CIAO CAPITALISMO ALL'ITALIANA - IL GIORNO IN CUI LA FONDAZIONE PERDE IL CONTROLLO DI MPS E' ANCHE QUELLO DELL'ULTIMA ASSEMBLEA FIAT AL LINGOTTO. ARRIVANO GLI STRANIERI, MA NON PIU' SOLO A DEPREDARCI...

Da "Il Foglio"

Il banchiere di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, con la consueta prudenza curiale, era stato buon profeta. "Le fondazioni - diceva mercoledì scorso - sono disponibilissime a lasciare gradualmente il campo".

Antonella Mansi, numero uno della Fondazione Monte Paschi, ha interpretato quel "gradualmente" con un'accelerata alla Matteo Renzi: in meno di dieci giorni la quota di Rocca Salimbeni nella banca è scesa da poco meno del 30 per cento al 2,5 circa, in condominio con alcuni dei nuovi soci della banca: la Btg Pactual Europe, una società d'investimenti brasiliana presieduta dal miliardario André Estevez, che deterrà il 2 per cento, più il pirotecnico David Martinez Guzman, il messicano cui fa capo Fintech Advisory (il 4,5 per cento), già seminarista a Roma tra i Legionari di Cristo, noto alle cronache nostrane per l'acquisto della controllata argentina di Telecom Italia. Saranno loro, probabilmente, i protagonisti delle prossime assemblee del Monte, che sarà il caso di definire "meeting".

A giudicare e a votare l'operato dei manager, infatti, d'ora in poi toccherà ai professionisti di BlackRock, dell'hedge fund Och-Ziff, di Jp Morgan e altri ancora sbarcati a Siena perché, come disse l'autunno scorso Mike Trudel di BlackRock, "le valutazioni in Italia oggi sono convenienti". Se la gode un mondo la presidente della Fondazione Mansi: meno di quattro mesi fa Alessandro Profumo scommetteva che il rinvio dell'aumento di capitale di Mps imposto dalla Fondazione, si sarebbe rivelato un errore fatale.

Ma, come spesso accade, gli esperti hanno avuto torto. Il caso, che talvolta sa dar vita a combinazioni più che simboliche, ha voluto che l'ultimo approdo dei finanzieri delle due Americhe sotto la Torre del Mangia abbia coinciso con l'ultimo appuntamento di bilancio della Fiat al Lingotto, sotto la pista disegnata da Le Corbusier sul tetto della fabbrica voluta dal nonno dell'Avvocato, che fece di Torino un'altra Detroit.

Ieri il suo bisnipote John Elkann ha dato il via alle feste per le future nozze con Chrysler con entusiasmo, anzi con sollievo: "Oggi giochiamo una partita vera... Per la prima volta abbiamo prospettive diverse non dobbiamo più giocare una partita per la sopravvivenza, in fondo alla classifica, senza sapere se ci sarà un domani". Insomma, c'è aria di liberazione in casa Fiat, cinque anni dopo lo sbarco di Sergio Marchionne alla corte di Barack Obama.

Non è una fuga, perché grazie a Wall Street e ai quattrini che la grande finanza oggi concede a Fiat con generosità mai vista (9 miliardi di dollari in obbligazioni nell'ultimo anno, più di qualsiasi altra società con un rating di pari grado, cioè basso) Marchionne - il quale ha già detto che un ingresso del fondo pigliatutto BlackRock sarebbe "benvenuto" - potrà finalmente schierare una squadra di Alfa Romeo (prodotte in Italia) in grado di reggere il confronto con le ammiraglie tedesche.

Insomma, più che una resa al big business di Wall Street, un'alleanza di sapore industriale, necessaria per far fronte alla seconda fase della globalizzazione, ove nemmeno i più forti possono pensare di far tutto con la necessaria competenza e nei tempi giusti. In attesa e nella speranza che Renzi proceda sulla linea tracciata, ha detto ieri Marchionne, ancora una volta in controtendenza con i piani alti della Confindustria dalla quale è fuoriuscito rumorosamente ormai due anni fa: "Apprezzo qualsiasi persona che prende l'impegno per mettere le cose a posto e più lo dice e più lo fa velocemente più lo apprezzo - ha detto l'ad di Fiat sul governo Renzi - Mi aspettavo che ci fossero delle resistenze, ma bisogna dargli spazio per portare avanti il processo di riforme.

Lo sta chiedendo il mondo intero, è un periodo di luna di miele, i mercati stanno apprezzando quello che sta succedendo non vorrei rompere questo incantesimo che abbiamo trovato". Cosa c'è dietro la fiducia nelle banche Incantesimo in cui devono credere anche Sergei Brin e Larry Page che, per il decollo dei Google glass (audio, fotocamera e visore a distanza) hanno bussato alla porta di Luxottica, cui fa capo la leadership mondiale negli occhiali (l'unico primato assoluto del made in Italy) per garantirsi le competenze necessarie in materia di produzione, marketing e rete di vendita.

Una sfida, quella della "tecnologia da vestire" (gli occhiali sono il primo passo) che l'ad di Luxottica, Andrea Guerra, ha giudicato più attraente (e remunerativa) dell'invito a entrare nel governo da parte del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Insomma, dietro la corsa dei capitali internazionali verso l'Italia non c'è solo la voglia, pur necessaria, di fare buoni affari in un paese dai prezzi bassi, se non stracciati come l'autunno scorso, quando sono scattati i primi acquisti di un certo peso. Certo, la componente speculativa ha senz'altro, com'è comprensibile, un peso rilevante nei flussi di capitale verso Piazza Affari (342 milioni di dollari, secondo Epfr Global, nella sola settimana tra il 18 ed il 25 marzo).

Ma il flusso delle operazioni verso l'Italia comincia ad assumere un carattere diverso rispetto al "sacco" (Edison, Parmalat) che tanto avevano spaventato all'epoca l'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, o altri difensori dell'italianità, pronti a gridare al barbaro invasore ogni volta che, a caro prezzo, una griffe francese compra un pezzo di made in Italy. Oggi, i big del private equity o i gestori dell'asset management di New York bussano alla porta delle banche italiane alla vigilia di aumenti di capitale che solo un anno fa sembravano improponibili o destinate ad un grande flop.

Oggi, al contrario, nessuno nutre dubbi sul fatto che BlackRock, tra i primi azionisti in Banca Intesa, oltre che in Unicredit e Banco Popolare, voglia sottoscrivere le operazioni nella convinzione che gli istituti di casa nostra - una volta finite le pulizie di bilancio - possano accompagnare la ripresa dell'economia italiana. Quella dei grandi gestori americani appare in buona sostanza una scommessa sulla fiducia nel cambio di passo di banchieri, manager e azionisti italiani, usciti stremati dalla cura dell'austerità imposta dall'Europa in chiave tedesca. Oggi infatti la ripresa delle banche è legata alla prospettiva di un rilancio dei settori più ciclici, in vista di una ripresa anche dei consumi interni.

 

GIOVANNI BAZOLI E JOHN ELKANN Salza Bazoli e Fassino MATTEO RENZI E ANTONELLA MANSIMANSI E PROFUMOlogo intesa san paoloLOGO blackrock larry pageGUERRA img

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