fortunato betto tondelli

IL TRIANGOLO SI’ - IL CRITICO-SCRITTORE MARIO FORTUNATO RACCONTA IN UN LIBRO I SUOI ANNI ‘80 CON FILIPPO BETTO E PIER VITTORIO TONDELLI: "NELL'AMICIZIA PARTICOLARE CON PIER ERANO INTRECCIATI EROS, INTIMITÀ, COMPLICITÀ LETTERARIA. ANDAVAMO NEI LOCALI GAY MA NON PER RIMORCHIARE. DISCETTAVAMO DEL SENSO DEL SACRO”

Mirella Serri per “Tuttolibri -la Stampa”

MARIO FORTUNATO 1MARIO FORTUNATO 1

 

Tre, il numero perfetto per gli incontri di sesso, di amore e di amicizia. Ma anche per l' apprendistato alla letteratura. Tre è il numero che segnò la vicenda di alcuni grandi scrittori del secolo passato i quali rivoluzionarono non solo il modo di scrivere ma anche la storia del costume, come Wystan Auden, Christopher Isherwood e Stephen Spender, amici-amanti nella vita e complici nell' arte.

 

Oggi il loro modello letterario e anche esistenziale lo evoca Mario Fortunato nel suo appassionato amarcord, Noi tre (Bompiani) in cui narra i meravigliosi e perigliosi anni Ottanta vissuti in tre: con Pier Vittorio Tondelli, di cui quest' anno ricorrono i 25 anni dalla scomparsa all' età di 36 anni, e Filippo Betto, morto per infarto a 43 anni, autore di raccolte di racconti e del romanzo Convulsioni.

 

Il cuore del libro di Fortunato è l' incontro con il timido, insicuro e ombroso Tondelli che nelle sue opere, Altri libertini , Pao Pao e Rimini , ha messo in scena le tortuose vicissitudini di una generazione «il cui atteggiamento generale era di svacco, trasandatezza, noia».

MARIO FORTUNATO COVERMARIO FORTUNATO COVER

 

Fortunato, si riconosce in questa definizione generazionale data da Tondelli?

«Pier era un uomo straordinario, molto generoso come testimonia il "Progetto Under 25" concepito con lo scopo di concedere spazio agli scrittori esordienti... Ho voluto raccontare il percorso che abbiamo fatto insieme e che ci ha accompagnato alle soglie della maturità.

 

Filippo e Pier e io ci siamo conosciuti nel periodo successivo al delitto Moro, negli anni del terrorismo dominati da pesanti ipoteche ideologiche. Ci sembrava che solo coltivando il culto della grande letteratura potevamo crescere senza il desiderio di emulare la ribellione violenta. I libri che fin da ragazzo avevo cominciato a divorare, da la Recherche proustiana alle opere di Dostoevskij, Faulkner, Fitzgerald, Stendhal, Tolstoj, della Woolf e della Mansfield, erano allora l' unica palestra di libertà non ideologica».

 

I vostri anni Ottanta rimandano agli anni Trenta?

TONDELLI 1TONDELLI 1

«Auden e Isherwood scrivevano a quattro mani, abitavano insieme a Spender in una specie di comune, si avventuravano insieme in soggiorni, all' epoca, considerati esotici. Con il loro stile di vita fecero cadere tanti tabù, compreso quello dei rapporti omosessuali. Questo avvenne anche nel nostro caso: nell' amicizia particolare con Pier erano intrecciati eros, intimità, complicità letteraria e forti interessi culturali.

 

L' arte, la musica, la letteratura e il teatro ci facevano scoprire anche nuovi e inattesi rapporti umani. Mi ricordo, per esempio, la prima romana dello spettacolo Sulla strada dei Magazzini Criminali.

 

FILIPPO BETTOFILIPPO BETTO

Torme di ragazzi che spintonavano per entrare come a un concerto rock. Alberto Moravia era quasi travolto, Alberto Arbasino era seduto in prima fila… La scena in cui il nostro magnifico terzetto di ragazzi si trovava gomito a gomito con noti intellettuali era destinata a ripetersi più volte. Vedevo materializzarsi gli autori delle mie letture giovanili: Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Moravia e Leonardo Sciascia».

 

La sua storia si potrebbe intitolare danzando sull' orlo dell' abisso: sesso, droga, le cause della morte di Filippo non sono chiare, forse un micidiale cocktail di barbiturici. Per Tondelli, la peste del Ventesimo secolo.

 

Quella di Filippo però appare un' intenzionale discesa agli Inferi: a volte si addormentava stordito con la sigaretta accesa tra le dita. Come capitò alla scrittrice più amata da voi tre, Ingeborg Bachmann, che morì in un incendio domestico da lei stessa provocato. Eravate degli scrittori maudits?

pier vittorio tondellipier vittorio tondelli

«Non eravamo affatto dediti al cupio dissolvi. La nostra non era una giovinezza eroica, al contrario, troppi falsi miti e falsi eroi occupavano lo scenario politico e culturale. Alcuni di noi volevano provare tutto, assaporare tutto. I coetanei non letterati erano diversi. Per esempio quando frequentavo il Liceo a Crotone il mio primo partner fu un leader del movimento studentesco, un tipo da Lotta continua e dintorni. Un vero macho ammirato da tutte le ragazze. Ma la sua first lady ero io e mi tenevo in disparte. La maggior parte dei giovani gli assomigliava, leggeva i sacri testi politici, parlava di violenza, di comunismo e di rivoluzione. Io invece ero pacifista».

 

La vostra educazione sentimentale avviene nella penombra dei locali gay dove gli incontri nascono e finiscono «dans l' espace d' un matin» o meglio di una sbronza. Dove, però, lei e Tondelli, invece di cercare il compagno per la serata, dialogavate di religione o di letteratura. Come mai?

«Un saggio bellissimo di Roland Barthes descrive questi luoghi di ritrovo come santuari in cui si officiano strani riti. L' oggetto del desiderio è così palese e così esibito che ci si può anche dedicare ad altro.

 

Pier e io, per esempio, frequentavamo un posto che non esiste più, il Saint James, mostruoso emblema del kitsch e della peggior sottocultura omosessuale italiana degli anni Ottanta. Cosa facevamo? Rimorchiavamo? Macché. Discettavamo del senso del sacro».

 

Molto era permesso senza troppe gelosie e rivalità: persino il tradimento letterario. Lei sceglie come mentore dei primi libri Daniele Del Giudice. E Tondelli?

«Si adombrò e decise di non farsi sentire per un po'. Ma era solo un intermezzo, riprendemmo il filo della nostra comunicazione tra pettegolezzi, storie personali, scambi intellettuali e un ex partner in comune. Lui collaborava all' Espresso di cui io ero un giovane redattore.

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Come compagno di stanza avevo Giovanni Buttafava, scrittore e giornalista coltissimo, amante dell' opera lirica, anche lui scomparso prematuramente. Era slavista e aveva tradotto Puskin, Tolstoj, Turgheniev, Bulgakov, Dostoevskij e fatto conoscere in Italia Brodskij, di cui era grande amico. Buttafava mi iniziò alle poesie di Mandel' štam, della Cvetaeva e di Pasternak».

 

Avete vissuto in una ritardata età del jazz all' italiana?

«Si tirava un sospiro di sollievo dopo tanto sperimentalismo inutile degli anni Settanta. Nella musica pop e in letteratura si riscopriva il minimalismo. Nell' arte si tornava a dipingere. Ci siamo cimentati in nuovi linguaggi letterari e abbiamo anche contribuito ad affermare, non certo senza traumi e sofferenze, un nuovo modo di convivere, più aperto e tollerante».

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