C’E’ UNO STADIO PRIMA DEL “ROTTAMATI”, “ROSICANTI”

Monica Guerzoni per "Corriere della Sera"

«Non mi sento rottamata, no. E scriva pure che alla mia eventuale rottamazione provvederò in proprio».

Il tono della voce è più brusco del solito, ma a sera Anna Finocchiaro sembra aver fatto pace con la storia delle ultime ore: «Che farò adesso? Potrei ricandidarmi alla presidenza del gruppo, ma non ne ho alcuna intenzione. Ho fatto la presidente per sette anni e sono stremata. Non si è buoni per tutti i ruoli per sempre, ora c'è un gruppo rinnovato ed è giusto che ci sia un nuovo presidente».

Merito di Grillo o di Renzi se avete deciso di voltar pagina? «È merito di questo gruppo dirigente, che ha preso una decisione coraggiosa e generosa». Un gruppo dirigente che ha capito tardi gli umori della gente, non pensa? «Si può sapere cosa volete? - si spazientisce la senatrice, da cinque lustri in Parlamento -. Noi lo abbiamo capito, punto. Se facciamo una cosa buona lo abbiamo capito tardi, se la facciamo cattiva siamo sempre gli stessi...».

Parole schiette, che tradiscono orgoglio e delusione. Eppure lei giura che no, in fondo non le dispiace aver mancato lo scranno più alto del Senato: «Nessun rammarico. Io sono una politica e registro una vittoria importante, che dà speranze per il futuro. Sono contenta, davvero». Qualcuno la dava in corsa per il Quirinale... «La pregherei di risparmiarmi e, per favore, lo scriva così come gliel'ho detto».

Bersani la chiama «innovazione», ma la parola che ha terremotato quel che resta del vecchio Pd fa rima con «rottamazione», termine chiave del verbo di Renzi. Eppure il segretario assicura che il vento del cambiamento non arriva da Firenze, ma da largo del Nazareno. «Sono i rottamandi come me che hanno scritto questa pagina nuova...» scherza il leader subito dopo l'elezione di Laura Boldrini. Renzi non c'entra? «No. Dario e Anna hanno compiuto una scelta responsabile, per il Paese». Ma i renziani esultano, dicono che la loro linea ha vinto e che il rinnovamento non può fermarsi. Bersani lo ha finalmente capito ed è pronto a spingere ancora sul pedale del ricambio, basta con le vecchie conoscenze e largo ai giovani. E pazienza se la strategia dello schiaffo alla politica lo costringe a sacrificare dirigenti come Dario Franceschini, uno che non ha mai fatto il ministro, è entrato in Parlamento nel 2001 ed è stato segretario «per servizio».

Il capogruppo uscente l'ha presa con eleganza, il suo passo indietro durante l'assemblea di coalizione è stato accolto da una standing ovation e, a caldo, Franceschini si dice «sollevato da un peso». Non è stato «un atto di eroismo» il suo e non c'è nulla, assicura, di cui debba «pentirsi». Una cosa però gli ha fatto dispiacere: «Alcuni, nel Pd, hanno dato l'impressione che io pretendessi quella carica. Invece io e Bersani, l'altra notte, ci abbiamo messo un minuto a prendere la decisione di candidare la Boldrini al mio posto, anche per sfidare i grillini». E per spuntare le armi a Renzi? «Matteo ha usato un termine sbagliato per chiedere una cosa giusta». Bersani gli ha offerto la presidenza del gruppo, ma Franceschini ha detto no: «Che farò? C'è il resto della vita... Non posso nemmeno dire che continuerò a lavorare con spirito di servizio, perché la politica è così degradata che suonerebbe ipocrita».

L'idea di sparigliare i giochi è stata di Errani, che a notte fonda l'ha proposta a Bersani, Migliavacca e Letta. «Non è stata una bocciatura di Dario e Anna - assicura il vicesegretario -. La linea era allargamento o innovazione, e poiché Monti si è sfilato abbiamo scelto di cambiare». Veltroni, che si è autorottamato, approva: «Aria nuova». E i giovani turchi rivendicano il merito della svolta. «Il Pd - festeggia Matteo Orfini - ha capito che la linea giusta è cambiare tutto». La rottamazione (modello Bersani) continua.

 

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