE MEMORIE DEI QUARANT’ANNI TRASCORSI IN RAI DI BRUNO GAMBAROTTA - FU CAMERAMAN, PROGRAMMISTA E CONDUTTORE ACCANTO AL PAUROSO CELENTANO – IL PRIMO TALK DI COSTANZO, L’ALCOLISMO DI CARMELO BENE, LA CURIOSITA’ DI ANGELO GUGLIELMI, LE CHIACCHIERE DI CAMILLERI, I MOCASSINI IN PELLE DI LEOPARDO DI PASOLINI - L’AMICIZIA CON PAOLO CONTE E GIORGIO FALETTI – ‘’LA RAI ERA LA PIÙ GRANDE AGENZIA DI COLLOCAMENTO PER INTELLETTUALI IN DIFFICOLTÀ FINANZIARIA - CENSURA IN RAI?  PIUTTOSTO, AUTOCENSURA…’’

gambarotta celentano

Antonio Gnoli per Robinson - la Repubblica - Estratti

 

Ottantasette anni, Bruno Gambarotta (da non confondere con Gambacorta «non sai quante delusioni mi ha dato quello scambio di nomi») è un piemontese che ha fatto dell’umorismo la sua veste leggera. Ha pubblicato un libro sfizioso: Fuori programma (Manni), le memorie dei quarant’anni trascorsi in Rai. Sembrano giungere dal “sottosuolo”.

«Spero non da sottoterra», dice ironico, quasi in perfetto equilibrio tra Dostoevskij e Macario.

bruno gambarotta cover

In Rai sei stato tante cose: cameraman, programmista, conduttore, hai affiancato celebrità come Celentano e condotto trasmissioni di successo riesumate come “Lascia o Raddoppia?”. Anche tu underdog?

«L’underdog parte da sfavorito in una competizione e sovverte il pronostico. È un ultimo che arriva primo, senza che nessuno lo abbia visto arrivare. Io non mi sono mai messo in gara. Se proprio mi vuoi definire, mi si confà l’immagine dello “sherpa”».

 

Ti piaci in questo ruolo?

«Non sono mai stato un maschio alfa. Ricordo che alle feste i miei compagni ballavano e fumavano, io cambiavo i dischi e detestavo il fumo. Non sono mai stato uno sportivo. Sono monogamo, sposato con la stessa moglie da 59 anni. Troppo faticoso tradire o, peggio, avere due famiglie!».

 

gambarotta bruno 1

 

 

 

Eri tutto casa e Rai.

«In quarant’anni non ho mai fatto un giorno di malattia. La mia dote principale è la resistenza».

 

Cos’altro ti piace di te?

«Non aver mai aspirato a stare sul ponte di comando. Il mio posto ideale è la sala macchine. Lì sotto, nel fumo e nel vapore, l’aspetto fisico non ha molta importanza».

Giovanni Leone

 

A proposito di aspetto fisico: hai una somiglianza impressionante con l’ex presidente Giovanni Leone.

«Oggi ho un’aria più mefistofelica. Ma è vero, gli somigliavo. Nanni Loy mi truccò da lui per una scenetta da girare su un treno. I passeggeri dovevano fingere di non riconoscermi. Io seduto tra loro e un attore vestito da cameriere che mi serve lo champagne. Peccato che non si girò. Quando era tutto pronto, i vertici della Rai bloccarono la scena. C’era il rischio del vilipendio».

 

Il vertice dei vertici allora era Ettore Bernabei.

«Nei quindici anni del suo regno è stato il nostro Conte Zio, il personaggio manzoniano che dice al Padre Provinciale: “Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire”. A Bernabei si attaglia la descrizione che Saint-Simon nelle Memorie fa del duca di Noailles: “Eguale facilità a lodare o biasimare lo stesso uomo o la stessa cosa, secondo la persona con cui si parla”».

ettore bernabei

 

Si chiama carota e bastone.

«Non ho mai conosciuto nessuno cui piacesse il bastone».

 

Come lo evitavi?

«Ero uno sherpa, non prendevo vere decisioni. Facile perciò evitare la reprimenda. Però voglio dirti una cosa».

 

A proposito di che?

«Della censura in Rai. I casi clamorosi del passato sono relativamente pochi. Per il semplice motivo che la censura che abbiamo messo in pratica era una forma di autocensura. Sarebbe stata solo un’inutile perdita di tempo portare avanti proposte destinate a essere scartate».

luciano lutring lea massari maurizio costanzo bonta loro

 

La Rai ha una storia lineare e complessa. Si è passati dalla televisione pedagogica a quella commerciale e infine narcisistica. Oggi come la definiresti?

«È una Rai che galleggia sulla palude. Si muove a vista cercando di non sprofondare. Non ha un disegno o un progetto, tende solo a sopravvivere. Esattamente come l’Italia in questa stagione».

Andrea Camilleri

 

 

 

 

 

Si dice spesso che sia la più grande azienda culturale del Paese.

«Sicuramente lo è stata. Soprattutto quando aveva il monopolio era la più grande agenzia di collocamento per autori in difficoltà finanziaria. Si commissionava il copione di un originale televisivo da realizzare in studio della durata di un’ora e con pochi personaggi. Alla consegna il copione veniva ricompensato, non con cifre stratosferiche, e finiva in un armadio».

 

Tra gli scrittori che hanno lavorato in Rai c’era Andrea Camilleri.

«Praticava il culto dell’amicizia ed era prodigo di attenzioni. Un affabulatore meraviglioso. I suoi racconti orali erano ipnotici. Da ragazzo sognava di diventare ammiraglio. Più Conrad che il commissario Montalbano».

augias Angelo Guglielmi

 

Un’altra presenza importante è stata Angelo Guglielmi.

«Dotato di una curiosità mostruosa, amava il rischio e l’avventura. In ogni famiglia deve esserci uno scavezzacollo».

 

È vero che dietro il primo grande successo di Maurizio Costanzo c’era Guglielmi?

«Guglielmi aveva visto un talk show innovativo sulla tv francese, mi chiese di contattare Costanzo. Voleva tentare di proporlo in Italia. Ci vedemmo e Maurizio ebbe l’idea geniale di creare una specie di salotto con una porta che si apriva all’inizio e poi si chiudeva alla fine del programma. Suggerii come titolo Bontà sua.

Costanzo lo corresse: Bontà loro. Così nacque il primo talk show di successo. Ma all’inizio nessuno ci credeva».

carmelo bene

 

Chi non ci credeva?

«I capistruttura che si rifiutavano di inserirlo nel loro palinsesto. Alla fine fu Paolo Valmarana a cederci uno spazio dopo il film del lunedì. Il successo imprevisto fece sì che tutti a quel punto volessero avere in programma Bontà loro. Maurizio Costanzo non era un uomo, era un’agenda vivente, con nomi e recapiti di tutti quelli che potevano servirgli nel suo lavoro».

 

Hai frequentato anche Carmelo Bene.

«Imprevedibile e tirannico. Poteva abbandonarsi a scene selvagge di ira e di collera contro gli attori.

Ricordo le prove per un allestimento di Otello. Facevo una fatica enorme a trascinarlo alle prove. Si inchiodava al bar ingollando qualsiasi alcolico. Era una pena infinita vederlo autodistruggersi».

 

gambarotta celentano 34

 

Non era posa?

«Non credo recitasse il ruolo dell’artista maledetto. No, non era una posa ma dolore vero».

 

Un altro personaggio complicato con cui hai lavorato è stato Adriano Celentano.

«Sono trascorsi 38 anni dall’avventura con il Molleggiato. Sono tentato di attribuire a Celentano una dichiarazione di Thomas Hobbes: “L’unica passione della mia vita è stata la paura”».

oreste del buono e pasolini

 

 

Che cosa temeva?

«Che volessero sfruttarlo e prenderlo in giro. Aveva creato il Clan come un fortino dentro cui difendersi. Ma è troppo complicato per poterlo spiegare a fondo».

 

Hai scritto che di Pasolini ricordi solo le scarpe.

«Mi ero da poco trasferito a Roma. Accompagnai Adriano Aprà da Pasolini, all’Eur. Ho una vaghissima memoria dei complicati discorsi che imbastì sul tema dello strutturalismo, moda culturale appena arrivata in Italia, mentre mi si stagliano vividi nella memoria i suoi mocassini in pelle di leopardo. Ne avevo visti il giorno prima un paio uguali esposti in via Condotti, costavano 220 mila lire. Il mio stipendio di allora».

 

Paolo Conte alla Scala

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Nella tua città sono nati, tra gli altri, Paolo Conte e Giorgio Faletti. C’è qualcosa che invidi all’uno o all’altro?

«Il mio primo ricordo di Paolo è legato a un libro. Avevo 15 anni, comprai Il mestiere di vivere di Cesare Pavese. Amavo talmente Pavese che volevo somigliargli. Perciò misi su un paio di occhiali pesantissimi, simulando la perdita della vista.

 

Mi vantai del libro con Paolo e lui rispose: “guarda, lo ha appena letto mio padre, dice che Pavese era un imbranato con le donne!”. Per me fu una coltellata. Mi tolsi definitivamente gli occhiali. A Paolo invidio l’alone che lo circonda, il suo meraviglioso esotismo di provincia, la sua disinvoltura. Giorgio Faletti è morto troppo presto: gli invidio i ricordi che ha lasciato della nostra amata Asti».

cesare pavese 1

 

…………………….

 

Quarant’anni di Rai. Cosa ti manca di quel mondo?

«Le persone, i loro racconti, i tic, i pettegolezzi, le debolezze, le insane passioni, le litigate sulle più trascurabili sciocchezze. Non mi manca la mia vecchiaia che tristemente evapora e combatto, per quel poco, con il muscolo della memoria, sforzandomi di rispondere alle tue domande».

tony binarelli maurizio costanzo giorgio falettiPIPPO BAUDO GIORGIO FALETTI - CANALE 5

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