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ROBERT CRUMB A LUCCA - CON LE SUE VIGNETTE È STATO IL PRIMO A RACCONTARE UN’ALTRA AMERICA - NON AMA GLI STONES: “APPENA LA BORGHESIA HA COMINCIATO AD APPASSIONARSI AL ROCK, DYLAN PER PRIMO, È STATO L’INIZIO DELLA FINE”

Luca Valtorta per La Repubblica

 

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Giacca di velluto nera. Occhiali spessi, da presbite. Sandali sfasciati con calzini. Robert Crumb dal vivo è bizzarro come si disegna. Ospite d’onore al Festival del fumetto, ci si era materializzato davanti tra le viuzze medioevali di Lucca. Con Aline, sua moglie. Il collo che continuamente si torceva all’indietro, come in suo famoso disegno, magneticamente attratto dai fondoschiena delle ragazze.

 

«In Italia hanno sederi notevoli» spiegava confortato. La moglie, rassegnata: «Non può evitare di guardarli». «Le francesi, invece, sono così magre...». Crumb oggi avrebbe dovuto presenziare a un altro festival del fumetto, ad Angoulême, in Francia, dove il Grand Prix Spécial è stato assegnato al settimanale Charlie Hebdo.

 

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A riceverlo però non c’è nessuno dei disegnatori sopravvissuti all’attacco terroristico del 7 gennaio, ora vivono tutti sotto scorta. Il mondo del fumetto era un’isola felice, di libertà, prima di Charlie Hebdo. Robert Crumb è stato uno dei primi a reagire a quell’orrore, e non è un caso. Perché dello spirito ribelle del settimanale satirico francese è praticamente il padre, insieme al gruppo che con lui, nel 1967, fondò Zap Comix, la rivista della controcultura americana che cambiò tutto. Ci ha spedito le vignette che ha fatto dopo la strage.

 

In una tavola, pubblicata sull’inglese The Guardian, hai disegnato il “sedere peloso di Mohamid” e te stesso mentre mostri la vignetta con la fronte madida di sudore. Sopra la tua testa campeggia la scritta “il disegnatore codardo”...

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«Sì. Ovviamente cerco poi di tirare fuori delle scuse, tipo “in realtà questo è il sedere del mio amico Mohamid Bakhsh”».

 

Esiste davvero?

«Eh, eh... (ride). Il riferimento in realtà è al regista che nel 1972 diresse Fritz il gatto, Ralph Bakshi, a cui purtroppo, sbagliando, avevo ceduto tutti i diritti».

 

Ma come, quel film ti ha reso famoso in tutto il mondo...

«Sì, ma per i motivi sbagliati. Non ha minimamente colto il senso di quello che facevo: era così cupo, pieno di sangue...».

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Poco dopo a quella vignetta se ne è aggiunta un’altra fatta con tua moglie Aline, che da sempre disegna con te...

«Sì, c’è lei terrorizzata che dice: “Oh mio dio, la tua vignetta è peggio di quelle di Charlie Hebdo , verranno a cercarci. Ehi, io voglio vedere i miei nipoti crescere!”, con il fumetto a lei rivolto che dice “moglie piena di paura che si aggrappa alla vita”. Io le rispondo: “Oh suvvia. Probabilmente hanno ucciso abbastanza disegnatori, magari siamo fuori dai loro radar...”. Non volevo fare niente di retorico, tipo “i nostri eroi”. Non è quello che faccio io, lascio ad altri queste celebrazioni».

 

Poi c’è quella che ci hai mandato ora e che pubblichiamo.

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«È il sunto finale che riassume il mio stato d’animo di oggi, l’unica cosa che ho ancora voglia di dire. Ci sono io minacciato da una pistola alla tempia: “Adesso hai smesso di divertirti, vero?” a cui rispondo “Non è spiritoso? Scusate tanto”. Aline era davvero terrorizzata, tanto più che da anni abbiamo lasciato l’America e viviamo proprio in Francia. E, in verità, anch’io. Ma non potevo non farlo, semplicemente non potevo. Del resto, a pensarci bene, non ho fatto niente di così terribile: è solo il sedere del mio amico Mohamid Bakhsh...».

 

Hai letto Sottomissione, il libro di Michel Houellebecq?

«No. Faccio una vita piuttosto ritirata: me ne sto nel mio paesino vicino Marsiglia, non guardo la tv, non frequento celebrità, non parlo neppure tanto bene il francese».

 

Non vi manca l’America?

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Aline: «Non potevamo più stare lì. Un giorno, stavo pranzando con un’amica insegnante in un caffè. Quando è rientrata a scuola la direttrice l’ha rim-proverata: “Ho visto che prendevi un caffè con la moglie del pedopornografo”».

 

Robert: «Non sono affatto un pedopornografo ».

Aline: «Lo so, caro, è per questo che ce ne siamo andati».

 

In Francia le cose vanno meglio?

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«La nostra casa è bellissima, una specie di castello del XII secolo. Ma in generale la situazione è pessima. Le differenze fra ricchi e poveri sono sempre più evidenti, ma mentre i ricchi hanno una visione politica chiara, la povera gente fa fatica a vivere ed è facile preda della destra più populista. Quanto alla classe media, è stata fatta a pezzi».

 

Sei stato più volte accusato di essere un maschilista.

«Le donne devono vedere un punto di forza in un maschio, se non ha potere non gli interessa. In adolescenza, alle superiori, è forza primitiva, fisica: piacciono i giocatori di football, i ragazzi tosti. O quelli coi soldi, la macchina. Se non hai niente di tutto questo, sei uno sfigato. Solo quando sono diventato famoso le donne hanno iniziato a essere attratte da me. Non era tanto quel che disegnavo, ma la celebrità. Alle donne non piacciono i fumetti. Non a quei tempi...».

 

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Anche Aline era così?

«Aline era una donna sfrenata quando l’ho conosciuta, nel ‘71. Non hai idea di quanto fosse selvaggia: una volta andammo in un bar di San Francisco che lei frequentava, il Tally Ho, e a un certo punto mi sono reso conto che si era fatta tutti quelli che stavano lì. Era venuto il momento di cambiare città...».

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Però tu non sei mai stato geloso, vero?

Robert: «Aline dice che è perché sono un po’ autistico».

Aline: «È così. Credo che abbia la sindrome di Asperger: ne ha tutti i sintomi, è ossessivo, complusivo e...».

Robert: «Non comprendo la gelosia».

 

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È vero che i Rolling Stones ti hanno chiesto di disegnare una copertina di un loro disco?

Robert: «Non loro direttamente. Il loro agente».

Aline: «Risposi io al telefono. Chiesero: “Che cosa vuole per farcela?”. E lui mi disse di dirgli: “Voglio una nuova roulotte, una mega Airstream, l’ho sempre sognata. Voglio che mi consegnino una Airstream nuova di pacca sul vialetto di casa”. Dopo mezz’ora richiamarono: “Okay, si può fare”».

Robert: «Ho rifiutato. Non potevo: detestavo la loro musica».

 

Però hai fatto una splendida copertina per Janis Joplin.

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«Perché la conoscevo, mi piaceva e mi servivano i soldi: la pagarono seicento dollari. Lei era carina. Ma beveva troppo. Superalcolici. E poi appena arrivata era paffutella e scoprì troppo presto che con le anfetamine si poteva dimagrire».

 

Buffo che tu sia diventato un’icona della controcultura e che in realtà non ti piaccia la musica psichedelica.

«Era noiosa. Mi piaceva quella subito prima. Popular rock and roll. Fino al ‘66, Tommy James and the Shondells, cose così. Fino ad allora il rock and roll era musica del proletariato. Appena la borghesia ha cominciato ad appassionarsi, Dylan per primo, è stato l’inizio della fine».

 

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Non hai neanche mai creduto nell’utopia hippie?

«Sì, ci ho creduto. Condividevo l’ottimismo nel futuro, nel cambiare il mondo e renderlo un posto migliore. All we need is love...eccetera. Ma c’erano così tante cose stupide in quello che gli hippies facevano che non potevo non prenderli in giro».

 

A proposito di fumetti. Il tuo lavoro sulla Genesi è stato addirittura esposto alla Biennale di Venezia.

«Da un po’ di tempo mi interessavo all’antichità e avevo pensato di fare una satira di Adamo ed Eva e da lì sono arrivato alla Genesi. Ci ho impiegato quattro anni. Disegnavo mezza pagina al giorno. Alcune erano più complicate: gli animali che escono dall’arca per esempio. Non immaginavo che avrebbe venduto così tante copie: è stato il maggior successo commerciale che abbia mai avuto. L’hanno tradotto in sedici lingue. Non credevo che... voglio dire... la Bibbia... sì, insomma... roba già vista. E invece...».

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Hai ricevuto critiche dal Vaticano?

«La maggior parte sono arrivate da questi stupidi fondamentalisti cristiani americani. Dicevano che la Genesi è piena di segni e predizioni dell’avvento del Signore, e io non li avevo inclusi. Altri hanno detto che alcune immagini erano troppo oscene e poi che il sesso sembra sesso. Ma la cosa buffa fu che molta gente rimase delusa perché, sapendo che era la Genesi disegnata da me, si aspettava che sarei stato più satirico. In realtà ci ho provato, ho buttato giù bozzetti cercando un modo per deridere Adamo ed Eva, ma non funzionava. Il testo originale è così strambo e assurdo che non è necessario farne una satira. Basta illustrarlo alla lettera».

 

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E adesso cosa stai facendo?

Robert: «Non mi piace parlare di quel che sto facendo al momento, lo priva di energia. E poi sarei anche in pensione».

Aline: «Siamo nonni, e siamo vecchi».

 

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L’intervista è finita. Il tempo di salutarsi. Robert Crumb sta andando però nella direzione sbagliata. La colpa è di un voluminoso sedere femminile fasciato in un paio di fuseaux. Aline lo richiama a gran voce: « Robert! Robert! This way! Da questa parte! ».

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(Ha collaborato per la traduzione Luisa Piussi)

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