LA “BIOGRAFIA FERITA” DI LORIS D’AMBROSIO - LUIGI MANCONI VA AL DI LÀ DELLA MORTE COME CAUSA-EFFETTO DELL’INCHIESTA DI PALERMO E DELLA CAMPAGNA STAMPA - “L’INTERA VITA DI QUELLA PERSONA VIENE RIDOTTA A QUELL’UNICO FATTO CONTROVERSO. È UN’OPERAZIONE MICIDIALE: UNA ESISTENZA, CHE PUÒ ESSERE TRANQUILLA E ORDINARIA COSÌ COME PUÒ ESSERE RICCA DI RUOLI PUBBLICI, VIENE “DEFORMATA” E, INFINE, MORTIFICATA E RIMPICCIOLITA FINO ALLA MISURA DI QUEL SINGOLO EPISODIO”…

Luigi Manconi per Il Foglio

Non ho conosciuto abbastanza Loris D'Ambrosio per poterne parlare oggi in maniera adeguata. Pochi contatti a proposito di alcune questioni complesse delle quali mi è capitato di dovermi occupare. Ciò che emergeva, anche nel corso di queste rare frequentazioni, era un tratto di assoluta discrezione e di massima riservatezza, tale da far apparire davvero incongrua l'immagine di un uomo che prevarica, deroga ai suoi compiti, invade competenze altrui (come qualcuno ha voluto far intendere).

E tuttavia, se pure penso che D'ambrosio come Nicola Mancino e come Giovanni Conso, siano sottoposti a una campagna di sospetti per lo meno superficiale, ritengo che la morte del consigliere giuridico del Quirinale non vada collegata a tale campagna con un rapporto di causa-effetto.

Ma questa prima considerazione, lungi dal risolvere il problema, solleva una questione ancora più importante: quella che chiamerei della "biografia ferita". Ovvero: come si costruisca nel tempo l'identità di una persona e qual è il rapporto tra storia individuale e giudizio pubblico: e come tutto ciò possa subire una lesione, patire una sofferenza, entrare in crisi.

Può sembrare un dilemma destinato esclusivamente alla speculazione filosofica, ma se pensiamo alle cronache di questi giorni se ne coglie tutta la drammatica attualità. L'ha detto bene Giuliano Amato in una lettera al Corriere della Sera: "vi sono persone la cui intera vita è testimonianza di dedizione e di integrità. Capita un fatto che in sé si presta a più interpretazioni e quella vita, anziché fungere da chiave interpretativa per capire quel fatto, viene dimenticata, cancellata e si ingigantiscono dubbi, si attribuiscono intenzioni che deformano insieme il fatto e la persona".

O meglio: l'intera vita di quella persona viene ridotta a quell'unico fatto controverso. È un'operazione micidiale: una esistenza, che può essere tranquilla e ordinaria così come può essere ricca di ruoli pubblici, viene "deformata" e, infine, mortificata e rimpicciolita fino alla misura di quel singolo episodio. È un meccanismo al quale non ci si può sottrarre, una volta che sia stato avviato.

Per molte ragioni. Alcune dipendono dalla nuova organizzazione, anche tecnologica, del sistema della comunicazione e del suo rapporto con le vite degli individui. Quel sistema della comunicazione esige sintesi estrema fino alla grossolanità e rapidità del messaggio fino alla indecifrabilità; sintesi e rapidità tali da cancellare le dimensioni della "profondità" e della "lunghezza" dalle biografie personali, schiacciandole su immagini solo di superficie. Come decalcomanie su un vetro.

Chiunque legga la propria scheda o quella di un amico, su Wikipedia, avrà la stessa sgradevolissima sensazione: che si parli di una persona totalmente diversa da quella conosciuta (se stesso o l'amico) e, soprattutto, che un'intera esistenza si concentri e si contragga, fino a raggrinzirsi in uno o due episodi arbitrariamente, e spesso bizzarramente, scelti da un selezionatore anonimo, in base a una valutazione i cui criteri restano inconoscibili.

Fino a quando questo riguarda vicende secondarie che diventano qualificanti (immagino che a Umberto Eco non vada ancora giù il fatto di essere infinitamente più noto per la Fenomenologia di Mike Bongiorno che per Il problema estetico in San Tommaso) è un conto: ma può accadere che, a definire una vita e una personalità, siano episodi (considerati) negativi. E può conseguirne che l'intera esistenza risulti appiattita proprio su quell'episodio. Accade spesso, accade a interi gruppi sociali, accade a persone anonime e ad altre notissime.

È il meccanismo feroce della stigmatizzazione. È il medesimo che porta a identificare un'intera etnia con un orribile delitto (romeni=stupratori), ma che può portare a rileggere a ritroso, partendo da una telefonata, l'intera vita di D'Ambrosio. È un'ulteriore variante di quello sguardo attraverso il buco della serratura, di quello scrutare dallo spioncino, che costituisce ispirazione e metodo della cultura giustizialista: e ne conferma, ancora una volta, la natura profondamente immorale.

Perché proprio di questo si tratta: una interpretazione della vita sociale e delle azioni umane che mal sopporta la complessità delle motivazioni, la fatica dell'esperienza, la problematicità delle scelte, e che fa dell'immediatismo una ideologia. Tutto si gioca sul presente e sulla violenza dell'istante.

Il web ne è la sede e, allo stesso tempo, la metafora più efficace: dietro l'homepage (di quel giornale o di quel sito) c'è un deposito immenso e un archivio pressoché infinito, ma rimangono occultati dal vertiginoso succedersi dell'ultim'ora e dell'ultimo messaggio. Tutto ciò che c'è dietro, c'è ma non viene cercato né tanto meno sottoposto a vaglio. Questo produce l'azzeramento della conoscenza e l'inaridirsi dell'esperienza, a tutto vantaggio dell'irrompere fulminante del presente.

Gli effetti sono distruttivi. Se D'Ambrosio è quelle telefonate con Mancino di qualche mese fa, Giovanni Conso non è nemmeno quella sua decisione politica di quando era ministro della Giustizia: è diventato, piuttosto, la notizia criminis raccolta da Antonio Ingroia. Penso che si tratti di un colpo mortale per il diritto e per la politica.

 

 

 

LUIGI MANCONI GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO ANTONINO INGROIA E FRANCESCO MESSINEO

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