IL CERCHIO MAGICO DELLO ZAR - IL “POLITBURO NUMERO 2” CHE COMANDA LA RUSSIA INSIEME A PUTIN E’ COMPOSTO DA OTTO UOMINI - BANCHIERI, BUROCRATI, EX 007 E INTERMEDIARI, CONTROLLANO RICCHEZZA E POTERE E LO HANNO SPINTO A RICANDIDARSI - SONDAGGI APPROSIMATIVI DANNO PUTIN AL 65% DI CONSENSO: PER UNO ZAR E’ QUASI UNO SMACCO - LA CONDANNA ALLE PUSSY RIOT E’ SOLO UNO DEGLI INATTESI OSTACOLI SULLA STRADA DI VLADIMIR…

Antonella Scott per Il Sole 24 Ore

«Non ho perso il tocco da comandante», si autocongratulò Vladimir Putin il 24 settembre dell'anno scorso, annunciando ai delegati del partito Russia Unita la decisione di ricandidarsi alla presidenza: tornerò. Di nuovo al Cremlino, dopo quattro anni, sicuro che tutto sarebbe stato come nei primi due mandati, 2000-2007. Ma quel giorno allo stadio Luzhniki non tutti applaudirono, neppure tra il pubblico del partito del potere.

Mentre fuori, un Paese cambiato anche grazie allo sviluppo economico portato da Putin prendeva male e si faceva beffe della «rokirovka» - termine russo che negli scacchi sta per arrocco - con cui Putin e Dmitrij Medvedev si scambiavano il posto, rivelando candidamente il patto amichevole "tra tovarishi". Fine delle sperimentazioni sulla democrazia, sia pure gestita dall'alto.

Oggi, secondo un rapporto pubblicato da un influente think tank russo, Minchenko Consulting Group, il sistema di governo di Putin è tornato ad assomigliare al Politburo di un tempo, una verticale del potere che culmina in una "super-élite" di otto uomini, distillato dei clan e dei gruppi di interesse a cui Putin si appoggia e di cui è arbitro. Fedelissimi del leader che occupano i gangli di economia, finanza e politica.

Trascorso quasi un anno costellato di proteste contro il regime, quel 24 settembre è la data della svolta: Putin è entrato in acque sconosciute, probabilmente non si aspettava di trovare ostacoli sul cammino. Né sembra attrezzato ad affrontare uno stato d'animo nuovo, di quella parte della popolazione a cui non basta più essere libera di scegliere come vivere senza avere voce sul piano politico. «Noi esistiamo», è uno degli slogan delle Pussy Riot.

La condanna delle tre ragazze punk che hanno criticato il presidente nella Cattedrale del Salvatore è la risposta di Putin al dissenso, un esempio per tutta l'opposizione. Nessun dialogo, lo Zar non può permettersi cedimenti, guai a mostrarsi debole. Lo stesso approccio usato il 31 agosto per lo scrittore Eduard Limonov, leader del movimento di opposizione Altra Russia, arrestato a San Pietroburgo.

Il ritorno della paura
Dicembre 1995, seconde elezioni dal crollo dell'Urss. Gli anni in cui le speranze per la nuova Russia superavano i timori di un ritorno al passato: «Vedi - spiegava un amico - per tenere insieme un Paese tanto grande un regime ha una sola possibilità. Il suo controllo non può arrivare ovunque, perciò si usa la paura. Che faceva leva su di te se dalla finestra vedevi arrestare il tuo vicino, bastava questo per farti rigare dritto». Sembravano tempi lontani, la democrazia avrebbe avuto altri metodi.

E invece, gli strumenti del controllo e della paura sono tornati di moda: i due anni di carcere alle Pussy Riot per intimidire l'opposizione, le leggi approvate alla Duma per tenerla in costante allerta: sanzioni più dure ai manifestanti, censura su Internet, controlli sulle organizzazioni che ricevono finanziamenti dall'estero.

I sostenitori di Putin come garante della stabilità e voce dell'orgoglio nazionale, la classe media sempre più lontana da lui e sempre più vicina a una visione aperta al mondo: misurare con i sondaggi l'appoggio dei russi a Putin non è semplice, ma se è attendibile un rapporto di 65/35 tra chi lo approva e chi lo disapprova, il presidente è ancora relativamente popolare, ma non più onnipotente.

Dati simili «sarebbero un risultato eccellente per il presidente di un qualunque Paese democratico - scriveva in luglio su Vedomosti un famoso analista politico, Kirill Rogov - ma sono inaccettabili per uno Zar, per un leader inattaccabile e con un mandato indiscutibile. Putin ha perduto quel mandato».

Eppure, continua a comportarsi come se lo avesse. Del resto la decisione di ricandidarsi aveva lo scopo di preservare il sistema politico, centralizzato e autoritario, costruito nei primi anni del regno. La cosiddetta "verticale del potere", un intreccio di alleanze con cui Putin si è assicurato il controllo e la fedeltà degli uomini collocati a ogni livello dello Stato, sul piano politico ed economico.

Il potere e le ricchezze del Paese in mano a un'oligarchia che diversi analisti chiamano lo "Stato profondo", una "super-élite" raccolta in gran parte dal passato del presidente - Pietroburgo, i servizi segreti, anche il club di judo dove si allenava - e che ha negli otto volti del "Politburo n.2" il suo primo cerchio, quello più vicino allo Zar (si veda l'infografica a lato). Banchieri, intermediari o burocrati divenuti potentissimi in un lampo.

Gente che non vedeva di buon occhio le aperture di Medvedev, la possibilità di un pluralismo politico. Sono stati loro a organizzare il grande ritorno, sostiene tra gli altri un politologo che ha preso le distanze dal Cremlino dopo aver visto tramontare l'idea di un secondo mandato a Medvedev: «Poche coorti, che devono posizione e ricchezza a Putin - sostiene Gleb Pavlovskij - lo hanno spinto a ricandidarsi».

Una decisione che ha spaccato anche l'élite: secondo economisti liberali come Aleksej Kudrin (si veda il box), modernizzare e diversificare un'economia all'interno di un sistema politico chiuso è impossibile. «Vogliono tornare a uno Stato autoritario, ma senza le assurdità sovietiche» sostiene la sociologa Olga Kryshtanovskaja, intendendo per assurdità il sistema economico e l'ideologia di un tempo.

Resta però un sistema assoluto che non prevede una separazione dei poteri: Putin, del resto, lo ha confermato chiamando al Cremlino i ministri più fidati, creando un'amministrazione presidenziale a cui viene attribuito il vero potere esecutivo nel Paese, al di sopra di ogni mandato costituzionale e di ogni responsabilità, al di sopra del debole Governo affidato a Medvedev.

Che cosa ha in mente Putin per il futuro? Quanto può reggere un sistema che si è isolato, fragile perché costretto ad alimentare costantemente le alleanze che lo tengono in piedi, deluso da un partito - Russia Unita - in crollo di popolarità, lontano da una quota crescente di popolazione? Sono in tanti a sospettare che in questa nuova Russia Putin navighi a vista, che non abbia un piano a parte conservare il potere per sé e la propria cerchia.

«Dopo aver dato stabilità alle deboli fondamenta degli anni 90 - scrive Joshua Yaffa, corrispondente per l'Economist, in un saggio pubblicato su Foreign Affairs - Putin non sembra sapere cosa fare dell'edificio che ha creato, se non assicurarsi che resti in piedi. Per quanto tempo riuscirà a farlo dipende dalla sua capacità di adattare la propria visione dello Stato a una Russia trasformata»

 

 

Vladimur putin Vladimir Putin - dal corriere.itvladimir putin storione lapPUTIN A CAVALLO PUTIN PUTIN E MEDVEDEV PER LO SCAMBIO DI POLTRONE PUTIN TI SPIEZZO IN DUE PUTIN PESCATORE MEDVEDEV GIOCA A BADMINTONPUTIN E MEDVEDEV

Ultimi Dagoreport

keir starmer emmanuel macron e friedrich merz sul treno verso kiev giorgia meloni mario draghi olaf scholz ucraina donald trump

DAGOREPORT - IL SABATO BESTIALE DI GIORGIA MELONI: IL SUO VELLEITARISMO GEOPOLITICO CON LA GIORNATA DI IERI FINISCE NEL GIRONE DELL'IRRILEVANZA. LA PREMIER ITALIANA OGGI CONTA QUANTO IL DUE DI PICCHE. NIENTE! SUL TRENO DIRETTO IN UCRAINA PER INCONTRARE ZELENSKY CI SONO MACRON, STARMER, MERZ. AD ATTENDERLI, IL PRIMO MINISTRO POLACCO TUSK. NON C'È PIÙ, COME TRE ANNI FA, L’ITALIA DI MARIO DRAGHI. DOVE È FINITA L’AUTOCELEBRATOSI “PONTIERA” TRA USA E UE QUANDO, INSIEME CON ZELENSKY, I QUATTRO CABALLEROS HANNO CHIAMATO DIRETTAMENTE IL ‘’SUO CARO AMICO” TRUMP? E COME HA INCASSATO L’ENNESIMA GIRAVOLTA DEL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA CHE SI È DICHIARATO D’ACCORDO CON I VOLENTEROSI CHE DA LUNEDÌ DOVRÀ INIZIARE UNA TREGUA DI UN MESE, FUNZIONALE AD AVVIARE NEGOZIATI DI PACE DIRETTI TRA UCRAINA E RUSSIA? IN QUALE INFOSFERA SARANNO FINITI I SUOI OTOLITI QUANDO HA RICEVUTO LA NOTIZIA CHE TRUMP FA SCOPA NON PIÙ CON IL “FENOMENO” MELONI MA CON...

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - LA CAPITALE DEGLI AFFARI A MISURA DUOMO, A CUI IL GOVERNO MELONI HA LANCIATO L’ANATEMA “BASTA CON I BANCHIERI DEL PD”, È IN TREPIDA ATTESA DI COSA DELIBERERÀ UNICREDIT DOMENICA PROSSIMA, A MERCATI CHIUSI - SI RINCORRONO VOCI SULLA POSSIBILITÀ CHE ANDREA ORCEL ANNUNCI L’ADDIO NON SOLO ALL’OPS SU BPM MA ANCHE ALLA SCALATA DI COMMERZBANK, PER PUNTARE TUTTA LA POTENZA DI FUOCO DI UNICREDIT LANCIANDO UN’OPS SU GENERALI - DOPO LE GOLDEN MANGANELLATE PRESE SU BPM, ORCEL AVRÀ DI CERTO COMPRESO CHE SENZA IL SEMAFORO VERDE DI PALAZZO CHIGI UN’OPERAZIONE DI TALE PORTATA NON VA DA NESSUNA PARTE, E UN’ALLEANZA CON I FILO-GOVERNATIVI ALL’INTERNO DI GENERALI COME MILLERI (10%) E CALTAGIRONE (7%) È A DIR POCO FONDAMENTALE PER AVVOLGERLA DI “ITALIANITÀ” - CHISSÀ CHE COSA ARCHITETTERÀ IL CEO DI BANCA INTESA-SANPAOLO, CARLO MESSINA, QUANDO DOMENICA IL SUO COMPETITOR ORCEL ANNUNCERÀ IL SUO RISIKO DI RIVINCITA…

parolin prevost

PAROLIN È ENTRATO PAPA ED È USCITO CARDINALE - IN MOLTI SI SONO SBILANCIATI DANDO PER CERTO CHE IL SEGRETARIO DI STATO DI BERGOGLIO SAREBBE STATO ELETTO AL POSTO DI PAPA FRANCESCO – GLI “AUGURI DOPPI” DI GIOVANNI BATTISTA RE, IL TITOLO FLASH DEL “SOLE 24 ORE” (“PAROLIN IN ARRIVO”) E LE ANALISI PREDITTIVE DI ALCUNI SITI - PERCHÉ I CARDINALI HANNO IMPALLINATO PAROLIN? UN SUO EVENTUALE PAPATO NON SAREBBE STATO TROPPO IN CONTINUITÀ CON BERGOGLIO, VISTO IL PROFILO PIU' MODERATO - HA PESATO IL SUO “SBILANCIAMENTO” VERSO LA CINA? È STATO IL FAUTORE DELL’ACCORDO CON PECHINO SUI VESCOVI...

matteo renzi sergio mattarella elly schlein maurizio landini

DAGOREPORT – IL REFERENDUM ANTI JOBS-ACT PROMOSSO DALLA CGIL DI LANDINI, OLTRE A NON ENTUSIASMARE MATTARELLA, STA SPACCANDO IL PD DI ELLY SCHLEIN - NEL CASO CHE UNA DECINA DI MILIONI DI ITALIANI SI ESPRIMESSERO A FAVORE DELL’ABOLIZIONE DEL JOBS-ACT, PUR NON RIUSCENDO A RAGGIUNGERE IL QUORUM, LANDINI ASSUMEREBBE INEVITABILMENTE UN'INVESTITURA POLITICA DA LEADER DELL'OPPOSIZIONE ANTI-MELONI, EMARGINANDO SIA SCHLEIN CHE CONTE - E COME POTRANNO I RIFORMISTI DEM, I RENZIANI E AZIONE DI CALENDA VALUTARE ANCORA UN PATTO ELETTORALE CON UN PD "LANDINIZZATO", ALLEATO DEL POPULISMO 5STELLE DI CONTE E DE SINISTRISMO AVS DI BONELLI E FRATOIANNI? - A MILANO LA SCISSIONE DEL PD È GIÀ REALTÀ: I RIFORMISTI DEM HANNO APERTO UN CIRCOLO IN CITTÀ INSIEME A ITALIA VIVA E AZIONE. MA BONACCINI DIFENDE ELLY SCHLEIN

sergio mattarella giorgia meloni

DAGOREPORT - L'ARDUO COMPITO DI MATTARELLA: FARE DA ARBITRO ALLA POLITICA ITALIANA IN ASSENZA DI UN’OPPOSIZIONE - IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NON VUOLE SOSTITUIRSI A QUEGLI SCAPPATI DI CASA DI SCHLEIN E CONTE, NÉ INTENDE SCONTRARSI CON GIORGIA MELONI. ANZI, IL SUO OBIETTIVO È TENERE IL GOVERNO ITALIANO DALLA PARTE GIUSTA DELLA STORIA: SALDO IN EUROPA E CONTRO LE AUTOCRAZIE – IL PIANO DI SERGIONE PER SPINGERE LA PREMIER VERSO UNA DESTRA POPOLARE E LIBERALE, AGGANCIATA UN'EUROPA GUIDATA DA FRANCIA, GERMANIA E POLONIA E LONTANA DAL TRUMPISMO - LE APERTURE DI ''IO SONO GIORGIA" SUL 25 APRILE E AFD. MA IL SUO PERCORSO VERSO IL CENTRO E' TURBATO DALLL'ESTREMISMO DI SALVINI E DALLO ZOCCOLO DURO DI FDI GUIDATO DA FAZZOLARI...