MARINO: BARBARO O BARBERINO? - “MACRO”-CAOS AL MUSEO: SPONSOR IN FUGA E SINDACO NELLA BUFERA

Alessandra Mammì per L'Espresso

La sede c'è. Anzi il Macro, comunale museo di Roma, ne ha addirittura due. Una nel quartiere risorgimental-borghese di Porta Pia, in un'ex fabbrica della Birra Peroni ristrutturata. L'altra, in due capannoni dell'ex mattatoio nel più popolare rione Testaccio. Anche la collezione c'è. Una parte storica che racconta la Roma fra le due guerre e dopoguerra, un'altra contemporanea frutto di acquisizioni pubbliche e private. C'è poi una caffetteria e un bookshop.

E ci sono sponsor di livello: Enel in primis, ma anche Zegna e Deutsche Bank. E infine come tutti i musei del mondo moderno ci sono i donors, ovvero gli amici del museo. Collezionisti o signori più che benestanti che non solo sostengono le attività economicamente ma si fanno ambasciatori, aprono le loro case in occasione delle inaugurazioni, attirano fondi e consensi.

Peccato però che il Macro non sia un museo.
Mentre si elevavano muri, si stanziavano budget, si chiamavano architetti di fama internazionale e si trovava un tanto glorioso acronimo, il Macro (Museo Arte Contemporanea ROma) è sempre rimasto solo un ufficio della sovrintendenza. Un appendice vestita a festa ma non degna di autonomia amministrativa o di un organico stabile.

Insomma un pasticcio che la giunta di destra disse di voler sistemare ma non sistemò. Tanto che l'insediamento della giunta Marino e dell'assessore Flavia Barca, erano attesi come l'arrivo della sinistra colta e illuminata che sicuramente avrebbe restituito dignità al Museo che non è un museo.

E invece è scoppiata la guerra. Il Comune contro gli amici del Macro, i dipendenti, i funzionari, la Sovrintendenza, gli artisti, i critici, i curatori e anche gli sponsor. La prima miccia fu accesa dalle dimissioni del direttore Bartolomeo Pietromarchi. Atto dovuto, essendo nomina diretta del sindaco, il suo incarico inevitabilmente decadeva con la fine del mandato Alemanno. Ciò nonostante per il suo cursus honorum e il buon lavoro svolto, molti sostenitori del Macro confidarono in una riconferma.

E si stupirono quando il neo assessore non solo dichiarò che la riconferma di Pietromarchi non era all'ordine del giorno, ma nominò ad interim Alberta Campitelli, storica dell'architettura e arte antica, ottimo funzionario ma già addetta alle Ville Giardini e Parchi storici e oberata da intonaci che cadono e punteruoli rossi che rosicchiano le palme. Non era che l'inizio.

L'atto secondo fu un'imbarazzante conferenza stampa dove alle ovvie domande dei giornalisti (chi sarà il nuovo direttore? Pensate a una fondazione? Che budget avrà il Macro?) l'assessore rispose con un fumoso e filosofico discorso sulla creatività, il territorio, la necessità di creare una filiera. Quale filiera? Si chiesero tutti senza aver risposta.

Ma la vera dichiarazione di guerra è stata l'atto terzo. Una delibera comunale di fine ottobre concepita dalla stessa Flavia Barca, per la quale il Macro non era più neanche un ufficio della Sovrintendenza ma veniva declassato a luogo per eventi alle dipendenze del comunale dipartimento Cultura, guidato dalla dottoressa Selloni, transfuga dal turismo e absolut beginner nel settore arte&co. Operativamente quindi il non-museo sarebbe diventato una generica e ben messa sede da destinare a feste pubbliche e private, balli e canti da Estate romana, celebrazioni di cittadini illustri (come l'unico evento che tanto ha entusiasmato la Barca: l'omaggio a Renato Nicolini).

Piglio decisionista, certo. Ma in questo caso meglio sarebbe stato prendere tempo e aprire delle consultazioni. Bastava in effetti riflettere un momento per capire che un così radicale cambiamento di destinazione d'uso qualche problema lo pone. Il primo e il più ingombrante è la collezione, per ora nei depositi e sotto la gestione della Sovrintendenza.

Un patrimonio pubblico che pretende legalmente di essere tutelato e conservato da persone competenti. Dove metterlo adesso? Sembra che i deliberanti non ci abbiano pensato. La seconda stranezza è configurare una filiera inserendo il Macro dentro l'azienda Palaexpo insieme al povero Palazzo delle Esposizioni già tanto malmesso da essere costretto a chiudere nei mesi estivi per riequilibrare il bilancio.

L'approssimazione e la confusione di tanta delibera è tale che i dipendenti prendono carta e penna per stilare punto per punto una lettera durissima al sindaco dicendo che il Macro non è una "location" e vive della professionalità del suo staff, il quale chiede di essere coinvolto prima di prendere tanto radicali decisioni. Contemporaneamente gli amici del
Macro guidati da una combattiva Beatrice Bulgari lanciano on line una petizione che raccoglie oltre 1.500 firme in pochi giorni.

Ma soprattutto annunciano che se non verrà ripristinata l'autonomia culturale e amministrativa del museo, nominato un direttore con incarico a lungo termine, destinato un budget certo, loro sono pronti a sciogliersi come neve al sole e insieme a loro le quote annuali. Circa duecentomila euro, da sommare al mezzo milione che arriva da Enel

Contemporanea, al sostegno di Zegna che sovvenziona le residenze di artisti e alla Deutsche Bank che contribuisce all'attività espositiva. Un due, tre tutti via con la cassa.
Gianluca Comin direttore delle relazioni esterne di Enel è molto gentile ma chiaro quando esprime «grande preoccupazione», aggiungendo di «aver partecipato a eventi dal richiamo internazionale in un museo guidato da direttori di prestigio come Luca Massimo Barbero e Bartolomeo Pietromarchi. Se ora tutto questo non è più garantito, faremo le nostre valutazioni».

Traduzione: abbiamo sovvenzionato il vostro museo, donato 25 opere, alcune spettacolari come le giostre di Carsten Holler e il Big Bambù di Mike e Doug Starn record di presenze, ma se entro fine dicembre quando approveremo il bilancio preventivo, non si sarà fatta chiarezza, saremo costretti a cercare altri interlocutori.

«Il tempo stringe», avverte Pietromarchi, «ci vogliono anni a costruire una credibilità.
Pochissimi mesi a perderla. E con lei un vero patrimonio». E non si parla del contributo dei Macro amici o di Enel ma del tesoretto cittadino, non astrattamente culturale, ma solido e concreto. Ovvero: 25 milioni di euro dell'ultimo ampliamento a firma di Odile Decq, la media tra 300 e 500mila di fondo pubblico, le 1.264 opere della collezione permanente, le 14 donate dagli artisti, le 34 opere in regime di comodato e le 9 acquisite grazie ai Macro Amici. E tutto questo dovrebbe finire in mano a un generico Dipartimento Cultura per farne una location di eventi.

Dagli uffici del sindaco giunge un certo nervosismo. Luca Giansanti capogruppo della Lista Civica si dissocia da tanto insensata delibera. Voci controllate fanno sapere che Marino stesso sta cercando una exit strategy. I giornali cominciano a occuparsi del caso associandolo ad altri disastri che la presenza di politici o tecnici incompetenti sta causando a musei italiani (vedi Rivoli). «Quel che non han fatto i barbari, lo han fatto i Barberini», si dice a Roma. E lo si sente ripetere spesso dalle parti del Macro tra chi il sindaco Ignazio Marino l'ha pure votato. Perché non fosse un barbaro, ma nemmeno un Barberini.

 

 

IGNAZIO MARINO CON LA MAPPA DELLA NUOVA MOBILITA SUI FORI IMPERIALI Ignazio Marino Luigi Abete Enrico Giovannini Flavia Barca MUSEO MACRO ROMA MUSEO MACRO A TESTACCIO macro museo roma

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