1. C’È UN PIANO DIETRO LE EPURAZIONI LENINISTE DI RENZI: A FORZA DI STRAPPI E DI TINTINNAR DI MANETTE, STA COSTRUENDO LA STRADA PER ARRIVARE ALLE ELEZIONI ANTICIPATE 2. I DUE INCIDENTI OCCORSI IN 24 ORE IN CASA DEMOCRATICA (ALLA CAMERA IL VOTO-FLOP SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI E AL SENATO L’ACCANTONAMENTO DEL SENATORE DISSIDENTE CORRADINO MINEO) NON SONO ACCADUTI PER CASO O PER CAOS 3. DOPO IL GRANDE SUCCESSO DEL PD DI PITTIBIMBO ALLE EUROPEE ERA INEVITABILE IL RILANCIO DEL TEMA DI POSSIBILI ELEZIONI ANTICIPATE NELLA PRIMAVERA DEL 2015 4. NON A CASO, RENZI HA AFFIDATO UN INCARICO RISERVATO ED INFORMALE ALL’UFFICIO STUDI DI MONTECITORIO: UN PARTITO ATTORNO AL 40%, CHE POSSIBILITÀ AVREBBE DI CONQUISTARE LA MAGGIORANZA IN PARLAMENTO, SIMULANDO E MIXANDO LE VARIE OPZIONI IN CAMPO, IN PARTICOLARE CONSULTELLUM AL SENATO E ITALICUM ALLA CAMERA?

1. FORME 

Jena per ‘La Stampa’ 

 

Montecitorio jpegMontecitorio jpeg

Renzi come Stalin e Mineo come Trotsky? Come diceva Marx la storia si ripete
in forma di farsa. 

 

2. E RENZI RILANCIA: RIFORME O MEGLIO TORNARE AL VOTO

Fabio Martini per ‘La Stampa’

 

È un incarico riservato ed informale ma assai significativo, quello che il Pd ha affidato all’Ufficio Studi di Montecitorio e che dovrà rispondere ad una domanda mica da poco.
Un Partito democratico attorno al 40 per cento, che possibilità avrebbe di conquistare la maggioranza in Parlamento, simulando e mixando le varie opzioni in campo, in particolare Consultellum al Senato e Italicum alla Camera? 

 

Mario Benotti Romano Prodi Sandro Gozi Mario Benotti Romano Prodi Sandro Gozi

Dopo il grande successo del Pd di Matteo Renzi alle Europee era inevitabile che nelle segrete stanze si tornassero ad elaborare scenari più o meno hard e naturalmente i due incidenti occorsi in 24 ore in casa democratica (alla Camera il voto-flop sulla responsabilità civile dei magistrati e al Senato l’accantonamento del senatore dissidente Corradino Mineo) hanno rilanciato il tema di possibili elezioni anticipate nella primavera del 2015.

Un esponente di governo della cerchia renziana ieri sera la raccontava così: «Matteo ha deciso: si tira dritto sulle riforme, anche perché intende dare corso alla moral suasion del Capo dello Stato, ma naturalmente se le resistenze alle riforme dovessero intensificarsi, la strada elettorale potrebbe rivelarsi obbligata». 

 

CORRADINO MINEO CORRADINO MINEO

In realtà, prima di ripartire da Astana per Roma il presidente del Consiglio ha trasmesso al «cerchio magico» del Pd un messaggio legato soltanto alla polemica in corso: «Avanti tutta, senza se e senza ma, su Senato e su titolo V: su queste due riforme non si fanno concessioni ai 14 o mediazioni al ribasso».

Programmi a media o lunga scadenza, Matteo Renzi non ne ama fare e certamente, se ne fa, non li confida a nessuno. Quella delle elezioni anticipate, dunque, resta una subordinata, da coltivare in serra. E comunque non all’ordine del giorno. Perché prima c’è da sminare il partito, con una attenzione speciale ai gruppi parlamentari sui quali il segretario-leader continua a non avere il controllo.

Marco Minniti Marco Minniti

La novità è che cominciano ad intensificarsi le smagliature anche nella catena di comando renziana. Agli occhi del presidente del Consiglio i due incidenti, quello della Camera e quello del Senato, hanno una natura diversa. Il voto che ha messo in minoranza il Pd sulla responsabilità civile dei magistrati è il prodotto di un emendamento e «di un rischio che era noto addirittura da due mesi», ricorda il sottosegretario Sandro Gozi, vicino al premier. 

 

E dunque il flop non chiama in causa soltanto il presidente dei deputati Roberto Speranza, ex pupillo di Pierluigi Bersani, ma anche la catena di comando di Renzi a Montecitorio, il ministro per i Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi, ma anche il segretario d’aula Ettore Rosato.

Nella ricostruzione ex post fatta a palazzo Chigi, l’accantonamento di Corradino Mineo è più lineare. Anche perché la «regia» è stata di Renzi stesso. Nella Commissione Affari Costituzionali del Senato (quella che istruisce la riforma del Senato) andavano sostituiti tre esponenti del Pd eletti ad altri incarichi (Marco Minniti, Vannino Chiti, Luciano Pizzetti) e l’Ufficio di Presidenza del Gruppo del Senato, anziché promuovere in automatico i sostituti (tra i quali Mineo), ha preferito eleggere tre membri permanenti. 

Vannino Chiti Vannino Chiti

 

Con questa procedura formalmente ineccepibile sono stati eletti Roberto Cociancich, Maurizio Migliavacca, il presidente dei senatori Luigi Zanda ed è stato tagliato fuori il civatiano Mineo. E curiosamente, con i nuovi ingressi, nella Commissione Affari Costituzionali, i non-renziani sono ora cinque su nove, un dettaglio che non ha impedito alla sinistra civatiana, ad alcuni «irregolari» (come Chiti e Corsini) o a senatori con un proprio peso specifico come Felice Casson di gridare allo scandalo, con il documento dei 14. 

 

Una protesta non cavalcata dalla minoranza di Bersani e dei giovani turchi, in trattative con Renzi per la presidenza del partito e per entrare nella segreteria di prossima nomina. L’isolamento dei 14 ha indotto Renzi a passare al contrattacco: dall’Asia è partito l’«ordine» di attaccare i dissidenti e in sequenza si sono esposti i fedelissimi del leader, Debora Serracchiani, Luca Lotti, Maria Elena Boschi. 

 

Poca eco tra i deputati: sono usciti allo scoperto in pochissimi. Una crisi che dunque entra nelle viscere del Pd, diviso in modo significativo per la prima volta nell’era Renzi. Ma il segretario-presidente lo ha già fatto sapere: non intende trasformare in un processo a lui l’Assemblea nazionale convocata domani per celebrare un successo elettorale senza precedenti. 

Luigi Zanda Luigi Zanda

 

3. SUL PD MAZZETTE E MAZZATE

Maurizio Belpietro per ‘Libero Quotidiano’

 

Matteo Renzi alla fine si è rivelato più comunista dei comunisti. Rimuovendo dalla commissione Affari costituzionali del Senato Corradino Mineo e Vannino Chiti, il presidente del Consiglio ha usato contro due esponenti della sinistra del partito il principio di ogni organizzazione leninista. 

 

Debora Serracchiani Debora Serracchiani

Ovvero: si può discutere di tutto,ma poi ci si conta e una volta presa la decisione, la minoranza si deve subordinare alla maggioranza. Del resto la dottrina del centralismo democratico era nel dna del Pci e dunque in qualche modo è stata trasmessa al Pd, che del glorioso partito comunista è l’erede. 

 

La libertà di discussione alla fine dunque si deve trasformare in unità di azione, proprio come sosteneva Lenin. Perciò, senza fare troppi complimenti, mercoledì Renzi ha rimosso i ribelli Mineo e Chiti, colpevoli di non accettare la riforma del Senato così come proposta dal ministro Boschi. 

 

Una epurazione in piena regola che dimostra come,dopo il successo elettorale delle Europee, i l premier non abbia intenzione di andare troppo per il sottile con la minoranza interna e per raggiungere i risultati sia disposto a usare anche le maniere forti. 

 

Però forse, distratto dal viaggio in estremo Oriente, il presidente del Consiglio non ha valutato a pieno gli effetti che il brusco defenestramento avrebbe provocato nel suo gruppo parlamentare. Già in ebollizione per essere spesso tagliati fuori da ogni decisione, senatori e deputati hanno preso la palla al balzo per rigettarla nel campo di Renzi.

LUCA LOTTILUCA LOTTI

 

Così ieri altri tredici senatori del Pd si sono schierati con Mineo e Chiti: fra loro anche il presidente della commissione Industria Massimo Mucchetti, uno abituato a far le pulci ai bilanci. II gruppetto è arrivato addirittura ad autosospendersi dal Pd, criticando il colpo di mano in commissione Affari costituzionali. 

 

La fronda, oltre a criticare la riforma del Senato, contesta il metodo, sostenendo che rimuovere i dissidenti sia in contrasto con l’articolo 67 della Costituzione accusando Renzi di centralismo autoritario. Insomma, fatte le debite proporzioni, sembra di rivedere a sinistra quello cui assistemmo anni fa ma ambientato nel centrodestra. All’epoca gli argomenti erano altri rispetto a quelli in discussione oggi,ma in fondo anche allora una piccola pattuglia cominciò a contestare il presidente del Consiglio e si sa poi come finì.

 

Massimo Mucchetti Massimo Mucchetti

Certo, nel 2009, a guidare la fronda era Gianfranco Fini, mentre per ora a sinistra non si intravede un capo corrente in grado di alzare il ditino e dire a Renzi: «Che fai, mi cacci?». Ciò nonostante, fossimo nei panni del presidente del Consiglio, quello che sta accadendo non lo prenderemmo sotto gamba. È vero, tredici dissidenti sono pochi per arrestare il ciclone toscano e finora non hanno un leader, però, come si è visto a proposito del voto sulla responsabilità civile dei giudici, quelli che nel partito sono pronti a rottamare il rottamatore sono parecchi. 

 

Probabilmente non hanno il coraggio di dichiararsi e dunque approfittano del voto segreto per fare i dispetti al governo, però anche se nascosti dietro l’anonimato ci sono e potrebbero far danni. Sbaglia dunque il ministro Boschi a fare spallucce di fronte alla mini-rivolta, sbagliano quelli che, come il sottosegretario Lotti, contrappongono i 12 milioni di voti raccolti alle recenti elezioni con i 14 dissidenti. 

 

Il gruppetto è infatti solo un sintomo di un’insofferenza più estesa. La vecchia guardia, anche se si è rassegnata di fronte alla travolgente ascesa dell’ex sindaco toscano, le armi non le ha ancora deposte,ma aspetta in silenzio le prime difficoltà di Renzi. Il premier ora spera di eliminare del tutto iburosauri del partito, addebitando a loro la perdita di alcune storiche città umbre, di Livorno e di Padova.

 

Giovanna Melandri Gianfranco Fini Elisabetta Tulliani Giovanna Melandri Gianfranco Fini Elisabetta Tulliani

Ma soprattutto spera di rovesciare sui vecchi arnesi dell’apparato tutte le colpe della tangentopoli rossa che sta scuotendo il partito. Strategia piuttosto ovvia, diciamo anzi che si tratta di mosse quasi scontate. Resta però da vedere se i candidati alla rottamazione si faranno trattare da rottami senza reagire. 

 

In passato hanno sottovalutato il giovanotto toscano,ma ora non sembrano intenzionati a farlo e fingendosi tutti renziani si preparano ad accoltellarlo alla prima occasione.    

 

Gianfranco Fini Gianfranco Fini

Insomma, la saga che da Prodi a D’Alema ci ha riservato molte congiure sinistre potrebbe in un futuro non troppo lontano portarci qualche altro colpo di scena. E se non ci fosse dimezzo l’Italia e il suo futuro, quasi quasi verrebbe voglia di accomodarsi in poltrona e assistere curiosi alle prossime epurazioni fra compagni. 

Ultimi Dagoreport

la scala opera attilio fontana ignazio la russa daniela santanche santanchè matteo salvini

A PROPOSITO DI… QUANTO PIACE LA MATRICIANA ROMANA - IL FORFAIT DELLE ISTITUZIONI ALLA PRIMA DELLA SCALA, IVI COMPRESO LA SECONDA CARICA DELLO STATO, IL SICULO-MILANESE IGNAZIO LA RUSSA, HA SPINTO IL GOVERNATORE DEL PIRELLONE LOMBARDO, ATTILIO FONTANA, INDOSSATI I PANNI DI NOVELLO ALBERTO DA GIUSSANO A DICHIARARE: “ANCHE SE TUTTI APPREZZIAMO LA MATRICIANA, IL NORD DÀ FASTIDIO” – DÀ COSÌ FASTIDIO CHE NEL GOVERNO DELLA “PULZELLA” DELLA GARBATELLA, SIEDONO BEN 6 MINISTRI “LUMBARD” SU 24. E BEN 5 SONO DELLA LEGA – A RISPONDERE A FONTANA, CI HA PENSATO IL RODOMONTE DEL CARROCCIO, SALVINI: “TRA UNA MATRICIANA E UNA CARBONARA TROVI I SOLDI PER SISTEMARE LE CASE POPOLARI”…

pam bondi

DAGOREPORT - COME MAI L’INFORMAZIONE ITALICA SI È TOTALMENTE DISINTERESSATA DELLO SBARCO A ROMA DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, LA FOSFORESCENTE SESSANTENNE PAM BONDI, ARRIVATA CON TANTO DI AEREO DI STATO IL 10 DICEMBRE? - EPPURE LA FEDELISSIMA DI TRUMP NON SI È TENUTA NASCOSTA: HA ALLOGGIATO ALL’HOTEL ST. REGIS, SI E’ ATTOVAGLIATA AL BOLOGNESE DI PIAZZA DEL POPOLO, HA INCONTRATO AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DI VIA ARENULA CARLETTO NORDIO, HA AVUTO L'INESPRIMIBILE GIOIA DI CONOSCERE IL VICEPREMIER MATTEO SALVINI A UN RICEVIMENTO DELL'AMBASCIATORE USA IN ITALIA, TILMAN J. FERTITTA. E, FORSE, LA BEN DOTATA DALLA NATURA PAMELONA HA PURE INCOCCIATO IL MINISTRO PIANTEDOSI - MA DELLA “VACANZA ROMANA” DELL'ITALOAMERICANA CARISSIMA A TRUMP, NON SI REGISTRA MANCO UNA RIGA SUI GIORNALONI DE' NOANTRI - VABBE', A NATALE BISOGNA ESSERE BUONI: MAGARI ERANO TUTTI TROPPO IMPEGNATI A SEGUIRE LA FESTILENZA DI ATREJU DEI FRATELLINI DI GIORGIA…

john elkann theodore kyriakou leonardo maria del vecchio

DAGOREPORT - L’OSTACOLO PIÙ TOSTO DELLA TRATTATIVA IN CORSO TRA IL MAGNATE GRECO KIRIAKOU E JOHN ELKANN NON E' L'ACQUISIZIONE DEL GRUPPO GEDI BENSÌ COME “RISTRUTTURARE” UN ORGANICO DI 1300 DIPENDENTI, TRA TAGLI ALLE REDAZIONI LOCALI, PREPENSIONAMENTI E “SCIVOLI”, DI CUI CIRCA 280 GIORNALISTI FANNO CAPO A “REPUBBLICA” E ALTRI 170 A “LA STAMPA” - LA PARTITA SUL FUTURO DEL QUOTIDIANO TORINESE, ASSET CHE NON RIENTRA NEL PROGETTO DI KYRIAKOU, NON ACCELERA CON LA CORDATA VENETA MESSA SU DA ENRICO MARCHI - NEL CASO LA TRANSIZIONE ELLENICA NAUFRAGASSE, LEONARDINO DEL VECCHIO HA CONFERMATO DI ESSERE PRONTO: “NOI CI SIAMO” - “NOI” CHI? ESSENDO “QUEL RAGAZZO'' (COPY ELKANN), DEL TUTTO A DIGIUNO DI EDITORIA, I SOSPETTI DILAGANO SU CHI SI NASCONDE DIETRO LA CONTRO-OFFERTA CON RILANCIO DELL’AZIONISTA DELL’IMPERO DEL VECCHIO, IL CUI CEO MILLERI È STATO ISCRITTO NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI CON CALTAGIRONE E LOVAGLIO, PER LA SCALATA DI MPS SU MEDIOBANCA-GENERALI - E DA TORINO, AVVISANO LE REDAZIONI IN RIVOLTA DI ROMA E TORINO DI STARE ATTENTI: DALLA PADELLA GRECA RISCHIANO DI FINIRE NELLA BRACE DI CHISSÀ CHI...

nietzsche e marx si danno la mano venditti meloni veneziani

VIDEO! “ATREJU E’ IL LUOGO IN CUI NIETZSCHE E MARX SI DAVANO LA MANO, COME DIREBBE ANTONELLO VENDITTI” – GIORGIA MELONI CITA “COMPAGNO DI SCUOLA”, IL BRANO DATATO 1975 DEL CANTAUTORE DI SINISTRA. OVVIAMENTE MARX E NIETZSCHE NON SI DIEDERO MAI LA MANO, NÉ AD ATREJU NÉ ALTROVE. CIÒ È STATO ANCHE IMMAGINATO NELL’ULTIMO LIBRO DI MARCELLO VENEZIANI “NIETZSCHE E MARX SI DAVANO LA MANO”. LO SCRITTORE IPOTIZZA COME MISE EN SCÈNE CHE LA SERA DEL 5 MAGGIO 1882 I DUE SI SIANO TROVATI IN UNA LOCANDA DI NIZZA (DOVE ENTRAMBI PASSARONO). NON SI CAPISCE BENE SE LA MELONI CI ABBIA CREDUTO DAVVERO – VIDEO

giorgia meloni balla ad atreju

GIORGIA, ER MEJO TACCO DI ATREJU! - ZOMPETTANDO COME UN MISIRIZZI, LA MELONI CAMALEONTE HA MESSO IN SCENA CIO' CHE SA FARE BENISSIMO: IL BAGAGLINO DI CORBELLERIE (''QUESTO È IL LUOGO IN CUI NIETZSCHE E MARX SI DANNO LA MANO'') E DI SFOTTO' SU ELLY SCHLEIN: "IL CAMPO LARGO L'ABBIAMO RIUNITO NOI... CON IL SUO NANNIMORETTIANO 'MI SI NOTA DI PIÙ SE VENGO O STO IN DISPARTE O SE NON VENGO PER NIENTE' HA FATTO PARLARE DI NOI" -UBRIACA DI SE' E DEI LECCAPIEDI OSPITI DI ATREJU, HA SCODELLATO DUE ORE DI PARACULISSIMA DEMAGOGIA: NULLA HA DETTO SU LAVORO, TASSE, SANITA', ECC - IDEM CON PATATE SULLA GUERRA RUSSIA-UCRAINA, SUL CONFLITTO STATI UNITI-EUROPA, SUL RUOLO DEL GOVERNO SU DIFESA E IL RIARMO EUROPEO - IN COMPENSO, HA STARNAZZATO DI VITTORIE DEL GOVERNO MA  GUARDANDOSI BENE DI CITARE MINISTRI O ALLEATI; SI E' INFERVORATA PER IL PARTITO MA NON RICORDA CHE L’HA FONDATO CON CROSETTO E LA RUSSA ('GNAZIO E' STATO DEL TUTTO OSCURATO AD ATREJU) - "GIORGIA! GIORGIA!", GRIDA LA FOLLA - OK, L'ABBIAMO CAPITO: C’È UNA PERSONA SOLA AL COMANDO. URGE UN BALCONE PER LA NUOVA MARCHESA DEL GRILLO - DAGOREPORT+VIDEO 

elly schlein pina picierno stefano bonaccini giorgio gori lorenzo guerini giuseppe conte pd

NAZARENO, ABBIAMO (PIU’ DI) UN PROBLEMA - L’ASSEMBLEA PD DI DOMANI RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG PER SCHLEIN: I DELEGATI DISERTANO, A RIDOSSO DI NATALE, NESSUNO SPENDE SOLDI E TEMPO PER VENIRE NELLA CAPITALE AD ASCOLTARE UNA RELAZIONE SENZA DIBATTITO – LA MOSSA DEI PRETORIANI DI ELLY PER SCONGIURARE LA SALA VUOTA ED EVITARE IL CONFRONTO IMPIETOSO CON MELONI CHE CONTEMPORANEAMENTE FARA’ IL PIENO A ATREJU – SORGI: “BONACCINI ENTRERA’ IN MAGGIORANZA MA SE I RIFORMISTI NON DOVESSERO RICEVERE RASSICURAZIONI SULLE LISTE ELETTORALI, IL RISCHIO DI UNA EVENTUALE SCISSIONE, SI FAREBBE PIÙ CONCRETO…”