BISI SENZA RISI PER ALFANO: IL SEGRETARIO SENZA QUID NEL MIRINO DEI FALCHETTI PDL

1 - PDL, NELL'ALA DURA MALUMORI SU ALFANO BERLUSCONI LO SOSTIENE: TOTALE SINTONIA
P. D. C. per il "Corriere della Sera"

La tesa riunione di oltre quattro ore che martedì sera ha acceso gli animi nel Pdl si è conclusa con una tregua, ma ha lasciato il segno. Il confronto molto acceso alla Camera tra i big del partito, riuniti ufficialmente per decidere come muoversi sulla mozione sulle riforme per evitare il rischio che «a comandare sia il Pd e noi dietro ad obbedire», è stata l'occasione anche per sfoghi, lamentele, espliciti rimproveri che l'ala più dura del partito ha mosso a quella governativa, accusata senza troppi giri di parole di subire l'azione di Enrico Letta e del suo partito restando a rimorchio.

Una riedizione dell'eterno scontro falchi-colombe con Verdini, Santanchè, Capezzone, Romani, Fitto da una parte e soprattutto Alfano (chiamato in tutta fretta dal capogruppo Brunetta a replicare e spiegare), i ministri e i più filo-governativi (da Cicchitto a Schifani) dall'altra divisi sull'atteggiamento da tenere rispetto all'esecutivo: «Sui nostri temi non siamo abbastanza decisi, dall'Imu all'Iva, dobbiamo alzare la voce molto più di quanto facciamo», il senso delle accuse mosse ad Alfano.

Sullo sfondo il tema sempre caldo dell'appoggio al governo: a tutti i costi oppure solo a precise e non negoziabili condizioni, senza le quali si potrebbe aprire la crisi entro l'estate per «sfruttare la finestra elettorale d'autunno», come sperano i più falchi dei falchi? Una tentazione che, giurano i fedelissimi, allo stato Berlusconi - sempre più isolato in Sardegna dove resterà fino a domenica, alle prese con i suoi drammi giudiziari e al di fuori dalle beghe di partito - non nutre affatto.

Ma dietro al tema del governo ce n'è un altro forse perfino più delicato, legato agli assetti di potere nel partito. Verso i big dell'area governativa, Alfano su tutti, i sospetti e i mugugni di chi al governo non è entrato e nel partito ha un più marginale che in passato stanno crescendo.

«Alfano non può stare al governo e comandare nel partito, tenendo tutto in mano mentre Berlusconi si occupa dei suoi problemi, così non si può continuare» è il senso dei discorsi che sempre più si fanno dentro e fuori via dell'Umiltà. Discorsi che diventano pesanti in un clima incendiato dalle anticipazioni del libro di Luigi Bisignani in cui si parla di presunte trame anti-berlusconiane di Alfano e Schifani risalenti ai mesi che precedettero la caduta del governo e che, rilanciate con grandissima visibilità ieri da Libero e dal Giornale hanno scatenato sospetti di manovre e malumori nei diretti interessati, tanto che è dovuto intervenire ieri mattina lo stesso Cavaliere per sedare gli animi e difendere Alfano e gli altri.

«In riferimento alle anticipazioni giornalistiche del pamphlet recentemente pubblicato - ha scritto in una nota Berlusconi -, desidero rinnovare la mia fiducia totale a Renato Schifani, ad Angelino Alfano e agli altri amici chiamati in causa, perché mai mi hanno fatto mancare, anche nei momenti più delicati, il loro sostegno. A loro sono legato ormai da molti anni da una stima, da un'amicizia e da un affetto che non sono mai venuti meno. Continuo insieme a loro ed in totale sintonia la comune battaglia politica nell'interesse del Paese».

Parole indispensabili per bloccare una guerra incrociata e sotterranea pericolosa per l'equilibrio di un Pdl che, dice un fedelissimo dell'ex premier «sta vivendo oggi lo stesso travaglio e la stessa battaglia intestina che il Pd ha affrontato negli ultimi due mesi».

Certo, la presenza di un Berlusconi pur chiuso nel suo eremo e impegnato nelle questioni che lo riguardano da vicino (tornano a rimbalzare le voci di un suo impegno a tutto campo per la nomina di senatore a vita) aiuta ad evitare il deragliamento. Ma la spinta ad un rimescolamento delle carte ai vertici del partito c'è, tanto che si narra di cordate in costruzione, come quella dei big dell'ala dura che - dicono - vorrebbe portare Raffaele Fitto alla guida del Pdl al posto di Alfano.


2 - CICCHITTO AVVERTE I FALCHI: SE SALTA L'ESECUTIVO NON SI TORNA ALLE URNE
Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"

Un Pdl più forte e radicato, con Alfano ancora alla guida per garantire «il collegamento tra partito e governo». Un sostegno leale all'esecutivo che deve essere giudicato «su quanto riuscirà a fare sul versante economico, perché è per questa priorità che è nato». Nervi saldi e poche illusioni sulla possibilità che si possa ora «far saltare il tavolo: chi se ne renderà protagonista pagherà dazio, e non è affatto detto che, se lo facessimo noi, si tornerebbe al voto».

Fabrizio Cicchitto, presidente della Commissione Esteri, in giorni turbolenti per un Pdl alle prese con il dopo elezioni e le fatiche di un governo anomalo nonché esposto alle tempeste giudiziarie, detta la linea per resistere, restare uniti e crescere.

Il voto vi ha fatto male e ha fatto sorgere nuove tensioni: è tornata la guerra tra falchi che vogliono le urne per non finire «in gabbia, come nell'esperienza Monti» e colombe filo-governative?
«Questo scontro di stampo ornitologico è una costruzione giornalistica. In verità, siamo tutti uniti sull'idea che il governo vada giudicato per quello che saprà fare sul terreno economico. E le dirò di più».

Prego.
«L'idea che si debba compiere un salto di qualità rispetto al governo Monti nei confronti dell'Europa, che anche in queste ore sta ponendo un po' troppi paletti rispetto alla possibilità che si impegnino risorse per la crescita, è forse il punto di maggiore condivisione politica che esiste tra noi e il Pd. Per essere chiari: per il Pdl, nessuno di noi escluso, non c'è alcun dubbio che il governo potrà andare avanti solo se saprà sciogliere questo nodo decisivo».

Però tra voi c'è chi è tentato dal tutto per tutto: rompiamo ora, prima che sia troppo tardi e che si chiuda la finestra elettorale dell'autunno del 2013 o resteremo prigionieri. Lei che ne pensa?
«Io penso che oggi sarebbe penalizzato chi facesse saltare il tavolo. Ma se lo facesse il Pd, probabilmente andremmo alle elezioni. Se fossimo noi a rompere, l'esito non sarebbe affatto scontato: si riaprirebbe la sarabanda dei tentativi per fare un nuovo governo, e con la crisi del M5S e la fantasia al potere su ipotetici nuovi premier, il rischio di approdare ad una nuova, composita e ben peggiore maggioranza tale da impedire il voto sarebbe molto forte».

Intanto però i segnali che vi sono arrivati dalle amministrative sono tutto tranne che incoraggianti, e questo non aiuta a tenere calmo il partito.
«È vero, serve una profonda riflessione. Si è trattato di un risultato negativo ma geograficamente differenziato, perché le perdite sono assai più nette da Roma al Nord che non a Sud, dove cioè siamo più presenti e attivi sul territorio anche grazie ai dirigenti e rappresentanti locali.

D'altronde c'è un paradosso evidente: il Pd senza un leader forte è andato malissimo alle Politiche e ha retto bene alle amministrative essendo un partito radicato, che ha un collegamento tra centro e territorio, che ha anche avvicinato il suo mondo con le primarie. Noi che abbiamo un leader fortissimo abbiamo avuto un'ottima performance alle Politiche ma siamo andati piuttosto male alle amministrative».

E dunque come si riparte?
«Fra noi si confrontano due tesi: quella di chi ritiene che comunque nel Pdl è Berlusconi che traina e aggrega voti, per cui di un partito c'è limitato bisogno; e quella di chi, come me, pensa che un leader carismatico come Berlusconi debba essere sostenuto da un partito attivo sul territorio, in rapporto con le forze sociali e culturali, animato da una vita democratica interna.

E anche capace di recuperare, per le cariche istituzionali, la tematica delle primarie: non sarebbe male pensare a questo metodo per scegliere sindaci, presidenti di Regione, consiglieri... Serve un rinnovamento e un cambiamento del partito, da forme verticistiche a democratiche: solo così si ascolta il campanello d'allarme che è suonato per noi alle amministrative».

E come si arriva a un partito così?
«Partendo dal presupposto che il finanziamento ai partiti sarà abolito o, come io spero, solo ridotto, noi come tutti avremo bisogno di fondi. E siccome con il fund-raising, con l'aria di antipolitica che tira non si riuscirà ad ottenere quanto serve per vivere, credo che una seria campagna di tesseramento possa essere utile per due scopi diversi e concorrenti.

Il primo è appunto quello di reperire le risorse per il funzionamento del partito, il secondo e più importante è per ristabilire un collegamento con il nostro popolo. Un tesseramento volto all'organizzazione di congressi comunali, provinciali, regionali potrebbe essere il modo giusto per rimettere in moto un meccanismo democratico indispensabile per vincere».

Ma potrebbe essere ancora segretario Alfano, che ha già il gravoso impegno di vice premier? Nel Pdl c'è chi comincia a mugugnare sulle doppie cariche a lui attribuite.
«Nel Pdl esiste una leadership carismatica e fuori discussione che è quella di Berlusconi. Per quanto riguarda Alfano, io ritengo essenziale che mantenga il doppio incarico, perché da vice premier e assieme da segretario può garantire il collegamento tra il partito e il governo».

Ma questo non rischia di sbilanciare il Pdl su una linea troppo filo-governativa, come l'area più dura ha contestato nelle riunioni tese di questi giorni?
«No, perché l'esigenza giusta di un partito che si pone in posizione anche critica o comunque autonoma rispetto al governo c'è e rimane. Alfano può fare da mediatore con il suo doppio ruolo, ma non c'è dubbio che noi come partito saremo liberi di condurre le nostre battaglie sui temi che più ci stanno a cuore, dall'economia alla giustizia alla legge elettorale, sollecitando il governo e portando avanti le nostre istanze in Parlamento».

 

 

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