UNO PER TOTTI, TOTTI PER UNO - FRANCESCO MERLO SU “LA REPUBBLICA” CELEBRA COMMOSSO DEL PIERO: “ESCE DI SCENA UN VIRTUOSO, NON IL TOTTI CHE SPUTA E PRENDE A CALCI L’AVVERSARIO MA IL CAVALIERE EDUCATO CHE NON LUCRA SULLA PUBBLICITÀ DEL GIOCO D’AZZARDO” - FRANCO BALDINI GLI RISPONDE PER LE RIME: “GLI SPUTI DI TOTTI? UN PAIO DI STUPIDAGGINI IN 18 ANNI DI CARRIERA. I SOLDI DELLA PUBBLICITÀ DEL POKER ONLINE LI HA DEVOLUTI IN BENEFICENZA, SENZA DIRLO, COME ANDREBBE FATTO”…

1 - BALDINI DIFENDE TOTTI DAGLI SPUTI...
Da "Giornalettismo.com"

Franco Baldini non ci sta. E a La Repubblica, che ieri in un articolo a firma di Francesco Merlo che celebrava Alessandro Del Piero mettendolo a paragone con Francesco Totti e ricordando di quest'ultimo anche le intemperanze che ne hanno in qualche modo macchiato la carriera, verga questa interessante replica (pubblicata oggi sul giornale).

Scrive Fanco Baldini "Sinceramente non credo sia giusto per Del Piero, né tantomeno che allo stesso faccia piacere, il fatto che per celebrarne giustamente l'uscita di scena ci sia bisogno di paragonarne i comportamenti con quelli di un altro grande campione, altrettanto meritevole, come Francesco Totti. Del Piero più di chiunque altro conosce perfettamente la generosità e la semplicità di Francesco.

Non è stato dello stesso avviso il dottor Merlo, che nel proposito di cui sopra ha voluto marcare le differenze tra i due, ricordando un paio di stupidaggini (che ancora non significano l'essere stupidi) commesse da Totti nel corso di 18 anni, fin qui, di carriera. Personalmente ne ricordo di me stesso almeno 100 di più. E fortunato è quell'uomo che ne ha all'attivo un numero inferiore rispetto a quelle imputate a Totti nello stesso lasso di tempo.

Mentre quelle erano stupidaggini, quella che Francesco abbia lucrato sulla pubblicità fatta ad un website dedicato al poker online è invece una menzogna, perché certamente il dottor Merlo non sa che quei proventi sono stati interamente devoluti in beneficenza. Senza darne nessuna notizia, così come dovrebbe essere per tutte le vere beneficenze, che altrimenti rischiano di essere solamente investimenti pubblicitari. Conoscendo bene entrambi i calciatori mi correva l'obbligo di dare a Del Piero ciò che è di Del Piero, senza dover necessariamente togliere a Totti ciò che è invece suo".

La controreplica di Merlo: "Caro Baldini, chiudiamola così: io che apprezzo le grande doti calcistiche di Francesco Totti le credo sulla parola e dichiaro solennemente che Francesco è un campione «generoso e semplice». Purché lei dichiari, con la stessa intensità, che è meglio non aggredire l'avversario, non sputargli addosso, e trarre i soldi per la beneficenza da pubblicità meno azzardate. Viva il calcio, che è il gioco più bello del mondo, anche per me che non lo seguo da tifoso".

2 - IL TRAMONTO D'ITALIA NEL TRAMONTO DI DEL PIERO...
Francesco Merlo per "la Repubblica"

Del Piero non lo sa, ma il suo tramonto è più della solita, abusata e potente metafora del calcio che si fa storia. La sua uscita di scena fa paura e fa piangere non di tifo ma di cuore, non di pancia ma di testa, perché parla di noi, del talento che ci sta sfuggendo sui mercati internazionali, dell'Italia che solo un pugno di campioni stanchi tiene ancora in Europa. E la Juve, che lo ingrazia ma non lo trattiene e lo lascia partire per l'America, smentisce la propria storia di uomini ‘simbolo per sempre': Sivori, Boniperti, Bettega, Platini, Zoff... La Juve che lo maltratta è l'Italia che maltratta se stessa: la Juve che lo licenzia è l'abolizione dell'articolo 18, l'espulsione degli esodati, l'inesorabilità anagrafica, il rigore senza cuore e senza crescita.

Oggi che come non mai abbiamo bisogno di eccellenze perdiamo la nostra eccellenza più amata, oltre lo stile Juventus, oltre il calcio, oltre lo sport. Esce il campione mai sporcato dai Moggi, quello mai coinvolto nelle truffe che gli vorticavano intorno, il virtuoso che mette la palla dentro e la lingua fuori, non il Totti che sputa e prende a calci l'avversario ma il cavaliere educato che sorride di se stesso e di imbarazzo, non strizza mai l'occhio al bullismo, non lucra sulla pubblicità del gioco d'azzardo. Del Piero è il compagno che sa star bene da solo pur facendo parte di una squadra. Esce dunque il vero modello ‘antischettino', il capitano che non è codardo ma generoso, mai aggressivo e volgare né con i suoi ragazzi né con gli avversari.

Del Piero è sempre composto, sobrio e pulito come ieri è stata anche la commozione dello stadio, senza fumogeni, senza eccessi rabbiosi, nonostante in quella celebrazione ci fossero pure la vittoria dello scudetto e il record di un campionato senza una sconfitta. Insomma ieri ce n'era abbastanza per la baldoria, per le bombe carta, per il carnevale degli ultrà. C'è stata invece una festa d'addio e la vittoria è diventata malinconia, la gioia è stata triste. E' vero che i tifosi hanno pianto anche a Milano dove il Milan ha mandato in pensione i suoi campioni, la vecchia guardia dei trionfi, i fratellini di Del Piero, Gattuso e Inzaghi, campioni del mondo, e Nesta, che è stato il simbolo del calciatore che si difende senza mai picchiare. Ma nelle lacrime di Milano c'era la maldestra perdita dello scudetto, il rimpianto per un campionato finito male. A Milano la squadra si piangeva addosso come sempre accade agli sconfitti.

A Torino no. La Juve coronava un trionfo dopo la più umiliante quaresima della sua storia. Ma nessuno ha pianto di felicità. Hanno invece pianto per il congedo dell'Italia di Del Piero, l'Italia della bellezza e della virtù. In quelle lacrime senza pudore e senza freno c'è infatti l'intuizione, il cattivo presagio, che assieme al campione internazionale che tramonta siano a rischio di tramonto l'intera Italia dei primati, il made in Italy, il genio italiano che è un modello estenuato e senza eredi.

Del Piero è l'ultimo eroe di una speciale antropologia nazionale, quella dei registi eleganti, come Rivera e Pirlo, quella dei fantasisti che trattano bene la palla per se stessi ma soprattutto forniscono assist e fanno cantare gli altri campioni, proprio come hanno fatto Lucio Dalla e Paolo Conte con Morandi, Celentano e mille altri. Del Piero era l'erede dei Corso e dei Baggio che danzano in campo e lavorano più di qualità che di quantità e dimostrano che le vie storte sono spesso le più diritte.

Con Del Piero sono a rischio d'uscita tutti i simboli d'eccellenza, del sapere e della produzione italiane: le grandi università, dalla Normale alla Bocconi al Politecnico di Torino; la moda che ha vestito il mondo, dagli Armani ai Versace ai Valentino; le auto che sono solo scatoline mentre Ferrari Lamborghini e Maserati, come Riva Mazzola e Facchetti, sono icone, vecchie glorie di un'Italia inarrivabile. L'Italia senza Del Piero è il ciclismo che i francesi ormai non si incazzano più, il cinema che è solo nostalgia di Fellini, Antonioni e Visconti, le navi che una volta si chiamavano Rex e ora si chiamano Concordia.

Ecco perché sono stati interminabili quei venti minuti d'addio. E' stato un lunghissimo momento bello e genuino, un delirio che in fondo ci fa bene, un brivido collettivo che ha coinvolto non solo tutti i tifosi d'Italia, dalla Juve sino al Cesena, ma anche i non sportivi. Venti minuti d'applausi sono come un inno nazionale, sono un patriottismo timido, un bisogno di sentirsi insieme, una voglia di Stato, il desiderio frustrato di una bandiera da amare.

 

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