BENGASI È BENGODI PER ROMNEY - LA PATATA BOLLENTE LIBICA FINITA NELLE MANI DI OBAMA, SVEGLIA IL MORMONE CHE TENTA DI RECUPERARE TERRENO ACCUSANDO IL PRESIDENTE DI “NON DIFENDERE I VALORI USA” - IL POLITOLOGO WALZER: “STIAMO PERDENDO LE PRIMAVERE ARABE. ABBIAMO PRODOTTO QUESTA SITUAZIONE PER ROVESCIARE GHEDDAFI, SENZA SAPERE CHI NE AVREBBE PRESO IL POSTO. IL VUOTO PROVOCATO LO RIEMPIONO FORZE ARMATE O RELIGIOSE”…

Paolo Mastrolilli per "la Stampa"

La politica estera, il Medio Oriente, la Primavera araba e l'Iran tornano con violenza in primo piano nella campagna presidenziale Usa. Il dibattito elettorale aveva quasi dimenticato questi temi, col candidato repubblicano Mitt Romney che non aveva neppure citato l'Afghanistan nel suo discorso alla Convention di Tampa, e Obama che contava sull'uccisione di Bin Laden e il ritiro dall'Iraq per chiudere l'argomento.

L'assalto di Bengasi ha cambiato tutto in una notte. Romney ha subito criticato il comunicato iniziale dell'ambasciata americana al Cairo, comprensivo verso i musulmani oltraggiati dal film di Sam Bacile: «Vergognoso», lo ha definito il repubblicano martedì sera, e lo ha ripetuto nel commento di ieri, perché dimostra che «l'amministrazione è fuori controllo, e non difende i valori fondamentali della nostra costituzione, come la libertà di espressione».

Di vergognoso - hanno risposto i democratici - c'è solo la politicizzazione di questa tragedia da parte del candidato repubblicano, che avrebbe fatto meglio a mostrare unità. Il comunicato era uscito prima dei disordini, e nel frattempo il dipartimento di Stato aveva preso le distanze. Quindi Obama ha prima promesso di fare giustizia parlando dal Rose Garden e poi in un'intervista alla «Cbs» ha risposto direttamente a Romney: «Sembra avere la tendenza a sparare prima e prendere la mira poi. Come presidente ho imparato che non puoi fare queste cose. L'importante è fare dichiarazioni supportate dai fatti».

Ora la disputa che effetto avrà sulla campagna elettorale? «É una corsa molto ravvicinata - risponde il politologo Bill Schneider - e quindi qualunque spostamento può influenzarla. Però non credo che l'impatto sarà forte, a meno che la Casa Bianca sbagli la gestione di questo episodio. Se il presidente affronterà bene la crisi potrà anche trarne vantaggi, perché in questi casi gli americani si stringono intorno alla bandiera infatti Carter si rafforzò dopo la crisi degli ostaggi in Iran battendo Ted Kennedy alle primarie, poi perse perché non risolse la crisi».

La questione iraniana, con le tensioni tra Obama e il premier israeliano Netanyahu, è più delicata, «ma se non ci sarà un intervento militare, al massimo sposterà qualche elettore ebreo in stati come New York e California che resteranno democratici». Charles Kupchan del Council on Foreign Relations non vede questo episodio come una bocciatura della politica seguita da Obama nella Primavera araba: «Semmai il contrario. All'origine non c'è stato un errore dell'amministrazione. L'attacco dimostra che la nostra influenza è limitata, anche nei paesi dove abbiamo avuto successo, e quindi la cautela di Washington in Siria è giustificata. Comunque vedo questo attacco come un fatto isolato, non una svolta anti-americana della Primavera araba».

I repubblicani cercheranno di sfruttare di più l'Iran, «ma anche su questo non faranno molta strada. Alla fine la posizione di Romney è assai simile a quella di Obama, che ha bocciato il contenimento e quindi si è impegnato ad usare la forza, se sarà necessaria, per fermare il programma nucleare. Quanto a Netanyahu, Usa e Israele stanno per cominciare una delle esercitazioni più grandi di sempre: la collaborazione militare è al massimo livello, e solo questo conta».

Per Daniel Pipes, ex consigliere di Bush, «l'amministrazione ha commesso un grave errore a scusarsi per il video. La fermezza occidentale nel rispondere alle intimidazioni degli islamici è decisiva. Se poi l'assalto libico si trasformerà in una crisi prolungata, o Israele attaccherà l'Iran, la situazione cambierà radicalmente». Il politologo Michael Barone vede un'apertura per Romney: «Non è mai bene, per un incumbent, quando c'è disordine. Quello di Bengasi è stato un atto di guerra, e ricordatevi cosa successe nel 1980 con gli ostaggi in Iran».

2 - WALZER: «STIAMO PERDENDO LE PRIMAVERE ARABE»...
Ennio Caretto per il "Corriere della Sera"

«La cosa più urgente è prevenire altre tragedie come quella di Bengasi. Sono sicuro che Obama farà giustizia dei colpevoli come fece giustizia di Bin Laden. Ma il presidente ha denunciato oltre all'attacco al nostro consolato il video su Maometto. Provocazioni del genere mettono in pericolo le vite degli americani nel mondo islamico».

Al telefono dall'Università di Princeton, il filosofo politico Michael Walzer, l'autore di «Guerra giusta e ingiusta», si dice preoccupato che l'America rimanga isolata nell'Islam in seguito a episodi del genere: «E' un mondo in grande fermento con cui bisogna dialogare». Secondo il filosofo, nelle società islamiche c'è uno spazio, sia pure al momento esiguo, per una fioritura «a lunga scadenza», di movimenti democratici.

Che cosa pensa della Libia?
«Che è un Paese in preda a tremende convulsioni, con un governo che forse ha il controllo di Tripoli ma non della maggioranza del Paese, con milizie guidate da signori della guerra, con gruppi terroristici, con formazioni islamiche estremiste. Questa situazione l'abbiamo prodotta noi, bombardando la Libia per rovesciare Gheddafi senza sapere chi ne avrebbe preso il posto e se sarebbe stato in grado di governare. Io mi ero opposto al nostro intervento per queste ragioni. Purtroppo, non sarà possibile rimediarvi in fretta».

Eppure, avete molta influenza sulla Libia.
«Fino a un certo punto. I bombardamenti, anche se bene intenzionati, finiscono per alienare la gente che li subisce. Guardi l'Iraq: lo abbiamo liberato da Saddam come abbiamo liberato la Libia da Gheddafi, ma i nostri rapporti con esso sono tesi. L'Iraq sta aiutando l'Iran a fornire armi e approvvigionamenti alla Siria contro gli insorti».

Di qui il suo timore che l'America resti isolata nel mondo islamico?
«Per ora non siamo isolati. I Paesi sunniti del Golfo Persico e del Medio Oriente ci sono amici, e appoggiano i nostri sforzi per impedire che l'Iran, una repubblica sciita, si procuri l'atomica. Ma l'isolamento diverrà probabile se continueremo a sbagliare politica. In Medio Oriente, con la possibile eccezione della Tunisia, non ci sono democrazie filoamericane, e nel Golfo Persico abbiamo come alleati regimi autoritari, cosa che fa il gioco del radicalismo islamico».

Non puntavate sulla Primavera araba?
«Sì, ma è una scommessa che potremmo ancora perdere. I movimenti "liberal" e democratici sono deboli, e non riescono a riempire il vuoto provocato della caduta dei despoti. Il vuoto lo riempiono o le forze armate o le forze religiose. Avremmo dovuto saperlo ed essere più previdenti. Al momento possiamo solo sperare che le forze armate e quelle religiose si equilibrino a vicenda, come sembra si stia verificando in Egitto tra i Fratelli musulmani e l'esercito. Perché? Perché così lasciano spazio a una terza forza, quella della società civile, per svilupparsi e per emergere in prosieguo di tempo».

Che cosa può fare allora l'Occidente?
«In primo luogo deve prevenire nuove guerre nel mondo islamico e deve mediare nelle rivoluzioni, o la sua instabilità minaccerà la pace mondiale. In secondo luogo deve mantenere i rapporti con i suoi governi, che a mio parere cambieranno con frequenza e non sempre per il meglio. Per ultimo, l'Occidente deve trovare il modo di difendere e di aiutare la società civile emergente nell'Islam. Più regimi moderati sorgeranno e più facile sarà guidare questi Paesi alla democrazia».

 

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