CON BINDI ALL’ANTIMAFIA UNO STUOLO DI CONSULENTI E UNA PAGA EXTRA DI 3500 EURO PER LA ROSPY CHE AMMETTE “DI NON SAPERE NIENTE DI MAFIA” - QUANDO SFRUTTÒ I SINDACI ANTI BOSS PER FARSI RIELEGGERE ALLA CAMERA

1. ROSY, BELLA VITA ALL'ANTIMAFIA: CONSULENTI, UFFICI E PAGA EXTRA
Stefano Zurlo per "Il Giornale"

Un ufficio nel cuore della vecchia Roma. Un appannaggio extra di 3.500 euro. L'auto blindata con la scorta, la segreteria. Uno stuolo di collaboratori e consulenti. È una piccola corte quella della Commissione antimafia al cui vertice si è appena insediata Rosy Bindi. Ed è lungo l'elenco dei privilegi e dei bonus riconosciuti al presidente dell'organismo. Certo, anche a Palazzo San Macuto va di moda l'austerità, o meglio la sua versione light, insomma la sobrietà. Si sa, anche nei rifugi della casta è arrivata una timida spruzzata di spending review ed è stato messo un tetto alle spese, prima senza limite.

Ma il numero uno dell'Antimafia resta il capo di un piccolo impero, impegnato peraltro in prima linea nella difficile guerra alla criminalità organizzata. Proprio per questo si è sempre pensato che il presidente e i commissari dovessero avere strumenti adeguati per combattere la guerra contro le mafie. Così la commissione ha via via imbarcato un piccolo esercito di consulenti e collaboratori, chiamati a decifrare e interpretare le mosse del nemico.

Oggi la Bindi si ritrova un ufficio strategico, anche se di modeste dimensioni, al quinto piano del Palazzo di via del Seminario: «È un locale non tanto grande, ma suggestivo - ricorda Ottaviano Del Turco, presidente dal 1996 al 2000 - anche perché tre piani più in basso, al secondo, si svolse il celeberrimo processo a Galileo Galilei». Insomma, si convive con la storia. Ma non solo.

Come tutti i presidenti di commissioni permanenti, la Bindi percepirà un emolumento extra di circa 3.500 euro al mese. Attenzione: non sono tutti per lei, anzi la parte più importante, poco più di 2.000, è destinata a pagare il lavoro di un collaboratore. Dunque, al presidente restano circa 1.500 euro lordi che si sommano naturalmente al sontuoso stipendio di deputato.

C'è poi il capitolo segreteria: «Avevo a disposizione l'apparato dei funzionari di Camera e Senato, in pratica senza limiti», aggiunge Del Turco. Meno generoso il trattamento ricevuto da Roberto Centaro, presidente dal 2001 al 2006: «La segreteria del presidente era e credo sia ancora composta da 2 massimo 3 persone, prese in prestito dalla Camera di appartenenza». Per la Bindi sarà dunque Montecitorio.

Poi c'è la segreteria della Commissione che risponde sempre al presidente e qui lo staff si allarga. Fino a comprendere sei collaboratori: un consigliere parlamentare, capo della segreteria, due documentaristi, tre segretari parlamentari. Tutti provenienti da Montecitorio così come la precedente squadra era stata formata pescando le risorse dentro la cornice di Palazzo Madama, personale di Palazzo Madama, in ossequio al presidente Giuseppe Pisanu.

Dunque, le due segreterie, quella personale e l'altra della commissione, fanno lavorare circa dieci persone. Un numero imponente. Poi ci sono i collaboratori. Divisi a loro volta fra fissi e part-time: «Ogni presidente - spiega Centaro - sceglie magari fra gli ufficiali dei corpi di polizia alcuni investigatori di sua fiducia e li assume come consulenti della commissione. In media ogni presidente riempie tre caselle. I consulenti vengono regolarmente retribuiti dal vecchio datore di lavoro, ma prendono un extra per l'impegno in commissione». Al loro fianco ecco poi gli esperti part-time, come i magistrati che ricevono solo un rimborso per i viaggi. «Questa pattuglia è assai agguerrita e oscilla da dieci a venti unità - riprende Centaro - in ogni caso un tempo non c'era un limite di spesa e nessuno stava attento alle cifre, poi è stato fissato un tetto e il budget per gli esperti si è ridotto».

Infine la scorta. Il tema della sicurezza è nelle mani del ministero dell'Interno che lo gestisce in piena autonomia e valuta l'assegnazione della scorta. Di fatto il presidente dell'Antimafia, figura istituzionale ad alto valore simbolico, non è mai stato lasciato solo. E la scorta è sempre stata concessa: «Si tratta di un corteo rafforzato - chiarisce Del Turco - io prendevo posto su una Lancia blindata e poi c'era un'auto che seguiva con due o tre poliziotti a bordo. Purtroppo la Lancia era stata adattata con fatica e dunque spesso era in officina per una qualche riparazione». Chissà quale berlina utilizzerà Rosy Bindi.


2. QUANDO SFRUTTÃ’ I SINDACI ANTI BOSS PER FARSI RIELEGGERE ALLA CAMERA
Felice Manti per "Il Giornale"

A Siderno la stanno ancora aspettando. Eppure a Rosy Bindi la Locride dovrebbe esserle cara, visto che quei voti raccolti alle primarie Pd in Calabria sono stati decisivi per la sua elezione come capolista.

Da febbraio invece l'ex presidente Pd i calabresi la vedono solo in tv. D'altronde la Bindi non ha fatto un solo incontro sulla 'ndrangheta durante la campagna elettorale, ammettendo «di non sapere niente di mafia». «Doveva venire anche il 2 agosto, ero lì ad attenderla», dice al Giornale Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco antimafia di Monasterace. Per la cronaca, allora Rosy preferì un talk show su La7.

La Lanzetta è amareggiata, ma non lo ammette per orgoglio. Aveva resistito alla tentazione di dimettersi dal Comune stritolato dalla mafia, quando i boss le hanno bruciato persino la farmacia di famiglia. Poi era arrivato Pier Luigi Bersani, l'aveva eletta icona della sua campagna elettorale, e tutto lo stato maggiore del Pd in Calabria si era convinto che alla fine sarebbe stata lei la capolista del Pd nel feudo bersaniano. E invece il commissario bersaniano Alfredo D'Attorre - ça va sans dire - anziché rilanciare il partito si è fatto eleggere e ha dato l'ok al paracadute pure per Rosy, tra lo sconcerto dei sindaci antimafia:

«Avevamo scritto a Bersani - dice ancora la Lanzetta - per chiedere una candidatura simbolica, del territorio, per un segnale di cambiamento». Poteva essere la Lanzetta oppure Elisabetta Tripodi, sindaco di Isola Capo Rizzuto (feudo degli Arena, quelli che elessero l'ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo in Germania) o Carolina Girasole (bersaniana poi arruolata con Monti).

Alla fine la Lanzetta ha perso tutto: niente scranno e niente fascia tricolore. Si è dimessa dopo il «no» del suo votatissimo assessore democrat alla richiesta del Comune di costituirsi parte civile in un processo nato da un'inchiesta antimafia che coinvolgeva due funzionari. Clelia Raspa, medico alla Asl di Locri dove lavorava il vicepresidente Pd del Consiglio regionale Franco Fortugno, ucciso in un seggio delle primarie nell'ottobre del 2005, forse non voleva mettersi contro il capoclan della cittadina della Locride, Benito Vincenzo Antonio Ruga. «Ma alla fine ce l'ho fatta a costituire il Comune parte civile per difendere l'integrità dell'istituzione», sorride amara la Lanzetta.

In fondo il povero Bersani non aveva scampo. La Bindi era a un passo dalla rottamazione, travolta dal ciclone Matteo Renzi. Solo delle primarie «blindate» avrebbero potuto salvarla, come successo con Anna Finocchiaro, siciliana ma eletta a Taranto. Esclusa la «renziana» Toscana, quale posto migliore della Calabria? Anche nel 2008 il Pd di Walter

Veltroni aveva piazzato Daniela Mazzucconi dalla Brianza, guarda caso protegée della stessa Bindi. A stenderle il velo rosso al debutto di Rosy c'era tutto lo stato maggiore del Pd. Il cronista di Report Antonino Monteleone venne cacciato in malo modo da un congresso al quale partecipavano tutti i colonnelli locali, come la vedova di Fortugno, Maria Grazia Laganà o il potentissimo signore delle tessere Gigi Meduri, sponsor dell'ex consigliere regionale Mimmo Crea, beffato da Fortugno che gli scippò il seggio e beneficiario «politico» della sua morte. Che c'entra Crea, oggi travolto da pesantissime accuse, con la Bindi?

Quando entrò nella Margherita, come scrive Enrico Fierro nel suo Ammazzati l'onorevole, Crea «fu festeggiato a Torino in una cena. Meduri, intercettato al telefono, si lasciò scappare: «Sedici erano a tavola, sedici deputati. C'era Franceschini, la Bindi. Quando è arrivato il conto ho detto a D'Antoni "provvedi a nome del compare Crea. Una scena che mi si mori..." (una scena che a momenti morivo dalle risate, ndr)». Sai che risate con la Bindi all'Antimafia.

3. L'ANTIMAFIA? CHIU-DE-TE-LA
Da "Il Foglio"

E che sarà mai questa commissione parlamentare Antimafia, pur bicamerale, ma tanto - proprio tanto - muffita di retorica? Tutti a scannarsi intorno alla poltrona della presidenza, c'è arrivata Rosy Bindi e ancora oggi, dopo tre giorni, il termometro della politica segna febbre alta.

Non serve a niente la Commissione, non spaventa di certo i criminali e già sei mesi di vuoto (tanto ne è passato di tempo prima che si arrivasse a un esito elettivo in questa legislatura) sono una più che sufficiente prova di conclamata inutilità. Certo, serve a far schiuma. Uno come Saviano trova l'occasione per fare il suo assolo, altri s'accodano nel "non praevalebunt", il copione è straccio ormai e perciò, in tutto questo vociare, l'unica cosa che ci sentiamo di dire è: chiude-te-la.

Chiudetela, questa Commissione inutilissima che dal 1962, cinquantuno anni, mastica buoni propositi e montagne di carta. Inutilissima e utile a volte solo per fare da controcanto alle inchieste, a volte da grancassa e solo una volta, grazie a Luciano Violante - presidente dal 1992 al 1994 - la commissione fu ardimentosa messa in scena di un processo politico. Fu qualcosa di più di un semplice tribunale: un tribunale dell'Inquisizione spagnola.

Con l'interrogatorio di Tommaso Buscetta, infatti, Violante ottenne un risultato: dare un nome all'Entità che stava dietro a ogni intreccio criminale. Il nome fu quello di Giulio Andreotti (ancora non c'era Silvio Berlusconi) e fu così che Violante tracciò il solco che Gian Carlo Caselli, a Palermo, dovette difendere. La politica arrivò prima della magistratura in quella occasione ma la commissione risulta, ancorché storicamente, politicamente inutile perché l'Andreotti di ieri, cioè il Berlusconi di oggi, è già stato incastrato. Le procure hanno già tracciato il solco che la politica deve ormai solo rubricare. Chiu-de-te-la.

 

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