SORPRESA (PER CHI?)! NELLO SCANDALO SCOMMESSE SPUNTA LA CAMORRA: UNA JOINT VENTURE DELLA TRUFFA CHE PERMETTEVA DI PUNTARE A SINGAPORE E INCASSARE A NAPOLI - DONI NON C’ENTRA CON L’ASIA, IL SUO GIRO ERA PIÙ CASARECCIO, COME LA IL SUO TENTATIVO DI SCAPPARE IN MUTANDE INFILANDOSI NEL GARAGE - HA PROVATO A INQUINARE LE PROVE, PER QUESTO IL SUO ARRESTO: VOCI IN FALSETTO, CITAZIONI DA FANTOZZI - ERA IL MITO DI BERGAMO, E ORA GLI ULTRAS DELL’ATALANTA CHE AVEVANO CREDUTO ALLA TEORIA DEL COMPLOTTO LO SBRANANO…

1 - SCOMMESSE, SPUNTA LA CAMORRA - SCOMMETTERE A SINGAPORE E INCASSARE A NAPOLI...
Giuliano Foschini e Marco Mensurati per "Repubblica.it"

C'era un contatto tra l'associazione mafiosa asiatica e la camorra. Una sorta dj joint venture che permetteva di scommettere via Internet sui bookmakers di Singapore e di incassare la scommessa in Italia. Un accordo commerciale ed economico che probabilmente si concretizzava anche nello scambio di informazioni sulle partite truccate.

A raccontarlo prima all'Interpol e poi agli investigatori italiano è un pentito, lo slavo Crtvak, che parla dell'Italia e del singaporiano Den: "Dai miei contatti olandesi sapevo solo che a Napoli ci sono dei cinesi asiatici che fanno scommesse". Un posto sicuro. "Quando si vinceva potevi andare a Napoli a ritirare i soldi".

Lo slavo non ha fatto riferimenti a partite specifiche, a differenza invece del pentito thailandese che dalla Finlandia (dove è stato arrestato) sta parlando del calcio mondiale. Ha raccontato di presunte combine nei campionati africani, in alcuni europei e anche in Italia: tra le partite citate anche una del Napoli. Si tratta del 4-0 contro la Sampdoria, over per i bookmakers e per il campo.

L'interpol sta cercando di approfondire l'argomento sulla base delle due inchieste che la procura antimafia di Napoli ha sul calcioscommesse: da un lato si lavora su come alcuni clan, anche in questo caso con la complicità di alcuni calciatori, truccasse o tentasse di farlo partite di serie A e dei campionati minori. Il secondo filone, assai interessante , riguarda invece le agenzie di scommesse.

La camorra avrebbe comprato direttamente bookmakers esteri con l'autorizzazione a scommettere in Italia. In questa maniera, tramite un complicato meccanismo che consente al giocatore di sostituirsi al banco, riuscivano a fare in modo che scommettendo contemporaneamente sull'1, sull' X e sul 2 si aveva la certezza di non perdere denaro. Ma la certezza di riciclarlo.


2- LA FUGA IN MUTANDE L'ULTIMA FARSA DI DONI
LE TELEFONATE PER INQUINARE LE PROVE: "FANTOZZI, È LEI?"

Niccolò Zancan per "la Stampa"

Cristiano Doni stava scappando in mutande. Via, con i calzini raccolti ai piedi del letto e una faccia da incubo quando ieri mattina ha sentito gli agenti della squadra mobile suonare alla porta della sua villetta nel centro di Bergamo. Ha tentato una finta maldestra: «Arrivo subito». Poi è sceso in garage, verso l'auto e la porta secondaria. Non un bel modo di uscire di scena. Non per il capitano dell'Atalanta. Ripeteva a tutti di essere innocente: «Mi stanno infangando, ma io ho la coscienza pulita. Non c'è una sola telefonata contro di me».

Ammesso che fosse vero a giugno, ora una telefonata c'è. È agli atti di questa seconda fase delle indagini coordinate dalla procura di Cremona. Doni era ritenuto una figura centrale anche allora, nel duplice ruolo di scommettitore e accomodatore di risultati. Decisivo per combinare Ascoli-Atalanta, Atalanta-Piacenza e Padova-Atalanta del campionato scorso. Valigette di soldi. Accordi sanciti in campo con strette di mano.

E in questi mesi Doni ha continuato a parlare al telefono di certi argomenti, pur sapendo delle indagini in corso. Un piccolo accorgimento lo prendeva. «Fantozzi, è lei?». Camuffava la voce. E chiedeva di fare altrettanto al suo amico Nicola Santoni, ex preparatore atletico del Ravenna: «Fai il falsetto...». Doni e Santoni stavano cercando di inquinare le prove, secondo gli investigatori. Eccolo, il capitano: «Sono con il fisso eh. Però... ascolta eh, quella password lì?».

Santoni: «Prova a cambiare il passwordino...». Doni sa che sta per essere eseguita la perizia tecnica sull'iPhone di Santoni. È preoccupato di quello che gli investigatori potrebbero scoprire. Ipotizza, insieme all'amico, di cambiare a distanza le chiavi d'accesso per rendere inoffensivo il telefono. Santoni: «Mercoledì vado in un centro tecnico...». Doni: «Loro non possono entrare senza?». Santoni: «Secondo me, teoricamente, sì». Loro non entrerebbero più, teoricamente. Loro, gli investigatori.

Un tentativo di inquinare la scena talmente conclamato, secondo la procura, da rendere necessaria la misura cautelare in carcere. Il gip Guido Salvini scrive: «Con scarso senso "sportivo" si direbbe, i due non avevano alcuno scrupolo a progettare un'operazione di alterazione a distanza di un reperto per tentare così di allontanare il pericolo di nuove scoperte compromettenti».

In questi mesi di indagini la posizione di Doni si è aggravata. Non ha contatti con Singapore. Il suo è considerato un giro più casereccio. Balneare. Perché ne discutono allo stabilimento «I figli del sole» di Cervia, gestito da Antonio Benfenati, anche lui finito in carcere. Parlano del fatto che Santoni potrebbe cedere. Non mantenere i segreti del gruppo. Ne parlano con Maurizio Neri detto «Flaco», ex giocatore di Brescia e Lazio. È sua la frase che riassume le preoccupazione del gruppo: «Siamo in galera tutti...». Scrive il gip: «Il gruppo svolgerà, poi, un'azione calmieratrice su Santoni, persona legatissima a Doni, che tuttavia manifesta in più occasioni una scarsa tenuta allo stress...».

Cristiano Doni è sospeso dalla giustizia sportiva, ma in questi mesi ha continuato ad allenarsi con l'Atalanta. Pagato regolarmente. Il contratto scade a giugno. Un destino che sembra sempre più legato, quello fra il capitano e la sua squadra. Almeno stando alla frase micidiale che si legge a pagina 6 dell'ordinanza: «In particolare Doni Cristiano, agendo anche per conto di imprecisati dirigenti dell'Atalanta, che aspirava alla promozione in A, interferiva o cercava di interferire, con interventi anche corruttivi, anche al fine di procurarsi illegittimamente i proventi delle scommesse, sui risultati di molteplici partite della sua squadra».


3 - ARRIVANO I DONI DI NATALE...
Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"

Perché il pallone è così/ un giorno sei una star/ e il giorno dopo il buffone preso in giro al bar". Così flautava profetico uno dei migliori amici di Cristiano Doni, il Bepi, apprezzato cantautore local in quel di Bergamo dove "A crapa olta" il simbolo di un decennio di Atalanta era tornato a oltre 30 anni per sentirsi dedicare poemi ad personam e fondersi definitivamente con la città. Ora che la testa è necessariamente bassa e l'isolamento di un carcere di massima sicurezza, uno schermo utile a nascondere vergogna e illusioni perdute, il cittadino onorario di Bergamo Doni Cristiano, forse, rifletterà.

Lo hanno arrestato all'alba di ieri, mentre, raccontano, tentava di scivolare invisibile verso il garage. Fuggire, eclissarsi, sparire. Lontano dai tormenti e dalle urla che in queste ore, sui siti ultras, ne sbranano la sindone spandendo nell'aria bandiere, ricordi e dolori. Per lui i tifosi dell'Atalanta avevano ceduto alla teoria del complotto (lontanissima dal pragmatismo bergamasco), inscenato manifestazioni di piazza, insultato chiunque in questi anni si fosse mezzo tra loro e Cristiano. Perdonato già molti anni fa, quando l'eroe si era macchiato in un palcoscenico minore (Atalanta-Pistoiese di Coppa Italia) e prima di lavarsi con l'assoluzione, era stato accusato di un delitto troppo simile a quello di oggi.

Cristiano era l'altare da onorare e la prova tangibile di una diversità. L'Atalanta, il suo popolo, l'highlander con il numero 27 e tutto il mondo fuori. Lontano dalle combine. Fiero, indomito, limpido. Doni. Il figliol prodigo che superati i confini di Treviglio, falliva sempre. Male alla Sampdoria, in Spagna, ovunque. Tranne che in Nazionale con Trapattoni (gloria effimera) e allo stadio Azzurri d'Italia, dove il romano Cristiano, senza dimenticare i natali, recitava da fiera del Colosseo.

Con la rabbia giovane e il (luminoso) talento, nella maturità e nel crepuscolo. Da padrone e gestore di stabilimenti balneari. Da vitellone e padre di famiglia. Da calciatore, guru, presidente, scommettitore. Il vizio antico, la condanna odierna. Decideva sempre Cristiano. Quello che sapeva toccare la palla. Quello con le palle.

Aveva litigato con Gigi Del Neri, Novellino e Ulivieri, con gli arbitri ("È uno schifo" urlava a Brighi nell'arena), con Antonio Conte in un lontano pomeriggio livornese: "È un ometto ridicolo", benedicendo poi l'addio dell'ex nemico e continuando a provare per tutto ciò che sapeva di juventinità una sincera avversione: "Non c'è squadra che mi sia più antipatica sulla terra".

Ora che le chiavi d'oro trasmutano in acciaio e blindano una cella, tra le sbarre, anche i dubbi estivi che sollevavano polvere sull'innocenza: "A Bergamo certe cose non succedono. Sono 10 anni che do l'anima per l'Atalanta. Uno così secondo voi può vendere delle partite?" finiscono per essere inutili come le domande. Cristiano Doni è rimasto solo. E un uomo solo è sempre in cattiva compagnia.

 

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