ALLACCIAMOCI LE CINTURE – CON LA CRISI GRECA LE FINANZE ITALIANE TORNANO A RISCHIO – I TASSI IN RISALITA CI COSTANO ALMENO 2 MILIARDI IN PIÙ DI INTERESSI E UNA FRENATA DEL PIL PROVOCHEREBBE UNA CADUTA DEL GETTITO FISCALE – IN AUTUNNO, LO SPETTRO DI UNA ROBUSTA MANOVRA CORRETTIVA

Roberto Petrini per “la Repubblica

 

Il sogno della «ripresa di primavera », coltivato tra marzo e aprile di quest’anno, rischia di infrangersi sulla dura realtà della drammatica crisi greca. Tutte le variabili positive innescate dal «quantitative easing » di Mario Draghi, annunciato all’inizio dell’anno e messo in atto dai primi di marzo, con riduzione dei tassi e svalutazione dell’euro, sembrano improvvisamente congelate. Ci fanno da scudo e ci evitano guai peggiori: ma non riusciranno più a dare la spinta decisiva al rilancio della nostra economia. E per l’Italia la situazione sembra tornare nuovamente difficile.

 

draghi gioca  a golf a roma  2draghi gioca a golf a roma 2

In primo luogo la crescita. Sulla scia dell’annuncio della Bce che nel marzo scorso alzava le stime del Pil dell’Eurozona di mezzo punto, portandole all’1,5 per cento per quest’anno, il governo italiano azzardava un ritocco al rialzo della nostra crescita e nel Documento di economia e finanza di aprile la portava dallo 0,6 allo 0,7 per cento. Un ritocco prudente, ma erano in molti, anche all’interno dell’esecutivo, a contare che a fine anno si sarebbe raggiunto l’1 per cento, soprattutto dopo la diffusione dei dati del Pil del primo trimestre che volgevano al positivo per un buon 0,3 per cento.

 

«L’Italia sta uscendo dalla guerra dei sette anni», commentò in marzo il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi.

 

Consumi in leggera ripresa, nuovi posti di lavoro spinti da sconti contributivi e jobs act (anche se la disoccupazione come ha testimoniato ieri l’Istat resta ancora inchiodata al 12,4 per cento), un po’ di fiducia in più. Mancavano all’appello i nuovi investimenti delle imprese, una dinamica tornata positiva ma ancora da tutta da consolidare. Invece la doccia gelata dovuta alla terribile incertezza della crisi greca segnerà con tutta probabilità ripensamenti, prudenze, attese. «La ripresa viene dalle imprese e la Grecia è un guaio», ha ammesso ieri il presidente della Confindustria Squinzi.

 

matteo renzi pier carlo padoanmatteo renzi pier carlo padoan

Qui si inserisce il nodo della finanza pubblica, eterno problema dell’Italia. Il paese avrebbe avuto bisogno di un periodo di tranquillità dopo le pesanti manovre degli ultimi anni per evitare nuove dosi di austerità tali da frenare ancora la ripartenza . Invece se la crisi della zona euro diventerà più acuta in autunno la ricerca dei 10 miliardi di spending review già nel menù del governo, ma ancora di fatto da trovare, diventerà più affannosa.

 

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Allora il rischio è che la manovra volta disinnescare l’aumento dell’Iva previsto dalla «clausola di salvaguardia » diventi meno facile del previsto, perché la frenata del Pil provocherebbe la caduta del gettito fiscale e si scatenerebbe un effetto domino sulle finanze pubbliche. A quel punto ci si troverebbe di fronte all’alternativa tra una cura da cavallo e l’aumento dell’Iva.

 

E, nonostante le assicurazioni del governo non è chiaro quale sarebbe l’esito. Il «tesoretto» non c’è più da tempo: se l’è portato via la sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni che è già costata 2,2 miliardi avalere su quest’anno; da considerare ci sono anche i 700 milioni per la cancellazione della «reverse charge», la misura anti-evasione azzerata da Bruxelles; oltre agli 1,7 miliardi previsti per il prossimo anno dalla necessità, sempre stabilita dalla Consulta, di tornare a pagare gli «scatti » agli statali.

 

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Senza contare che il favoloso effetto- spread sul quale si sperava per avere un fardello più leggero in termini di spesa per interessi, sta svanendo. Secondo i calcoli del Cer, realizzati in un “focus” di Antonio Forte, ad oggi, con lo spread a quota 160 e una spesa per interessi che risale verso i 70 miliardi, sono svaniti circa 2 miliardi sui quali si poteva contare: con una spread a quota 100 (in primavera era sceso anche sotto 90) la spesa saprebbe infatti precipitata a 67,8 miliardi.

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Tutto sulla carta perché il governo prudentemente in sede di Def aveva ridotto sì la spesa per interssi ma aveva calcolato lo spred a quota 150 con un costo che è di poco inferiore a quello che viene oggi oggi stabilito dal mercato (69,4 miliardi). La differenza sta tutta nel rendimento dei Btp decennali: in marzo era pari all’1,34 per cento ieri all’asta era salito 2,35 per cento, di mezzo punto.

 

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