
#TENEREZZASTOCAZZO - LICENZIATA DOPO L’ANNUNCIO DI RICERCA DEL “NANO TENERO”, LA RESPONSABILE CASTING DELLA WILDSIDE SI SCUSA: “DISGRAZIA VERBALE PROVOCATA DALLA FRETTA” - NICOLETTI: “L’HASHTAG CRUDO? UNA RISPOSTA GOLIARDICA ALLA “PROFESSIONALE” RICERCA D’INTERPRETI STRAPPALACRIME DI CLASSE “H” (CHE STA PER HANDICAP)” - VIDEO
GIANLUCA E TOMMY NICOLETTI DISABILI TENEREZZA STOCAZZO
«È stata una disgrazia verbale. E la vischiosità dei social ha fatto il resto». Prova a difendersi così, in una intervista a La Stampa, Luana Velliscig, licenziata per quell’annuncio di ricerca «di un nano che susciti tenerezza» per la serie tv «Romanzo Familiare».
Il POST
Un post su Facebook (poi rimosso) per la ricerca di attori, un annuncio che nelle intenzioni della responsabile casting della mini-serie diretta da Francesca Archibugi (che ha chiesto subito scusa prendendo le distanze)avrebbe dovuto essere uno come tanti.
E invece quella frase: «Cerca ragazzo di 15/18 anni nano o con altra disabilità che trasmetta tenerezza» ha provocato un’ondata di proteste. Sono insorte le associazioni dei disabili e dei genitori di ragazzi disabili. Rai Fiction si è subito dissociata e la casa di produzione della serie, la Wildside, ha definito il linguaggio utilizzato «gravemente inopportuno e offensivo, in alcun modo approvato dalla società». «Wildside - ha scritto in una nota la società - chiede scusa a tutte le persone che si sono sentite offese dall’annuncio». Luana Velliscig, torinese, 29 anni, dopo quel post è stata licenziata. «Le cattiverie sono infinite - dice al Corriere l’attore Davide Marotta, alto 115 cm e diventato famoso con lo spot Kodak- oggi ci rido
LA DIFESA
«Quel post - prova ora a spiegare Luana Velliscig - è stato solo frutto della fatica immagazzinata quel giorno e della fretta. Chi mi conosce bene sa che non considero la disabilità come qualcosa che induca tenerezza o trasmetta pena. E allo stesso tempo non considero queste persone una specie a sé che merita compassione. Io quell’aggettivo lo avrei messo anche accanto a un bambino, oppure a una ragazza bionda». Velliscig chiede scusa a chi si sentito offeso ma il danno ormai è fatto. Anche se, sostiene, sono comunque in tanti a manifestarle solidarietà, tra amici e colleghi. «Potrà sembrare strano - conclude - ma fra loro ci sono persone disabili che sanno cosa penso sul serio di loro e che persona sono»
2. QUANDO UNA PAROLACCIA DIVENTA UNA SASSATA CHE SCUOTE DAL TORPORE
Gianluca Nicoletti per “la Stampa”
Non vorrei che mi si dicesse, come sta accadendo, che è stato esagerato richiamare l’attenzione sul «casting della tenerezza disabile», soprattutto perché per colpa mia una persona ha perso il lavoro.
Non posso caricarmi di colpe che non ho, conosco anche sin troppo bene i meccanismi dello scaricabarile aziendale, paradossalmente mi ha sorpreso ancora di più che tutti si siano profusi in scuse, dalla regista al produttore. Scuse a chi?
Ai disabili che non hanno il privilegio di ispirare tenerezza? Non credo che si siano sentiti chiamati in causa, di solito hanno problemi ben più pesanti cui pensare che preoccuparsi delle fiction edificanti di Rai1.
Ancora di più mi verrebbe da dire: scuse per cosa? Di avere forse sottovalutato l’effetto che quella comunicazione avrebbe avuto nei social, composti in gran parte da persone che la disabilità la conoscono di persona?
Nessuno penso sia così ingenuo dal non immaginare che colei che ha pubblicato il post dello scandalo, e si è beccata ogni anatema, altro non avrà fatto che rispondere a un input ben preciso di chi le avrà commissionato, appunto, la ricerca di disabili che toccassero il cuore all’abbonato in prima fila, ma non troppo brutti da rovinargli la cena, non troppo disperati da farlo riflettere, non troppo realistici da fargli immaginare che potrebbe capitare anche a lui qualcosa di simile in famiglia.
Tenerezza è la parola che lubrifica la fastidiosa intrusione di ogni tragedia altrui nella più intima coscienza del medio utente della vetero televisione. È la classica strategia del cucciolo, una tecnica che non fallisce mai, sia nei vetusti quanto nei nuovi media. Vale per bambini macilenti e affamati stampigliati sulla cassetta delle elemosine, vale per i teneri gattini nel fulgore di Facebook.
Nessuno la prenda come un’offesa alle proprie buone intenzioni, è solo perché conosciamo il lato oscuro della forza che ci siamo permessi una risposta goliardica alla «professionale» ricerca d’interpreti strappalacrime di classe «H»(che sta per handicap, i nostri figli sono così classificati, non ce lo siamo inventati noi).
Mi credano i confezionatori di belle favole in prima serata, non c’è stato né dolo né premeditazione nel gesto che generò quell’hashtag così «crudo», da cui esplose l’indignazione collettiva.
Noi eravamo in viaggio per documentare un’Italia totalmente invisibile nei vostri zuccherosi prime time fatti di pacchi della cuccagna, simpatici preti di paese, ballerini (a volte) persino con difetto fisico. Tornavamo Tommy e io da una caccia all’ autistico fantasma, che non ci aveva certo messo addosso «tenerezza».
Non è colpa nostra, ma era duro da fare male quello che abbiamo filmato in una settimana di «realismo famigliare» tra condomini e montagne. Abbiamo sfiorato maledetta ignoranza, cupa rassegnazione, vuoto pneumatico di solidarietà sociale e latitanza delle istituzioni.
È stato così che ci siamo fermati a una piazzola sulla Salerno-Reggio Calabria, e davanti alle telecamere della nostra zoo factory abbiamo voluto comunicare il primo e più spontaneo pensiero che ci suggeriva la pretesa che fossimo pure teneri.
Non immaginavamo signori della tv che quella parolaccia da Youtube potesse arrivare a turbare la quiete delle vostre terrazze, invece è rimbalzata come una sassata di discolo tra le verzure dei vostri giardini pensili, ha squassato il nitore dei vostri pensatoi minimal e feng shui. Ha costretto molti di voi a dover ribadire i sacrosanti principi di rispetto per la diversità, per le categorie deboli, per la dignità ecc.
Mai messo in dubbio che quell’esigenza di disabile tenerone sia scaturita in nome della più rigida osservanza al culto del politically correct, ma volevamo che sapeste che «è uno di noi» anche chi a volte si manifesta come brutto, cattivo, sgradevole e tutto sommato infame. Buona fiction a tutti!