corrado augias

"MI DICONO: “VECCHIO RINCOGLIONITO, COSA ASPETTI A TOGLIERTI DALLE PALLE?” - CORRADO AUGIAS FA 90 E ATTACCA: “SONO UN BERSAGLIO DELLA DESTRA VISIBILE E MOLTO INDIFESO. QUELLO CHE MI DÀ FASTIDIO NON È LA CRITICA MA L’INSULTO, IL GIOCO ORMAI È CATTIVO" - IL TEATRO SPERIMENTALE, SCALFARI E IL PIANISTA DI VIA VENETO CHE "QUANDO LO VEDEVA SI METTEVA LE MANI NEI CAPELLI", LO SCANDALO DI UNGARETTI QUANDO DISSE PER LA PRIMA VOLTA IN RADIO LA PAROLA “CAZZO”, IL RIFIUTO "DONCHISCIOTTESCO" DELLA LEGIONE D’ONORE – “SO CHE VORREI MORIRE SENZA DOLORE. E NON VORREI NEANCHE ANDARE IN SVIZZERA”

Dario Olivero per repubblica.it - Estratti

 

corrado augias

Ma chissà se è vero che vuole morire in scena come Molière o se è solo una frase che gli ha strappato un collega e ne ha fatto un buon titolo di giornale. Ma come si fa a domandarglielo a vederlo lì, dritto nei suoi novant’anni (domenica prossima) come un generale della Grande Armée, di cui peraltro è colma una bacheca di soldatini di piombo, nella penombra di una stanza che, come si usa dire, è foderata di libri.

 

Come si può credere che ci stia davvero pensando mentre ha infilato questa visita nell’agenda stipata di un uomo che deve aver trovato, se non il segreto, almeno un buon piano per addomesticare il tempo. Quindi la domanda vera resta per un po’ in sospeso, si glissa.

 

corrado augias

Meglio buttarla su qualcosa di più sicuro: il giornale, Repubblica. Perché Augias c’era, c’è e c’è sempre stato: Corrado, come ti sembra? «Ottimo, il giornale è bello, ordinato, sorprendente», risponde sedendosi in una poltrona non di fronte ma di fianco, come se ci preparassimo a guardare lo spettacolo di ombre proiettate dalla porta a vetri alle spalle. «Una caverna platonica in effetti», commenta.

 

 

 

«Si vede il lavoro dietro, la fatica. Il giornalismo è una disciplina di ferro. Quando ero corrispondente da New York, a metà degli anni ’70, vivevo con sei ore di ritardo su Roma. Andavo in redazione la mattina molto presto e in Italia era già pomeriggio: una corsa continua».

 

corrado augias

Se lavori da New York, ti svegli all’alba ed è già tardi. E quando l’ansia finisce perché in Italia finalmente è notte, non ti resta che bere. Copyright Filippo Ceccarelli.

«Si infatti: entri in una spirale di tempo, spazio e velocità di scrittura. Che spiega perché un certo aspetto del giornalismo è di necessità approssimazione. Da qui il felicissimo titolo del libro di Bernardo Valli, La verità del momento. Scalfari lo diceva: preoccupiamoci di essere attendibili fino all’ultima verifica possibile, ma se sbagliamo, il giorno dopo dobbiamo riequilibrare e il giorno dopo di nuovo. È tutta una danza».

 

 

(..)

Compari molto più spesso sui giornali di destra che su Repubblica. Sei la loro ossessione: perché?

«Perché sono un bersaglio allo stesso tempo abbastanza visibile e molto indifeso».

 

corrado augias e la squadra di calcio di repubblica

E questa cosa ti dà fastidio?

«Fa parte del gioco. Quello che mi dà fastidio non è la critica. Quello che mi dispiace è l’insulto: sapessi cosa mi arriva dai social o via mail. A riassumere il concetto è più o meno: “Vecchio rincoglionito, cosa aspetti a toglierti dalle palle?”. Lo so, il gioco ormai è cattivo».

 

Quando hai capito che la tua figura lì in mezzo al discorso pubblico cominciava a diventare, il termine è un complimento, anacronistica?

«Alle volte ci gioco sulla figura del vecchio gentiluomo, il vecchio che ancora possiede un po’ di lume della ragione. Sono assistito da una memoria buona. E devo dire una cosa».

 

Prego, mal che vada finisci ancora sui giornali di destra.

corrado augias federico fellini

«Il ministro Valditara vuole reintrodurre nelle scuole lo studio delle poesie a memoria. Io sono d’accordo, ai tempi miei si imparava a memoria. Ancora oggi me le ricordo quasi tutte, e affliggo i miei nipoti: “settembre andiamo, è tempo di migrare”, La pioggia nel pineto, Dante, Pascoli... La memoria è un muscolo che va allenato. Però la tua domanda era diversa».

 

A proposito di memoria a breve.

«Fare il vecchio un po’ fuori dal tempo ha anche un piccolo valore pedagogico, serve a ricordare, a fare un collegamento col passato per tenere vivo il senso della storia. Non molti anni fa, le cose erano così, poi sono cambiate e ora i social hanno accelerato questo cambiamento. Ricordo lo scandalo di Ungaretti quando disse per la prima volta in radio, la parola “cazzo” e al giornale le discussioni su come si dovesse riferire per iscritto quella parola: c con puntini? c senza puntini?».

 

Alla fine puntini o no?

«No, senza. Invece oggi la velocità di espressione per cui nessuno fa più caso a niente, spiega anche perché invece della critica – che richiede una minima elaborazione del pensiero – c’è l’insulto. Basta un “ma vaffanculo”: ecco fatto. E per l’uomo della mia età, è molto brutto».

corrado augias andrea barbato eugenio scalfari

 

Salto nel passato. Dietro a questa figura anacronistica e, altro termine usato come complimento, istituzionale c’è stato un giovane Augias forse non sovversivo, ma sicuramente non allineato. Hai fondato un teatro sperimentale.

«Nei primi anni Sessanta con Franco Quadri mettemmo in scena uno spettacolo che si chiamava Direzione memorie, in una cantina vicino a piazza Mazzini. Paolo Grassi, direttore del Piccolo, lo venne a vedere. Gli piacque talmente che lo portò a Milano per dieci giorni di repliche».

 

E come andò?

«Benissimo (off the records non ci dette una lira, dettagli eh?). Era un gesto di ribellione un po’ giovanilistico, ma era portato dai tempi. Erano gli anni che precedevano il ’68, di Giovanni XXIII e di Kennedy, dell’eurocomunismo, degli hippy negli Stati Uniti. E così nel nostro piccolo di provincia italiana, sentivamo la ribellione anche noi».

CORRADO AUGIAS - 1

 

Anche Angelo Guglielmi a Raitre veniva dal Gruppo 63.

«Sì ma era un’altra cosa. Intanto Guglielmi arriva più tardi, a metà degli anni ’80. E non voleva distruggere il vecchio, voleva aggiungere al vecchio una dimensione in più: Raitre nasce per portare in televisione quello che non c’era mai stato, cioè pezzi di realtà. Fece di necessità virtù. Ricordo ancora la sua vocetta quando mi disse: “Noi non abbiamo i soldi per fare gli sceneggiati. Telefono giallo sarà il nostro sceneggiato, quindi regolati di conseguenza”».

 

Con la televisione sei diventato Augias.

«Sì, è vero. Ebbi una grande popolarità, ma non come quella che ho adesso. Oggi non sono soltanto popolare, ma oltre agli insulti che mi arrivano, ricevo anche molto affetto, forse perché sono un novantenne prossimo all’uscita. Stamattina ho trovato questa lettera di una signora che non conosco che mi dice quanto mi vuole bene. Perché sugli argomenti che tratto, qualche pagina di storia, un po’ di musica, credo di avere il controllo, di tenere sempre l’uditorio insieme, quelli che ne sanno un po’ di più e quelli che ne sanno di meno. Un po’ è tecnica, un po’ istinto, un po’ saper raccontare. Ho molto ho imparato da Eugenio, ti devo dire la verità».

dago corrado augias 1 la torre di babele

 

 

Da Scalfari?

«Rubo ancora degli stilemi di Eugenio: quando faceva la riunione del mattino teneva letteralmente inchiodati tutti intorno al tavolo. Usava piccoli trucchi da grande narratore, e io ho succhiato quella lezione e la riproduco».

 

Poco fa parlavi di musica…

«Ho quasi pronto un libro che racconta la musica in maniera che possa essere capita da tutti. Ci ho messo un anno e mezzo a scriverlo. La musica è una mia passione. E una mia frustrazione. Non sono mai stato bravo a suonare il pianoforte».

 

Anche Scalfari aveva questa frustrazione del pianoforte.

«Andavamo insieme in uno di quei locali degli anni ’60, in via Veneto, dove c’era il piano bar. Quando ci vedeva arrivare e avvicinarci per suonare il pianista si metteva le mani nei capelli».

 

 

(...)

La tua seconda città è Parigi, non New York.

la torre di babele - corrado augias

«Un grande amore cominciato al liceo quando imparai i valori della Rivoluzione dell’89 e i diritti dell’uomo e del cittadino. Appena ebbi la possibilità comprai casa».

 

Ma hai restituito la Legione d’onore quando Macron insignì il presidente egiziano Al-Sisi. Rimpianti?

«A pensarci ora fu un misto di rabbia e dolore che mi portò a un gesto donchisciottesco».

 

Corrado, è vero che vorresti morire in scena come Molière?

«So che vorrei morire senza dolore. E non vorrei neanche andare in Svizzera».

 

Lo vorremmo tutti.

«Morire è una scocciatura, uno ha tanti progetti, affetti, i nipoti che vedo crescere… Ma stare lì con tutti quei tubi attaccati? Un carissimo amico di cui non ti dico il nome perché so che lo conoscevi ebbe una agonia lunga, una lunga degenza. Lo andavo a trovare e sentivamo un po’ di musica insieme. Poi un giorno disse: “Basta, non ne posso più”. Gli fecero una iniezione di morfina. Fu il modo migliore per andarsene, senza dolore. Io questo voglio fare. Sono convinto che, dato il mortal sospiro, come dice Manzoni, grazie a dio tutto è finito. Non c’è più da fare i conti con nessuno».

andrea barbato e corrado augias all ultima spiaggia di capalbio

 

 

Oggi che la chiesa non ha più potere sulle coscienze, a che cosa serve il pensiero dei laici?

«Serve a coltivare una religiosità, una spiritualità di tipo umanistico. Noi abbiamo combattuto la chiesa quando si intrometteva nella politica del Paese, cercava di influenzare i risultati elettorali, faceva propaganda la domenica dal pulpito, sfruttava il concordato distorcendone lo spirito. Ma adesso che la chiesa è ridotta come è ridotta e che il cattolicesimo, almeno in Occidente, è ridotto come è ridotto, noi laici serviamo a indicare anche alla chiesa una via umanistica alla spiritualità».

 

Che vuol dire?

corrado augias bob kennedy

«Che la spiritualità può essere esercitata dicendo che questo povero mondo va salvaguardato, che va salvaguardata l’acqua che San Francesco chiamava preziosa e casta, che va salvaguardato un bosco che ci permette di respirare, che un uomo può essere criticato ma va rispettato anche se ha la pelle nera o la pensa diversamente da te. Lo so, parlo come un vecchio ma più invecchio più sento questo afflato di fraternità».

 

Vecchio e saggio?

«Non lo so se sono saggio, se sono laico, e nemmeno se sono ateo che è una parola che non vuol dire niente. In realtà sento di partecipare a un afflato che ci tiene insieme, se non altro come morituri. Lo capisci? Chi è così vicino all’uscita come me lo sente questo. Ora vai via che tra un po’ piove».

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