LA VIDEO-ARTE DI BILL VIOLA - ECCO COSA SERVE LA TECNOLOGIA: A CAPIRE MEGLIO LA PROFONDITÀ DELL’ANIMA, LA NASCITA, LA MORTE

Francesco Bonami per "La Stampa"

Può piacere o meno - a me ad esempio non piace - ma è innegabile che Bill Viola è diventato un classico della video arte, un settore del contemporaneo guardato ancora dai non addetti ai lavori con molto sospetto. Viola invece è un artista capace di attirare con le sue installazioni tanti visitatori quanti Raffaello o Andy Warhol.

Forse perché la culla dove Viola ha emesso i suoi primi vagiti di artista è stata proprio Firenze. Oggi non si direbbe, ma Firenze negli Anni 70 era un centro di grande sperimentazione, tanto che il giovane artista americano fu dal 1974 al 1976 direttore tecnico di Art/Tapes/22, un pionieristico studio dove sperimentavano la video arte personaggi del calibro di Bruce Nauman, Nam June Paik o Vito Acconci, diventati giganti dell'arte contemporanea come appunto lo è diventato Bill Viola.

Insieme con la moglie Kira, oramai coautrice delle sue opere e voce suggeritrice sullo sfondo di questa intervista, Viola, che ora vive a San Francisco, si sta preparando a un tour italiano: oltre a presentare, domani, la sua opera The Encounter alla Gam di Torino, si recherà sabato a Firenze per donare agli Uffizi il Self Portrait Submerged che andrà ad aggiungersi agli altri autoritratti esposti nel famoso corridoio vasariano, mentre a Palazzo Te di Mantova, fino al 20 febbraio, propone il video The Raft.

Lei è stato un pioniere della video arte e oggi è un classico.
«Il video è stato tutto per me, ma è sempre stato il contenuto delle opere, non il mezzo tecnico che mi ha consentito di farmi il nome che ho».

Tuttavia la tecnologia rimane il filo rosso che tiene insieme la sua carriera.
«Sì, certo, è stata questa costante che io ho seguito nei suoi incredibili sviluppi e che mi ha consentito di creare le immagini che avevo nella testa. Tuttavia, ripeto, ciò che importa sono le tematiche del mio lavoro, non lo strumento con le quali le esprimo. La profondità dell'anima, la nascita, la morte sono ciò che dà forza al lavoro e mi fa dimenticare la tecnologia che utilizzo, così come credo la faccia dimenticare anche allo spettatore».

Non è quindi il mezzo che indica la direzione da seguire, ma lei che dice al mezzo dove andare.
«Esattamente».

Quali sono le tematiche che l'hanno accompagnata in questi 40 anni di attività?
«Mi hanno sempre molto interessato tutte le forme di spiritualità, da quella islamica al buddismo al cristianesimo. Anche se però voglio sottolineare che non pratico nessuna religione in particolare».

Un tema che la sta interessando in particolare.
«Il martirio. Credo che sia un concetto molto contemporaneo. Sia da un punto di vista politico sia da quello strettamente umano. M'interessa l'idea del sacrifico anche nella quotidianità. Credo che una madre che si prende cura dei propri figli giorno dopo giorno faccia un grande sacrificio. Non inteso come rinuncia, ma come forma di devozione estrema».

Quale è stato un evento che ha segnato la sua arte?
«La morte dei genitori. È stato un trauma al quale ho dedicato molti lavori, come The Passing, un'opera del 1991 in bianco e nero».

C'è un'opera in particolare che per lei è importante?
«Sì, è un vecchio lavoro del 1976, He weeps for you (Piange per te). È la proiezione ingrandita di una goccia che cade. È una grande lacrima».

Qual è il segreto del suo lavoro che affascina così tanto pubblico?
«Nessuna delle mie opere è finita. È inutile cercare la perfezione, perché, una volta trovata, l'opera rimane come soffocata o sigillata. Invece lasciandole non veramente finite lascio spazio anche per lo spettatore di entrarci dentro diventandone parte».

Perché il video come mezzo per esprimersi?
«Fin da piccolo ho sempre avuto la sensazione che il mondo si muovesse troppo velocemente. Il video invece mi consentiva di rallentare la realtà offrendomi e offrendo allo spettatore il tempo di capirla meglio».

Il suo lavoro è spettacolare.
«Alcune delle mie opere sono molto spettacolari. Sono stato il primo a introdurre proiezioni gigantesche. Altri lavori invece hanno una loro profonda intimità».

La tecnologia continua a cambiare: è una cosa che la spaventa?
«Anzi, è una benedizione. È fantastico avere a disposizione mezzi sempre più sofisticati per realizzare le proprie immagini».

Non c'è il problema di creare qualcosa che immediatamente diventa obsoleto? Come si difende da questo rischio?
«Mi difendo trasferendo di continuo il mio lavoro su altri supporti. È una specie di processo biologico portare il contenuto del mio lavoro dentro la nuova generazione tecnologica. Ho una stanza nel mio studio piena di macchinari e proiettori che non si usano più. Sembra un museo di archeologia tecnologica».

A meno che non vada via l'elettricità: allora diventerebbe un problema mostrare la sua arte.
«Magari no, magari riesco a far funzionare le mie proiezioni usando l'energia di una bicicletta».

Un artista che l'ha ispirata più di altri?
«Giotto. È stato eccezionale. Aveva capito l'idea dello spazio nella pittura prima di qualsiasi altro. Poi quelle lacrime di dolore sui volti dei suoi personaggi. La lacrima! Si torna sempre a questa piccola goccia così importante nella storia emotiva dell'umanità».

2. SULLE ORME DEL PROFETA NAM JUNE PAIK
Rocco Moliterni per "La Stampa"


Se Bill Viola è considerato oggi una sorta di Dio in terra della video arte, il profeta di questa disciplina fu senz'altro nei primi Anni 60 Nam Jun Paik. A segnare la nascita della video arte è infatti nel 1963 a Wuppertal la sua mostra «Exposition of Music-Electronic Television» per la quale l'artista americano di origine sudcoreana crea Tredici distorsioni per televisioni elettroniche.

E nel '68 a consacrarla sarà al Moma di New York la mostra curata da Pontus Hulten «The machine as seen at the end of the mechanical age». Proprio per questa occasione Nam Juine Pake usa per la prima volta una sorta di arcaico videoregistratore.

In seguito saranno artisti come Bruce Nauman, Gary Hill, Laurie Anderson, Wolf Vostell (che già nel 1958 aveva incorporato un televisore in una sua installazione), Vito Acconci, solo per fare qualche nome, a sviluppare la video arte. Che però è un mondo composito che va dalla semplice ripresa e riproposizione di performance alla messa in discussione del mezzo.

Bill Viola, nato nel 1951 a New York, si fa le ossa come assistente proprio di Neuman e Nam June Paik, prima di sviluppare un suo stile, in cui la musica e l'arte rinascimentale hanno un ruolo fondamentale.

 

 

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