AUTONOMIA CANAGLIA - L’EST UCRAINO HA VOTATO PER STACCARSI DA KIEV. MA LA RUSSIA NON LO VUOLE (PER ORA) E RISCHIA DI FARE LA FINE DELLA TRANSDNISTRIA
1. SI' INDIPENDENZA LUGANSK SFIORANO IL 96% - CREMLINO SPERA NEL DIALOGO, MA PER UE E USA IL VOTO Ã 'ILLEGALE'
www.ansa.it
E' un plebiscito annunciato il controverso referendum indipendentista nelle regioni russofone dell'Ucraina orientale di Donetsk e Lugansk, organizzato anche tra le barricate dai secessionisti filorussi, in contrapposizione a quelli che definiscono i 'fascisti' di Kiev usciti dalla rivoluzione 'filo-occidentale' del Maidan.
Lo conferma il risultato preliminare annunciato questa mattina dal vice presidente della commissione elettorale dell'autoproclamata repubblica di Lugansk, Oleksandr Malykhyn, secondo il quale il 95,98% ha votato 'si'' all'indipendenza; da parte sua, il presidente della commissione elettorale dell'autoproclamata repubblica di Donetsk, Roman Liaghin, ha detto che il risultato ''sostanzialmente definitivo'' è 89,07% a favore e solo 10,19% contro.
Mosca "rispetta l'espressione della volontà della popolazione della regione di Donetsk e Lugansk" e spera nel "dialogo tra i rappresentanti di Kiev, di Donetsk e di Lugansk", ha commentato l'ufficio stampa del Cremlino.
Un voto, però, che per l'Occidente e' ''illegale'', come ha ribadito in serata anche la portavoce del capo della diplomazia europea Catherine Ashton, che il presidente francese Francois Hollande ha bollato come ''nullo e non valido'' e che gli Usa hanno condannato fin dalla vigilia con parole durissime. Ma soprattutto un voto che per Kiev è una ''farsa criminale ispirata, organizzata e finanziata dal Cremlino'', come ha denunciato il ministero degli esteri. Sullo sfondo, rispettivamente, le speranze e i timori che la Russia lo possa utilizzare come pretesto per una ulteriore annessione in stile Crimea o per riconoscere un'altra repubblica secessionista, come l'Ossezia del sud e l'Abkazia in Georgia.
O la Transnistria in Moldova, le cui autorita' hanno sequestrato al vicepremier russo Dmitri Rogozin, in partenza da Chisinau, una petizione che chiede a Mosca una un abbraccio analogo a quello della Crimea. Uno scenario nel quale va segnalato il mutato atteggiamento dell'oligarca Rinat Akhmetov, l'uomo piu' ricco del Paese, il re del Donbass e il patron del club calcistico dello Shaktar Donetsk, che proprio stasera ha conquistato il suo nono titolo nazionale: Metinvest, la holding del magnate ex finanziatore del deposto presidente Ianukovich, ha chiesto oggi a Kiev di non usare l'esercito contro il ''pacifico Donbass'', ma d'ascoltarne la voce, annunciando addirittura ''brigate di volontari'' tra i propri dipendenti ''per mantenere l'ordine assieme alla polizia municipale a Mariupol'', secondo centro della regione teatro il 9 maggio di un sanguinoso blitz delle forze ucraine.
La città dove oggi - mentre spuntava il giallo del presunto rapimento del deputato nazionalista radicale e candidato presidenziale Oleg Liashko - e' stato ritrovato impiccato il capo della polizia, Valeri Androshchuk, morto in circostanze controverse: forse ucciso dalla vendetta della gente, forse suicida per rimorso.
Una scelta di campo, quella di Akhmetov, che potrebbe dare la spallata decisiva alla secessione, tanto che il capo dell' amministrazione presidenziale Serghiei Pashinski, pur escludendo al momento che Akhmetov sia tra i finanziatori della rivolta, lo ha sollecitato a ''ritornare alle sue precedenti dichiarazioni a favore di un'Ucraina unita e indipendente'' perche' la sua richiesta rischia di ''diffondere l'infezione attraverso tutto il Paese''.
Il voto, previsto dalle 8 alle 22 locali, si e' svolto in un clima di relativa calma in circa 3000 seggi per circa 5 milioni di elettori (3,2 nella regione di Donetsk, 1,8 in quella di Lugansk), a volte in seggi desolatamente semivuoti, a volte invece con lunghe code, come a Mariupol (dove pero' c'erano solo otto sedi per mezzo milione di abitanti) o tra le barricate di Sloviansk, roccaforte della rivolta circondata dall'esercito e nelle cui vicinanze si sono udite numerose e forti detonazioni nella mattinata e in serata.
A Svatove, cittadina di 20 mila abitanti nella regione di Lugansk, a 50 km dal confine russo, il sindaco Ievgheni Ribalko si e' invece coraggiosamente rifiutato di organizzare la consultazione dicendo per due volte 'niet' ad alcune decine di uomini armati che avevano tentato di convincerlo del contrario. ''Il mio dovere e' di fare rispettare la legge ucraina.
La popolazione deve esprimere la sua opinione in un quadro legale. Non e' il caso di questo referendum'', ha spiegato, forte del sostegno dei suoi cittadini. Impossibile verificare la reale affluenza di una consultazione senza osservatori indipendenti o internazionali, svoltasi peraltro con il coprifuoco o ''clandestinamente'' in alcune localita' assediate. E turbata qua e la' dai blitz della Guardia nazionale ucraina per impedire la consegna delle schede o per sequestrarle: a Krasnoarmeisk e' stato ucciso anche un civile. Singoli episodi di irregolarita' sono stati segnalati da alcuni dei 500 giornalisti stranieri sguinzagliati nell'area, come il voto multiplo in piu' seggi o con il passaporto di altre persone, oppure pacchi di schede gia' votate.
La consultazione, di trasparente, sembra avere in ogni modo solo le urne: le liste degli aventi diritto sono quelle del 2012 (Kiev ha bloccato i database), le commissioni elettorali sono a senso unico. Ma le migliaia di persone che comunque sono andate ai seggi non si sono posti problemi di legittimita'.
''E' un modo per far sentire la voce del Donbass contro i fascisti di Kiev, ormai e' troppo tardi per tornare indietro'', concordano tutti, convinti che ''peggio non sarà '', in un voto dove si mescolano orgoglio, speranze, rancori. Ma Per Kiev e l'Occidente, che minaccia Mosca di nuove sanzioni, l'unico voto che conta e' quello delle prossime presidenziali del 25 maggio, dopo le quali il vincitore dovra' convocare anche nuove elezioni legislative, come ha annunciato il candidato favorito: un altro oligarca, Petro Poroshenko.
2. TRA FACCE PULITE E FALANGI ARMATE DONETSK SCEGLIE L'AUTONOMIA
G. Sar. per il "Corriere della Sera"
Si può ragionare sulle schede, sui timbri, sulle liste elettorali come se fosse il voto di un cantone svizzero. Oppure si può ragionare sulle famiglie, le coppie, le donne anziane, le ragazze, i giovani che si sono messi in coda nei seggi di Donetsk, come se vivessero in un cantone svizzero.
Tutti i numeri del referendum sull'indipendenza del Donbass non sono verificabili. A cominciare dal risultato «sostanzialmente definitivo» annunciato nella notte: 89,07 per cento «sì», contro il 10,9 per cento «no».
Quanti dei cinque milioni di cittadini aventi diritto si sono presentati alle urne? Chi ha potuto controllare che effettivamente lo abbia fatto più del 70 per cento, come da comunicazione ufficiale? Tuttavia nessuno di coloro che sono stati testimoni, che hanno girato per i seggi e per la città , può in coscienza sostenere che la popolazione abbia fatto sprofondare nell'indifferenza l'iniziativa spericolata e illegale del movimento separatista.
Molta gente ha votato, si è messa in fila liberamente, senza il fastidioso pungolo di un Kalashnikov dietro la schiena. Questa, soprattutto questa immagine rimarrà dell'11 maggio, qui nell'Ucraina dell'Est.
Il gruppo dirigente dei filorussi, emanazione del vecchio clan dell'ex presidente Victor Yanukovich, si è impegnato al massimo per rendere più plausibile la cerimonia del voto. A Donetsk il responsabile dell'ufficio elettorale, Roman Lyagin, ha messo in piedi un'organizzazione rudimentale, con qualche decina di telefoni e di computer, provando a scimmiottare la sala dati del ministero dell'Interno in un qualunque Paese occidentale nel giorno delle elezioni.
Conferenze stampa ogni tre-quattro ore. Aggiornamenti «ufficiali» sull'affluenza alle urne. Alle 19 risultava aver votato il 69% a Donetsk e il 75% a Luhansk. La larghissima vittoria del «sì», naturalmente, non è mai stata in discussione. Già ieri il governo a interim di Kiev ha liquidato la consultazione come «una farsa criminale pagata da Mosca» e, ovviamente, nessuno in Occidente riconoscerà la legittimità del risultato.
Sarà interessante, invece, capire come Mosca commenterà e, soprattutto, utilizzerà le schede di Donetsk e Luhansk nel confronto-scontro con gli Stati Uniti e l'Unione Europea. Se lo chiede anche il leader dell'autoproclamata repubblica del Donbass, Denis Pushlin: «Stiamo aspettando la reazione dei nostri fratelli russi».
Il «fratello russo» più importante di tutti, Vladimir Putin, mercoledì scorso aveva invitato i movimenti dell'Ucraina dell'Est a rinviare un referendum pagato (poco o tanto che sia) con i suoi soldi e con quelli di Yanukovich. Ieri, però, a Mosca è stato allestito un centro elettorale nel quale circa 10 mila ucraini hanno potuto votare.
Nelle urne trasparenti di plexiglass molti cittadini del Donbass hanno depositato una speranza, più che una protesta. Eugheny, un pensionato di 64 anni, è in coda da un'ora. à uscito a prendere un po' di aria e di sole, mentre sua moglie gli tiene il posto nella scuola di Vorosciloski, un quartiere centrale di Donetsk, non lontano dalla grande piazza Lenin.
«Non mi aspettavo tanta gente, segno che la voglia di un cambiamento ha prevalso sulla paura». Poco più in là Mikael, 24 anni, interprete in una società di hi-tech, dopo qualche chiacchiera innocente ammette di essere venuto a votare controvoglia: «Non è la cosa migliore in questo momento, perché rischiamo veramente di dividere il Paese.
Quello di cui abbiamo tutti bisogno sono dei grandi cambiamenti nell'economia. Ma non penso che il governo di Kiev sia in grado di perseguirli. E quindi, alla fine, ho deciso di venire qui».
Ore di tensione si sono registrati a Krasnoarmeisk, nella regione di Donetsk, dove truppe fedeli a Kiev hanno tentato di disperdere la folla intorno al municipio e sono accusate di aver ucciso un civile, anche se il governo ucraino nega ogni responsabilità .
Certo, dentro questo voto non ci sono solo le facce pulite di Eugheny e di Mikael.
Non bastano per cancellare la violenza delle falangi armate, l'arroganza e la prepotenza di qualche centinaio di mazzieri che anche ieri ha spintonato un paio di fotografi e maltrattato diversi giornalisti ucraini. Non bastano per cancellare i sospetti più che fondati di frodi nel voto.
La domenica del referendum, però, è forse l'ultimo avviso per le diplomazie internazionali. Nel Donbass esiste un sentimento filorusso che si mescola con una forte diffidenza anti-Kiev. Sicuramente questa parte della popolazione non è maggioritaria nella regione.
Ma oggi è padrona della piazza e dimostra, può piacere oppure no, anche di avere una voce politica, nonostante la guerra sia parcheggiata 120 chilometri a Nord, a Sloviansk e 100 a Sud, a Mariupol. Da oggi sarà oggettivamente difficile non tenerne conto, qualunque sia il tavolo di negoziato sul futuro dell'Ucraina.







