LA CAPORETTO DI ALFANO SUL DECRETO SVUOTACARCERI - VINCE LA LINEA BELLA NAPOLI, NIENTE RIFORMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE (E IL BANANA PUÒ ANCORA FINIRE DENTRO)

Liana Milella per ‘La Repubblica'

Ci sono conferenze stampa in cui contano le presenze. In quella di ieri a palazzo Chigi ha contato soprattutto un'assenza. Quella di Angelino Alfano. Proprio lui, il vice premier, nonché ministro dell'Interno. Per giunta un presenzialista. Invece stavolta rinuncia alla ribalta. Lascia che ad addossarsi il peso mediatico delle imminenti, possibili, scarcerazioni siano Letta e Cancellieri.

Lui, per 48 ore, ha battagliato contro il decreto che di certo, per l'evidente impronta svuota-carceri, non può piacere al popolo della destra. Ha fatto di tutto per bloccarlo, ha rischiato pure i fulmini di Napolitano, ma alla fine ha perso. Per giunta su tutta la linea. Perché non solo il testo passa, dettagli a parte (il Garante non avrà due vice...), così com'era entrato, ma il leader del Nuovo centrodestra non riesce neppure a farci infilare dentro la stretta sulla carcerazione preventiva, quella riforma della custodia cautelare già in aula alla Camera, scritta dalla Pd Donatella Ferranti, che certo riduce la libertà d'arresto dei pm.

Diciamolo subito, è una riforma che Napolitano, più volte, ha segnalato come necessaria. Ma il capo dello Stato sosteneva il principio di andarci cauti con le manette, di certo non poteva immaginare che ora la questione si sta riducendo al divieto di buttare in cella, sic et simpliciter, di chi ha compiuto 75 anni. Un nome? Silvio Berlusconi.

Ovviamente Alfano non ha chiesto di inserire questa specifica norma, ma nel momento stesso in cui, per decreto, si cambia la custodia cautelare, diventa possibile fare un emendamento per vietarla per gli over 75. Significa, in concreto, che nel giro di due mesi - tanto ci vuole a convertire il decreto - scatterebbe l'impossibilità di ordinare il carcere per l'ex premier.

Dunque Alfano ha remato contro. Questo spiega lo stop and go sul decreto. Lunedì pomeriggio è fuori dall'ordine del giorno; lunedì sera è dentro per via dell'input di Napolitano; ma ieri mattina, nell'elenco ufficiale delle misure in discussione, il nostro svuota-carceri non c'è.

In compenso fervono telefonate febbrili di via Arenula - dove il Guardasigilli Cancellieri è letteralmente furibonda - col ministro Dario Franceschini e il sottosegretario Filippo Patroni Griffi. Lei martella: «Non accetto un altro rinvio dopo i tanti che ci sono già stati. Il testo deve passare oggi ». Dall'altra parte la invitano alla calma, e cercano di sottoporle le richieste di Alfano. Che nel frattempo ha pure mobilitato il capo della polizia Alessandro Pansa, il quale chiede a Cancellieri rassicurazioni sul rischio che si blocchino o si complichino o addirittura diventino impossibili le espulsioni degli immigrati.

Ma la richiesta più pressante è quella di inserire la custodia cautelare. Alfano è stato chiarissimo: «Qui stiamo dando al Paese un segnale di estremo permissivismo. Rischiamo un evidente effetto negativo, perché la gente ha paura di veder tornare in strada ladri, drogati e clandestini».

Cancellieri risponde che non è vero, che sono «solo esagerazioni della stampa di destra, anche perché nessun detenuto verrà messo fuori dal carcere senza prima il discriminante parere del giudice». Alfano veste i panni del ministro dell'Interno, si fa forte dell'allarme dei sindacati della polizia, mette sul tavolo i "suoi" problemi, «quelli della sicurezza e del senso di insicurezza degli italiani».

Fa intendere che poi toccherà proprio a lui affrontare le grane degli scarcerati che tornano a delinquere. Mette in chiaro che del braccialetto elettronico «non si fida», che finora «ha creato più problemi che risolverli». In una parola dice «fermatevi». «In via compensativa», chiede che almeno sia introdotta una misura di giustizia e di equità per cui il centrodestra si batte da tempo, la riforma della custodia cautelare «per mettere fine allo scandalo delle manette facili».

Ma qui è la stessa Cancellieri a non sentirsela. Teme che proprio il carro del carcere preventivo - il ddl Ferranti ha già avuto l'ok della commissione Giustizia della Camera ed è in aula - col carico di divisioni che ha addosso, con l'incubo della leggina sui 75 anni, porti all'affondamento del suo decreto. E lei non può permetterselo, perché c'è sempre la storia di Strasburgo e della condanna della Corte per i diritti umani per via del sovraffollamento che scade a maggio.

Il decreto dev'essere approvato subito e votato al più presto. Alle 17 è in consiglio dei ministri. Viene approvato, ma con la formula «salvo intese». Non lo vedremo subito nella Gazzetta ufficiale, anche per non perdere giorni preziosi, quelli di natale, per la conversione. Ma i maligni zufolano che ci saranno altri cambiamenti.

 

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