IL RITORNO DI LOU REED – “AI SOLDI NON HO MAI PENSATO. NEL CASO FAREI IL POLITICO, NON L’ARTISTA”

Ernesto Assante per "la Repubblica"

Sale sul palco tra gli applausi, si muove lentamente, ha l'aria stanca e la voce leggermente tremante. «Ma sono qui», dice Lou Reed, 71 anni, «sono caduto, mi sono rialzato, sono caduto ancora...».

Parlando del trapianto di fegato che lo ha «salvato dalla morte», come ha detto la moglie Laurie Anderson. A vederlo poi da vicino, quando viene a incontrare i giornalisti, alla fine della sua prima apparizione pubblica, sul palco del Palais Des Festival a Cannes, per il Festival della Creatività, l'uomo che ha camminato a lungo sul «wild side» del mondo non sembra stia poi così male.

Chiede che non si facciano domande sulla sua salute. Si limita a dire, «faccio una vita diversa, prendo molte medicine, molte vitamine, seguo una terapia. Ma sto bene. Trovo solo incredibile come velocemente passi il tempo, non me ne faccio una ragione, solo ieri avevo 19 anni...».

Per il suo ritorno in scena dopo il trapianto ha scelto un palco dove, ammette, non avrebbe mai immaginato di salire: «È strano essere qui, nel campo del nemico», scherza con i pubblicitari che lo hanno invitato a Cannes, «ma le cose sono molto cambiate. Nel mondo del downloading le uniche persone che pagano i musicisti siete voi».

Allora, da musicista, non ama il digitale?
«Nulla è mai bianco e nero, ci sono cose buone e cose che non lo sono, in ogni cambiamento. Non posso dire che il mondo della musica di oggi non mi piaccia. Alcune cose sono cambiate in peggio, come il suono della musica registrata e compressa in file.

Il suono del vinile si è perso, era un suono caldo e presente che con il digitale non puoi riprodurre. Ma già oggi le cose sono molto migliorare, all'inizio della rivoluzione digitale i file suonavano veramente male, chi trasferiva i suoni non si preoccupava della qualità.

Ancora oggi gran parte degli mp3 ha un suono davvero miserabile, la gente non sa cosa perde. È vero che on line c'è tutto, che puoi trovare ogni cosa tu voglia ascoltare, ma che gusto c'è ad avere a disposizione tutta la musica del mondo se poi l'ascolto è una schifezza?

Ma ci sono macchine che decomprimono il suono e lo migliorano e poi con il digitale il sound è molto chiaro, lo puoi sentire a due miglia di distanza. E sta anche tornando il vinile, i ragazzi lo riscoprono. Quindi non ci si può lamentare troppo».

È cambiato anche il suo modo di scrivere?
«Non ho mai cercato di scrivere e basta, ho sempre pensato alla musica. Avevo 5 anni e già scrivevo musica, quando ero piccolo facevo addirittura delle schifose composizioni classiche. Ma sono nato a Brooklyn, la radio era sempre accesa, e questo mi ha insegnato ad ascoltare con interesse ogni cosa.

Non credo sia possibile vivere senza musica, pensate che mondo orribile sarebbe, non riesco a immaginare nulla di peggio. Senza musica il pianeta potrebbe morire, la musica è il respiro della gente, è quello che fa muovere il sangue nel corpo umano, è un'arte che mette in moto la vita».

Senza musica ci sarebbe stato Lou Reed?
«Non credo. Ho cominciato scrivendo una dozzina di canzoni surf, andavo in studio quando le registravano e lì imparavo tutto. Ho inciso il primo disco a 14 anni con la Mercury: gli stessi che lavoravano con Janis Joplin. Fu trasmesso alla radio dal leggendario Murray The K. Una volta sola. Guadagno totale: due dollari e pochi centesimi. Più o meno quello che guadagno ora con i download. Sono tornato alle origini».

Perché i Velvet Underground sono rimasti così centrali?
«Eravamo il gruppo più sofisticato e articolato che si fosse mai visto. Immagini cosa potrebbe accadere se si potessero mettere in rock i testi, che so, di Tennessee Williams o di William Burroughs. Io cerco di scrivere a quel livello, ci riesco? Non lo so, ma ci provo».

Poi c'era Andy Warhol...
«Lui era fantastico, eravamo la sua band, l'unica band della Factory, nessuno ci conosceva, c'era addirittura chi pensava che Warhol fosse il nostro chitarrista. Non avevamo ingaggi, suonavamo alle sue mostre: lui faceva le installazioni e noi ne facevamo parte, portavamo gli occhiali scuri perché c'erano sempre tante luci da tutte le parti.
Warhol ha fatto tutto prima degli altri. Non parlava molto, lavorava ventiquattro ore al giorno, non ho mai visto nessun altro essere così totalmente immerso nella sua arte e nel suo lavoro».

Le piace la musica di oggi?
«Tutto è già stato fatto, avere idee completamente nuove è veramente complicato. Ma qualcuno ci riesce. Kanye West per esempio. Lui ci prova, ha un mix incredibile di generi, suoni, melodie, personalità, è bravo e anche molto divertente, è su un altro livello rispetto agli altri».

Il suo ultimo lavoro è stato con i Metallica, non particolarmente fortunato...
«La collaborazione con loro è nata dietro le quinte della Hall of Fame, ci siamo conosciuti e abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare qualcosa insieme. Loro volevano fare le mie vecchie canzoni, io gli ho proposto Lulu di Bob Wilson. Beh, quella canzone ha avuto le peggiori recensioni di sempre.

I fan dei Metallica hanno protestato, così loro hanno scartato l'ipotesi di partire insieme in tour. Ma l'hanno fatto solo per soldi. Il che mi sembra incredibile: quando hai un "gazillione" di dollari ogni tanto puoi permetterti di fare qualcosa perché ti va, per amore, per passione. Ai soldi non ho mai pensato. Nel caso farei il politico, non l'artista».

Cosa la ispira oggi?
«Quando scrivo vado a intuito, ma non ho mai davvero capito la scrittura. So che si pensa che io scherzi ma proprio non capisco come la scrittura possa diventare un lavoro organizzato, una disciplina. Se un testo viene al volo, bene, altrimenti non c'è verso. Non posso accendere un fuoco e mettermi a pregare perché funzioni».

Tornerà presto a scrivere e produrre musica?
«Sì, finché avrò idee».

 

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