1. CHE ROTTURA DI CANNES! RISPETTO AGLI ANNI SCORSI C’È MENO GENTE. GRAN PARTE DEI CRITICI, ANCHE ITALIANI, SONO SCOMPARSI, SPECIALMENTE QUELLI DELLA CARTA STAMPATA. PURE LE FILE PER ENTRARE IN SALA NON SONO PIÙ QUELLE DI UN TEMPO. NICOLE KIDMAN È TALMENTE MUTILATA DAL BISTURI CHE PUÒ CHIEDERE LA PENSIONE. PER FORTUNA CHE SONO SBARCATI VALERIA MARINI, DALILA DI LAZZARO E FRANCESCHINI CON PUPA (VIDEO) 2. IL FILM CHE HA IERI APERTO CON BUONI CONSENSI IL CONCORSO DELLA 67° EDIZIONE DEL FESTIVAL È “TIMBUKTU” DI SISSAKO. UNICO FILM AFRICANO IN CONCORSO, TRA I GRANDI FAVORITI DEL FESTIVAL, ANCHE PERCHÉ È TRA I POCHI DAVVERO IMPEGNATI SULLA REALTÀ DEL PROPRIO PAESE E SUGLI ORRORI CHE LE BRIGATE JIHADISTE STANNO COMPIENDO IN AFRICA 4. "MR. TURNER", SCRITTO E DIRETTO DA MIKE LEIGH, GRANDE AFFRESCO DI DUE ORE E MEZZO SU 25 ANNI DELLA VITA DEL CELEBRE PITTORE INGLESE NON È UN FILM INNOVATIVO, MA UN GRAN PIACERE VISIVO E UNA LETTURA DI GRANDE ELEGANZA DI UN PERIODO E DI UN ARTISTA
Video di Veronica del Soldà per Dagospia
Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Seconda giornata. Mah. Rispetto agli anni scorsi c'è meno gente. Gran parte dei critici, anche italiani, sono scomparsi, specialmente quelli della carta stampata. Anche le file per entrare alle proiezioni non sono più quelle di un tempo.
Stamane levataccia per vedere alle 8,30 "Mr. Turner" scritto e diretto da Mike Leigh, grande affresco di due ore e mezzo su venticinque anni della vita del celebre pittore inglese J.M.W.Turner (1775-1851), interpretato da un Timothy Spall, ottimo attore di solito confinato in ruoli da caratterista, che incontra finalmente il ruolo di una vita che lo candida da subito al premio come miglior attore protagonista malgrado si esprima molto spesso con grugniti e digrignamenti di denti. Grrr...
Il film e' scritto e diretto da Mike Leigh con grande intelligenza e rispetto storico, mentre Dick Pope, suo storico direttore della fotografia, cerca di ricostruire visivamente lo sguardo di Turner sui cieli e sui mari in tempesta inglesi e sulle sue osservazioni sulla luce e sul colore. "Il sole e' Dio", dira' prima di morire.
Ma Mike Leigh non vuole costruire un ritrattino piccolo borghese dell'artista, punta da subito a contestualizzarlo nel suo mondo, a cavallo tra la fine di un secolo ancora classicista e le nuove invenzioni e scoperte del secolo nascente. Lo mette a confronto con gli altri pittori del suo tempo, da Constable ai preraffaeliti, con le contraddizioni di una nazione in crescita economica e culturale che deve digerire le navi negriere e la poverta'.
Da subito vediamo Turner cercare di catturare i colori e la luce della natura, in Olanda come a Margate, il punto dove il sole tocca per primo il suolo britannico. E vediamo come insieme al vecchio padre, che gli fa da assistente, costruisca materialmente i suoi colori e le sue tele.
Dietro la dura scorza di genio scorbutico e duro, e' in realta' un uomo del suo tempo, capace di cogliere con interesse e intelligenza tutte le novita' e le contraddizioni del paese e dell'arte contemporanea. I rapporti con gli altri pittori della Royal Academy sono uno spasso, come i dialoghi con un John Ruskin cicisbeo con madre pesante.
Se vede nel padre, un grandissimo Paul Jesson, cio' che resta della sua famiglia e la prova dei suoi dolori, una sorellina morta quando aveva otto anni, una madre che non si sa come sia scomparsa, ha con le donne rapporti contraddittori e complessi. Tratta la sua domestica, la fedelissima Hanna Denby, la strepitosa Dorothy Atkinson, una sorta di Buster Keaton silenzioso, come una specie di animale, scopandola brutalmente e trattandola come un oggetto, ma riserva a Sophia Booth, interpretata da Marion Bailey, un trattamento da innamorato come non ci saremmo aspettati.
Sposta continuamente tensioni e sentimenti e, dopo la morte del padre, piange di fronte alla scoperta dei 22 anni della puttana che sta schizzando sul suo quaderno. Vedra' morire una delle sue figlie, non amate, ma rimane scioccato dal dolore del vecchio marinaio che ha vissuto anni nelle navi negriere inglesi.
Allo stesso tempo si informa minuziosamente sul funzionamento della macchina fotografica che lo riprende, declina l'offerta milionaria di Monsieur Baillot sulla vendita totale delle sue opere, perche' ritiene che i suoi lavori debbano essere esposti tutti assieme in Inghilterra e gratis.
"Mr. Turner" non e' un film innovativo, ma un gran piacere visivo per tutti e una lettura di grande precisione e eleganza di un periodo e di un artista. Notevoli anche i tre gatti di casa Turner, un certosino, un norvegese, e uno bianco peloso, che ci mostrano anche i consistenti passaggi temporali assieme agli anatemi sempre piu' pesanti e preoccupanti della sua domestica. Grandi applausi, ovviamente.
Il film che abbiamo visto ieri sera, invece, e che ha ufficialmente aperto con buoni consensi il concorso della 67° edizione del festival è "Timbuktu" di Abderrahmane Sissako, regista nato nel 1961 in Mauritania ma cresciuto nel Mali. Non solo è l'unico film africano in concorso, è anche uno dei grandi favoriti del festival, anche perché è tra i pochi davvero impegnati sulla realtà del proprio paese e sugli orrori che le brigate jihadiste stanno compiendo in gran parte dell'Africa.
Siamo in un piccolo villaggio del Mali a non troppa distanza da Timbuctu, dove l'arrivo di un gruppo di jihadisti provenienti da varie parti dell'Africa, ha sconvolto la tranquilla vita degli abitanti. Anche perché i jihadisti, che parlano parte in arabo, parte in inglese e sono costretti a farsi tradurre tutto se vogliono farsi capire, hanno imposto assurde regole da dittatura islamica mal capita. Niente musica, niente sigarette, niente gioco del pallone, le donne non possono andare in giro senza scarpe, velo e guanti alle mani. L'adulterio è punito con la lapidazione.
Le ragazze più belle sono costrette a sposarsi i capoccioni delle bande jihadiste senza potersi rifiutare. E la confusione verbale rispecchia un po' la confusione ideologica del gruppo di violenti che cerca di imporre con la forza la propria legge. E' grazie a questa idea mal digerita di giustizia e di legge che la vita deglimpei abitanti del paesino verrà sconvolta.
Come verrà sconvolta la vita di una tranquilla famigliola che vive nel deserto in armonia quando un pescatore, certo Amidou, uccide una vacca di loro proprietà di nome GPS, sì come il GPS dei cellulari, solo perché voleva bere l'acqua del fiume e è finita a intralciare le reti. Il capo famiglia, Kidane, Ibrahim Ahmed, corre inferocito da Amidou e, per sbaglio, lo uccide.
A questo punto viene arrestato e rapidamente processato dal tribunale jihadista. Ma più che la singola storia di Kidane, di sua moglie Satima e della loro figlioletta, Sissako ci offre un quadro preciso, senza retorica, della vita sotto la violenza nazista di questi gruppi islamisti, una violenza antica e assurda che cerca di imporre nuovi modelli di vita in zone del tutto estranee ai modelli islamici, mentre contemporaneamente si usano i cellulari, si parla di Zidane, trionfano i ripetitori sui tetti.
Proprio da questo folle miscuglio di moderno e di logiche tribali che arrivano nel villaggio come scorie di questi ultimi vent'anni di violenza islamica in Africa e in Medio Oriente, nasce il lato più interessante del film, che sa ben dosare i suoi elementi. Così si alternano grandi sequenze di cinema, come la morte di Amidou, ripresa da un campo lunghissimo, a sequenze quasi comiche della confusione stessa dei rivoluzionari islamici, come il rapper passato alla jihad che cerca di incidere un messaggio senza riuscirci perché si muove ancora da cantante.
Sissako ha il pudore di farci vedere di scorcio la terribile morte della coppia di adulteri uccisi a sassate che nella realtà venne ripresa coi cellulari e fece il giro del mondo e preferisci documentare con semplicità l'orrore piuttosto che costruirci enfaticamente grandi situazioni. E' un ottimo film con serie possibilità di palmares e una grande costruzione visiva che ci mette di fronte a una situazione per noi solo apparentemente lontana. Solo l'inizio con le antiche statuine lignee che funzionano da tiro a segno per i jihadisti dimostra l'odio che hanno per qualsiasi cultura africana e per secoli di storia di un paese.








