giovanna ralli

VITA, RICORDI, INCONTRI E LITIGATE DI GIOVANNA RALLI: MOLTI ATTORI MI FACEVANO LA CORTE. MA L'UNICO CHE ABBIA ESAGERATO E INFATTI UNO SCHIAFFO SE L'È PRESO TUTTO, ERA RENATO RASCEL. PICCOLO DI STATURA, MA MOLTO BIRBONE” - "UNA VOLTA IO E MASTROIANNI ERAVAMO NUDI SUL SET E DOVEVAMO GIRARE UNA SCENA DI SESSO. MA LUI..."

Malcom Pagani per “il Messaggero”

 

vittorio gassman   giovanna rallivittorio gassman giovanna ralli

Anatomia di Elide Catenacci: «L' unica fotografia che ho conservato di un mio film è quella del personaggio che interpretavo in C' eravamo tanto amati. La osservo adesso in cornice, con le orecchie a sventola e i denti finti e non vedo un' attrice, ma una persona di famiglia. L' unica che mi sia portata a casa, l'unica che non sia rimasta su un set. Elide ero io.

Una ragazza che non aveva studiato e che aveva iniziato a lavorare a tredici anni.

 

 giovanna ralli giovanna ralli

Una che a scuola era stata soltanto fino alla Terza Elementare, che ogni tanto camminando goffa nel parco di Testaccio con sua madre intruppava sui lampioni e che quando doveva scrivere una lettera di ringraziamento, proprio come Elide, non sapeva dove mettere l' acca per declinare il verbo avere e affrontava il vocabolario con timore. Chiedevo consiglio a mio fratello Massimo: Se devo dire che sono grata, scrivo gradidudine o gratitudine?».

 

A 82 anni, Giovanna Ralli ha ritrovato le parole per stare al mondo come accadeva quando non era sola: «Ho ripreso a leggere Cechov e Maupassant, a uscire di nuovo con le mie amiche, ad andare a teatro, ai concerti, al cinema. Dopo la morte di mio marito Ettore, nel 2013, mi sembrava che niente avesse più un senso.

 

Volevo andare in Olanda, informarmi sull' eutanasia e pensavo anche al suicidio. Quando una donna non ha più al suo fianco la tenerezza e l' ironia del suo compagno, la vita cambia».

 

 giovanna ralli e marcello mastroianni giovanna ralli e marcello mastroianni

Lui si chiamava Ettore Boschi: «L'avvocato che difese la partigiana Carla Capponi e che fece conoscere in Italia, quando di quegli argomenti non discuteva nessuno, il tema del Dna. Detestavamo entrambi la mondanità e la sera, quando tornava - titic e titac - finivamo spesso sul divano, felici, dopo un piatto di spaghetti al pomodoro, davanti un vecchio film. Se le dico che abbiamo finito per vedere Stregati dalla luna otto o nove volte, lei ci crede?» 64 film per il cinema, dieci serie tv, molto teatro.

 

Cos' è rimasto?

«Sicuramente non i rimpianti. Men che mai per la mondanità. Mai stata a un Festival se non c' era un mio film, mai andata alle feste tanto per farmi vedere. Il Nastro d' argento per C' eravamo tanto amati - per dire- lo ritirai dieci anni dopo averlo ottenuto».

 

Come mai?

renato rascel e  giovanna rallirenato rascel e giovanna ralli

«Perché mi vergognavo. Perché ero timida. Gli attori sono tutti timidi. Quando vivi il personaggio non sei più te stessa. Sul set mi accadeva una cosa stranissima. Mi scatenavo. Mi liberavo. Era come andare dall' analista. Poi, finita la giornata di lavoro, chiudevo baracca e burattini e non me ne fregava più niente».

 

Che vita sarebbe stata senza cinema?

«Sarei entrata in fabbrica, alla Chlorodont, a preparare tubetti di dentifricio. E avrei fatto otto figli. Mia sorella ne ha fatti sette, posso sbagliare per eccesso».

 

Era una ragazza semplice?

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«Semplicissima. Facevo provini per qualche comparsata a Cinecittà e a recitare seriamente non pensavo. Il primo a dirmi che forse potevo provarci fu Fellini. Avevo tredici anni e lavoravo nella compagnia di Peppino De Filippo. Lui stava preparando Luci del varietà con Lattuada, mi vide e mi disse: Ti piacerebbe fare cinema? e io Sì, quanto mi date?. Il resto venne da sé. Partecipai a La famiglia Passaguai di Aldo Fabrizi e poi Lattuada si ricordo di me per affidarmi un piccolo ruolo ne La Lupa. I provini cominciavano ad andare bene e in fabbrica, dove pure mi avrebbero assunta, non andai più».

 

Che ricordi ha degli anni '50?

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«La febbre negli occhi della gente. C'era stata la guerra, si iniziava a lavorare presto, bisognava darsi da fare. Mi sarebbe piaciuto studiare, ma era un lusso che non potevo permettermi. Sergio Amidei, lo sceneggiatore con cui divisi per molti anni il tetto, mi regalò Guerra e pace. Lo presi in mano e dissi: Ammazza quanto è pesante, ahò».

 

Elide Catenacci non avrebbe saputo fare di meglio.

«Gliel'ho detto, ero io. Con la differenza che mio padre faceva il fornaio e Aldo Fabrizi, nel film, il palazzinaro senza scrupoli. L'intuizione di Scola, con il quale anni prima avevo fatto Se permettete parliamo di donne fu geniale».

 

Scola non conosceva la sua biografia?

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«Ci conoscevamo perché era molto amico di Amidei, ma della mia vita precedente non sapeva niente. Invece 45 anni fa, sul finire del 1972, mi arrivò questo copione. Lo lessi d'un fiato e mi commosse tanto. Per il mio ruolo, Ettore aveva fatto molti provini, ma non mi chiese di sottopormi a nessun esame: Se vuoi, la parte è tua. Ma guarda che devi essere brutta. Avrai il sedere finto, le braccia gonfie, la gambe grasse e solo nell' ultima scena, quella dello sfasciacarrozze, tornerai a essere davvero tu. A me di diventare brutta non importava niente».

 

Di cosa le importava?

«Di dare qualche suggerimento. Ero cresciuta, ero stata in America, ormai sapevo leggere le sceneggiature. Mi ero acculturata. Si può dire acculturata, no?». (Ride)

 

Si può dire.

«Se pensavo ci fossero dialoghi da cambiare, zitta non stavo. Aver passato tanto tempo con dei geni come Age, Scarpelli, Flaiano, Rossellini e Amidei a qualcosa era servito: Leggi, leggi, leggi mi dicevano e io davo retta».

 

Diede suggerimenti anche a Scola?

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«Ettore voleva che Elide nel film leggesse Pian della Tortilla di Steinbeck e io gli dissi che non andava bene: La massa non lo conosce, mettimi in mano I tre moschettieri e vedrai che funziona di più».

 

Aveva ragione lei?

«Quando Elide al culmine dei suoi sforzi per emanciparsi e compiacere Gassman che si vergogna della sua ignoranza, sostiene che il libro di Dumas è tosto, al cinema ci fu un boato».

 

Aldo Fabrizi, nel film di Scola, ha un ruolo indimenticabile.

«Aldo, ed è un vero e proprio scandalo, una cosa che mette tristezza, non è ricordato a sufficienza per il grandissimo attore che è stato. Non una maschera, una macchietta, un caratterista. Ma un attore enorme che non recitava in romanesco, ma in romano. L' avevo conosciuto da ragazza e lo ritrovai sul set di Scola. Ci volevamo un bene dell' anima. E durante le sessioni di trucco che duravano un' eternità parlavamo per ore. Si lamentava: Ma Giovà, mi spieghi perché ci imbruttiscono così? e io: E semplice, tu sei il palazzinaro, io so' figlia tua e Gassman mi sposa solo per interesse. Nel film con Vittorio riesco a comunicare solo per mezzo di un registratore. Lui non mi ama e non mi ha mai amato. Io sì.

 giovanna ralli  giovanna ralli

Io ci ho creduto».

 

Cosa raccontava davvero C' eravamo tanto amati?

«La caduta delle illusioni. Quello che sogniamo o crediamo di essere e quello che siamo e diventiamo davvero. È una storia universale. Bisogna accettare la realtà».

 

E qual è la realtà?

«Che nella vita si cambia e non si rimane sempre gli stessi. Io sono cambiata. Ho 82 anni e non cerco più le cose che inseguivo a 40».

 

Ha detto di non avere rimpianti.

«Non ho nessuna nostalgia per il mio mestiere. Tre anni fa ho detto basta e nonostante abbia avuto più di una proposta, indietro non torno».

 giovanna ralli   giovanna ralli

 

Ha diviso con la scena con alcuni dei più grandi attori italiani.

«I miei preferiti erano Tognazzi e Mastroianni. Ugo era stupendo, divertente, un grande compagno di lavoro. Aveva fatto il teatro comico, quello classico, i film di Ferreri. Me lo ricordo ancora, strepitoso, ne Il Federale di Luciano Salce».

 

Un difetto?

«Secondo me cucinava malissimo. Ero fraterna amica di Franca Bettoja e quando Tognazzi si metteva ai fornelli io e Franca, ci davamo alla fuga e preparavamo clandestinamente due uova al tegamino».

 

 giovanna ralli giovanna ralli

Tognazzi ha avuto quanto ha meritato?

«Sicuramente meno. C' erano grandi registi, registi che ho anche amato come Bertolucci o Visconti, che agli attori italiani, per i ruoli importanti, preferivano gli stranieri».

 

Mastroianni invece?

«A differenza degli altri, direi di quasi tutti gli altri, non mi ha mai corteggiato. Ho recitato con lui in quattro film, in tutte le età della vita e mi ha insegnato veramente tanto. Ne Il bigamo di Emmer, un film medio, direi dignitoso, c' era più di una scena drammatica. Marcello le affrontava senza alcuna enfasi e a quel punto con lui non si trattava neanche più di recitare, ma di parlare. Era di una naturalezza straordinaria».

 

Lei e Mastroianni vi frequentavate anche fuori dal set?

«Nessun attore si frequenta fuori dal set, gli attori hanno sempre così tanto da fare»

 

Gli altri attori, diceva, le facevano la corte.

«L'unico che abbia esagerato e infatti uno schiaffo se l' è preso tutto, era Renato Rascel. Piccolo di statura, ma molto birbone. Mi corteggio durante una cena, esagerò, mi chiese scusa. Da lì in poi le cose tra noi andarono benissimo».

GIOVANNA RALLIGIOVANNA RALLI

 

Mastroianni lo incontrò per l'ultima volta sul set di Verso Sera di Francesca Archibugi.

«Sceneggiatrice eccellente. In un film non c' è niente di più importante della scrittura».

 

Più importante della regia?

«Il regista dovrebbe far vivere i dialoghi e se poi non è bravo, è un casino. Ma la scrittura conta di più. Non mi aveva chiesto di Mastroianni?».

 

Certo.

«Ecco, io e Marcello ci siamo ritrovati dopo tanti anni, mezzi nudi, interpretare due amanti maturi.

Archibugi suggerì: Fai vedere un po' il seno e io risposi Figurati se lo metto in mostra, ho un' età io.

Nella scena io e Marcello avremmo dovuto fare l' amore, ma lui faceva cilecca. Allora mi tiro su la sottoveste, mi riaccuccio e gli chiedo se voglia riprovarci: Meglio di no dice. Un po' gli veniva da ridere. Abbiamo fatto i fidanzati, i coniugi, ora gli amanti. Che altro ci manca? mi diceva e io ribattevo: Èvero, abbiamo avuto anche i figli, al cinema e nella vita mi è successo solo con te».

 

GIOVANNA RALLIGIOVANNA RALLI

Lei ha fatto anche molto teatro.

«Il classico e anche il contemporaneo. Quando mettemmo in scena Una giornata particolare mi sudavano le mani, come due sogliole. Venne Anna Proclemer a vedermi e in camerino le confessai questa cosa delle mani: Finché ti sudano va benissimo».

 

Le è piaciuto più del cinema?

«Il teatro è un' emozione pazzesca. Si apre il sipario e ti senti libera di poter dire quel cavolo che vuoi. Devi imparare a conoscere il pubblico: non è mai uguale, cambia di giorno in giorno. Il martedì è un po' critico, il giovedì festoso, la domenica caloroso».

 

Ha qualche pentimento?

GIOVANNA RALLIGIOVANNA RALLI

«Se fossi rimasta ferma alla mia terza elementare, il concetto di pentimento non avrei potuto neanche elaborarlo. A cosa avrei potuto aspirare, sinceramente? Da Garinei e Giovannini in giù sono grata a tanta gente e so che nella vita ho dovuto anche scendere a qualche compromesso. Soprattutto all' inizio della carriera. Dovevo sopravvivere, pagare le tasse, non ero protetta da nessuno e i ruoli dei personaggi importanti non li offrivano certo a me. Ho fatto pure qualche film così così? Sicuramente».

 

Ma a lei i film di Antonioni che Elide Catenacci vedeva per emanciparsi piacevano?

GIOVANNA RALLIGIOVANNA RALLI

«Antonioni era straordinario, ma a me pareva che l' alienazione non potesse esistere soltanto nella realtà borghese, ma dovesse esserci a maggior ragione anche al Quadraro o al Quarticciolo. Davanti ai problemi dei personaggi di Antonioni, cosa avrebbero dovuto dire quei disgraziati delle borgate? Dare le capocciate al muro? Ammazzarsi? Diciamo che non tutti gli spettatori capivano fino in fondo le angustie di chi stava bene e aveva soldi e possibilità».

 

Lei è sempre stata di sinistra?

«Mio marito Ettore, un liberale, mi canzonava amabilmente. Bandiera rossa la trionferà canticchiava. È andata diversamente».

 

Ha mai litigato su un set?

«Sul lavoro ero seria ed ero professionista. Sapevo le battute a memoria, ero precisa, credo di non aver mai fatto aspettare una macchina in vita mia. Però i registi che urlavano non mi piacevano. Se c'è qualcosa che non va bene, ti avvicini, me lo spieghi e la volta successiva andrà meglio. Ero abituata alla libertà che ti lasciava Rossellini: Giovanna fai tu, poi vediamo se dobbiamo mettere a posto qualcosa o alla serenità di Scola che difficilmente girava un secondo ciak».

GIOVANNA RALLI E IL MARITO ETTORE BOSCHIGIOVANNA RALLI E IL MARITO ETTORE BOSCHI

 

Qualcuno le urlò contro?

«Litigai con Gigi Magni sul set di Arrivano i bersaglieri. Era il 1979. Dovevo fare un' ottantina di gradini tutti di corsa, con un costume pesantissimo. Giro la prima scena, arrivo in affanno in cima alle scale e vedo che Magni ride di me con l'elettricista e con il macchinista: Non va bene, la puoi rifare?.

Perché non andava bene?. Devi essere un po' più svelta, correre di più. Torno paziente al mio posto e riparto. Arrivata in cima, stravolta, trovo Magni con il suo sorrisetto che scuote la testa: Mi fai la terza?. Lì mi sono rotta i coglioni e gliel'ho detto: Senti, io nun gliela fò, se vuoi mi riposo mezz' ora e poi la rifaccio, però poi basta, te la tieni, come viene, viene. Lui alza la voce e allora la alzo anche io.

Sapevo farmi rispettare».

 

Ha un carattere difficile?

GIOVANNA RALLIGIOVANNA RALLI

«Ma quando mai? Ho un carattere, che è una cosa diversa. Ma a parte quella cazzata con Magni, non mi ricordo di un solo altro alterco. Lo dicevano anche di Monica Vitti: Ha un caratteraccio, ma non era vero. Se doveva dire le cose le diceva con garbo, ma le diceva. Chi è autorevole non ha nessun bisogno di essere autoritario. Mi ricordo Lizzani con il suo ciuffo ribelle. Era un galantuomo meraviglioso, Carlo. Lo chiamavo il mio ragazzo. Non urlava mai. A molti anni di distanza da La vita agra restaurarono il film e Carlo andò a presentarlo ovunque in giro per l' Italia. Mi telefonava: Verresti a Catania?. Con quella voce, e con quei modi, dirgli di no era impossibile».

giovanna ralligiovanna ralli

 

Ha conosciuto bene anche Monica Vitti?

«La vidi al teatro Marigny, a Parigi, giovanissima. Già bravissima, elegante e sofisticata. Tornai a Roma e la segnalai per il suo primo film a Glauco Pellegrini. L' ho sempre rispettata e così hanno fatto tutti gli altri in questi anni, a iniziare dai giornalisti».

 

Lei a gennaio compirà 83 anni. Le pesa l' età?

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«La verità? Non me ne frega niente».

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