
LA VENEZIA DEI GIUSTI - QUESTE QUATTRO INCREDIBILI PUNTATE DI “IL MOSTRO”, IL PRIMO GRANDE VERO REALISTICO TRUE CRIME ITALIANO, DIRETTE DA STEFANO SOLLIMA, VANNO ASSOLUTAMENTE VISTE ASSIEME UNO DOPO L’ALTRA - LA SERIE E' UN PUZZLE, COMPLICATISSIMO, DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI E DELLE STORIE PERSONALI CHE PORTANO AI PRIMI QUATTRO INDAGATI DELLA LUNGA E COMPLESSA STORIA DEL MOSTRO DI FIRENZE - E’ UNA SERIE SUPERIORE SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA PER GLI STANDARD NOSTRANI… - VIDEO
Marci Giusti per Dagospia
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Non fermatevi alla prima puntata. Perché queste quattro incredibili puntate de “Il mostro”, il primo grande vero realistico true crime italiano, dirette da Stefano Sollima, che le ha scritte con Leonardo Fasoli e prodotte con Lorenzo Mieli, pronte per passare a Netflix, vanno assolutamente viste assieme uno dopo l’altra.
Magari sul divano e non sulle sedie della scomoda Sala Casinò di Venezia, dal momento che formano un puzzle, complicatissimo, dei procedimenti giudiziari e delle storie personali che portano ai primi quattro indagati, tutti sardi e tutti orrendi, Stefano Mele, Giovanni Mele, Salvatore Vinci, Francesco Vinci, della lunga e complessa storia del Mostro di Firenze, chiamato simpaticamente a Firenze anche Cicci il mostro di Scandicci.
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Sollima ha scelto attori del tutto sconosciuti e tutti sardi, Marco Bullitta, Valentino Mannias, Giacomo Fadda, Antonio Tintis fanno gli indagati, Francesca Olia invece è la bella moglie di Stefano Madia che verrà uccisa insieme all’amante nel 1968 dando il via alla serie di omicidi, Liliana Bottone è il procuratore che indaga con l’unico attore noti, Sergio Albelli.
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Come i fan di true crime ben ricorderanno, spero, sul Mostro sono già stati girati due instant movie, modesti, negli anni ’80, “Il mostro di Firenze” diretto da Cesare Ferrario e “L’assassino è ancora tra noi” di Camillo Teti, almeno scritto da Ernesto Gastaldi, e nel 2009 è stata girata già una serie, “Il mostro di Firenze”, sempre diretta da Mieli, ma diretta da Antonello Grimaldi con Ennio Fantastichini, Marco Giallini, Bebo Storti come Luigi Vigna, Massimo Sarchielli come Pacciani e perfino Daria Nicolodi e ancora Sergio Albelli, che non lasciò grande traccia.
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Sollima e Fasoli costruiscono una sorta di gigantesca ragnatela dove sistemare un numero impressionante di personaggi mostruosi e predatori che aumenteranno nelle altre puntate con l’arrivo degli amici di merende di Pacciani che ruotano tutti attorno a un solo tema. Il massacro della donna, umiliata, torturata e barbaramente uccisa e violata, sia questa una moglie, un’amante, o una ragazza che fa l’amore in macchina col suo fidanzato.
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Sulla donna si scatena una violenza nata spesso da una repressione barbara e contadina di una omosessualità mal vissuta, di segreti sessuali che non si possono dire. Quel che viene fuori è il ritratto di un’Italia degli anni che vanno dal 1968 ai primi anni ’80 dove la libertà sessuale così esibita dai ragazzi più giovani, stranieri o italiani, l’allegria di programmi tv spensierati dopo gli anni di piombo (sono gli anni di “Quelli della notte” se ricordate) si scontrano inevitabilmente con l’orrore patriarcale di maschi cresciuti tra repressione e voyeurismo.
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Questa mi sembra la chiave, piuttosto innovativa, della serie, dove la scia di sangue innocente degli anni ’70 e ’80 ci porterà dritti all’elenco impressionante di femminicidi attuali. Innovativa è anche la costruzione del racconto dove di episodio in episodio inquirenti e spettatori tornano sempre al punto di partenza del primo omicidio. Quello a Signa nel 1968 di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, il suo amante, uccisi in macchina con una Beretta calibro 22 mentre Natalino Mele, il figlio della donna dormiva nel sedile posteriore.
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Dell’omicidio si incolpa subito il marito tradito, Stefano Mele, che si farà 14 anni di prigione. Ma appare da subito evidente che non è stata solo lui a sparare e che copre qualcuno. Ma chi? L’altro amante della Locci, cioè Francesco Vinci? O suo fratello Giovanni Mele? O Salvatore Vinci, fratello di Francesco, amante della moglie ma anche di lui? Quello che lega questo primo omicidio a tutti gli altri compiuti dal Mostro di Firenze negli anni successivi è la pistola usata, una Beretta Calibro 22, e la modalità. Cioè sparare alle coppie mentre fanno l’amore in auto in piena notte.
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Tutta la parte più efferata dei delitti, le 90 pugnalate alle ragazze, infierire brutalmente sui loro corpi, arriverà però dopo. Come arriverà la rete di guardoni che si masturbano nella campagna vedendo le coppiette che fanno l’amore e che evidentemente sono possibili testimoni oculari dei delitti.
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E’ una serie superiore sotto tutti i punti di vista per gli standard nostrani e forma, con “Portobello” di Marco Bellocchio e “Un prophète" di Enrico Maria Artale, una bella realtà di una industria cinematografica che al di là delle polemiche dei due ministri della cultura di questo governo, il dimissionario Sangiuliano e la new entry Giuli, ci sembra attraversare un periodo di invidiabile ricchezza creativa e produttiva.