IL RITORNO DEI SINISTRI VIVENTI - CIVATI LANCIA A LIVORNO LA SUA “LEOPOLDA” PER RIUNIRE OPPOSIZIONE PD, EX M5S E I SOLITI TROMBONI DELLA “SOCIETÀ CIVILE” – ZANDA PROVA A SMINARE I ‘’RIBELLI’’ CHE NON SANNO PIU’ CHE FARE
1. CIVATI LANCIA LA LEOPOLDA DI SINISTRA
Riunione ieri a Roma al teatro Piccolo Eliseo della minoranza del Pd che fa riferimento a Pippo Civati. In questa occasione il deputato, su posizioni molto critiche nei confronti del segretario-premier Matteo Renzi, ha lanciato un nuovo appuntamento dall’11 al 13 luglio a Livorno «per discutere di diritti, Costituzione, democrazia» e per «costruire un’area non solo con esponenti del Pd ma anche con i fuoriusciti dei 5 Stelle e con la società civile».
Sarà una «Leopolda di sinistra» — ha annunciato Civati, che nel 2010 fu artefice insieme a Matteo Renzi della prima edizione della convention fiorentina che reclamava un rinnovamento nel Pd. Poi le strade dei due giovani esponenti democratici si sono divise e — sostiene Civati — la Leopolda «si è ripiegata solo sulla leadership di Renzi». La scelta della sede per la prossima riunione dei civatiani, Livorno, non è casuale: «È un luogo simbolo della sinistra e della sua sconfitta» ha detto Pippo Civati, facendo riferimento alla recente vittoria dei Cinquestelle nella corsa per il sindaco della città.
2. OFFERTE DI PACE DAL PARTITO, OGGI IN CAMPO ZANDA
Alessandro Trocino per ‘Il Corriere della Sera’
I segnali di pacificazioni sono arrivati ma non è detto che bastino. Oggi alle 15 il presidente dei senatori Luigi Zanda incontra i 14 autosospesi dal Pd, per provare una mediazione. E il neo presidente dell’assemblea democratica, Matteo Orfini, ha già annunciato come prima mossa del suo mandato, in chiave di pax interna, un incontro con i ribelli. Eppure le cose non sono così semplici e la durezza degli interventi all’Ergife lo ha dimostrato.
A rendere più complessa la situazione c’è la composizione variegata del gruppuscolo di senatori, che si sono autosospesi per protestare contro la rimozione di Corradino Mineo dalla commissione Affari costituzionali e per ribadire il dialogo sulla riforma del Senato. I civatiani sono una manciata, da Walter Tocci a Lucrezia Ricchiuti, da Sergio Lo Giudice a Mineo.
Poi c’è una galassia composita, con cuperliani, bersaniani, ex dalemiani, parlamentari eletti all’estero e «cani sciolti». Felice Casson sembra frenare: «La sostituzione di Mineo era e rimane grave. Ma un passettino avanti è stato fatto. Renzi ha posto un freno ai colonnelli e non ci saranno provvedimenti disciplinari. Non c’è un problema su Renzi: non enfatizziamolo troppo, è il gioco democratico».
Anche Pippo Civati non era entusiasta dell’autosospensione: «Io non l’ho suggerita. Mi pare tutto eccessivo in questa vicenda, a cominciare dalla drammatizzazione imposta con la sospensione di Mineo. Zanda è stato durissimo, dimenticandosi che in passato aveva contestato Schifani per un’analoga sostituzione in commissione. A me la vicenda pare eminentemente politica, non legata solo a Mineo. La domanda è: il Parlamento è sovrano o dobbiamo dire quello che dice il governo?». E l’ombra di Turigliatto? «Ma cosa c’entrano gli affossatori di Prodi? E poi le pare che usciamo dal Pd per questo motivo? Noi vogliamo starci in questo partito, ma starci a nostro agio».
Eppure molti tra gli autosospesi restano in posizione rigida. Lucrezia Ricchiuti, per esempio: «Non vedo nessun segnale positivo. L’espulsione dei due colleghi dalla commissione è stato un atto gravissimo. Se ora ci si vuole incontrare solo per far finta di discutere ma ci si viene incontro con pregiudizio e supponenza, allora non serve a nulla». A uscire dal partito, dice, non ci pensa ancora: «Ma altri può darsi che lo facciano». Non è escluso, perché molti sono senatori di lungo corso e probabilmente all’ultimo mandato, con poco da perdere.
Tra i più arrabbiati c’è Claudio Micheloni, eletto all’estero, che sarebbe pronto a lasciare. E c’è Tocci, uno dei più applauditi all’Ergife. Storico vicesindaco di Roma, Tocci non è certo il tipo da colpi di testa, ma è rimasto molto colpito dalla durezza della risposta di Zanda. Il capogruppo ha perfino citato il craxiano «Ghino di Tacco» riferendosi ai suoi senatori. Decisamente infuriata è la senatrice Erica D’Adda: «Zanda deve spiegarci molte cose, a cominciare dalla sostituzione preventiva di Chiti dalla commissione, fatta di nascosto.
Nessuno chiede mea culpa, ma in un mondo normale non succedono queste cose. Sì, abbiamo discusso, ma se non si poteva cambiare nulla, allora era meglio andare a mangiare un gelato». Uscire dal partito? «Io non ci voglio pensare, ma non è detto che più di uno o due non lo facciano. Del resto, quando una figura che dovrebbe essere di garanzia, come Valeria Fedeli, ti attacca, dicendo che mettiamo a rischio il Paese, come si fa? Qui siamo allo stalinismo puro».
Al di là dei toni, i senatori autosospesi vogliono chiedere conto del perché si sia tenuto quello che la D’Adda chiama «atteggiamento autoritario»: «Io non sono pagata per schiacciare un pulsante. E poi ora sento che parleremo con Grillo e riparleremo con Berlusconi e altri ancora. Ma non è che quando cambieranno la riforma verranno da noi a dire: è questa e non si discute, votatela».
La possibilità che qualcuno abbandoni c’è. E se lo facesse, potrebbe aggregarsi a una galassia ancora nebulosa ma che potrebbe concretizzarsi: quella dei 14 ex grillini e dintorni e dei sette di Sel. Anche solo con due o tre ex pd, arriverebbero ad avere una buona consistenza numerica. Un autosospeso, che ci sta pensando, riflette: «Se nascesse davvero un gruppo così, potrebbe anche far comodo a Renzi e diventare un’alternativa ai senatori di Alfano».
3. E LA MINORANZA PD IN BAMBOLA NON SA PIÙ CHE FARE
Roberto Scafuri per ‘Il Giornale’
Ci si metta nei panni di un onesto militante del Pidì. Penultima nidiata, diciamo, non matusalemme trinariciuto. Uno cresciuto a pane e partito, casa e Bottegone, Unità sotto il braccio, Berlinguer come fosse Sant’Eusebio. Costui ha visto Occhetto cambiare insegne: ha pianto ma approvato. Ha visto D’Alema tre volte nella polvere, una sòla (alla romana) sull’altar. Pur restando tendenza Uòlter , dunque «mai stato comunista». Identitario al punto di digerire i democristiani senza neppure un ruttino, quando è arrivato Matteo Renzi ne ha avuto paura, ne ha diffidato, ma ora se ne sente totalmente avvinto.
Dopo le Europee, già quasi lo ama. Ecco, uno così. Che potrebbe essere Matteo Orfini, ma anche qualsiasi altro degli anonimi militanti di bocca buona. «Come si fa a fare opposizione a questo piccolo diavolo?», era lo sconforto dopo l’assemblea dell’altro ieri.
Con l’aria d’un Benigni meno trasognato, il diabolico segretario-premier sta togliendo agli oppositori la terra sotto i piedi, i simboli, l’identità.
Matteo Renzi ha le antenne e le dirige dove vuole, senza complessi né vergogna. Si riprende un brand glorioso come quello delle«feste dell’Unità», e conquista generazioni e generazioni di grigliatori di salamelle.Non è un caso che l’applauso più lungo e convinto sia stato per l’ultima delle «genialate». «Sì, e ora mi vengano a chiedere il logo», ha subito dichiarato, tra l’imbronciato e il divertito, l’ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, che quel marchio se l’è tenuto stretto stretto anche dopo che Uòlter Veltroni l’aveva buttato nel cestino per un indecente «Festa democratica».
«Ma verrebbe mai in mente a qualcuno di cambiare il nome alla Nutella o alla Coca-Cola?», si sono chiesti stupefatti per anni. Poi arriva Matteo, e ricuce quello strappo in una battuta, senza aggiungere- peraltro- una parola di salvezza per il quotidiano che dà il nome alla festa, l’Unità, in assai cattive acque (da alcuni giorni in liquidazione, ricordava ieri in prima pagina il Cdr, ringraziando Renzi ma anche stordito per l’assenza di qualsiasi cenno a piani di rilancio).
La forza del «piccolo diavolo» trascina: così dopo decenni di stucchevoli decisioni con un tratto di penna ha incluso il Pd nel Pse (persino nel simbolo), così fa propri molti dei principali argomenti dell’opposizione, e mentre rivendica diritti per le coppie gay è attentissimo a dimostrarsi supercattolico, mentre uccide Letta junior si prepara a ricompensarlo in Europa, mentre usa il «politicamente corretto» per demolire Mineo innalza a presidente un compiacente «D’Alema boy».
Come se nulla fosse. E Cuperlo resta senza Zingaretti, e Fassina ripudia Orfini, e Civati rinuncia persino a parlare, in una girandola spaesata di compagni che Matteo disorienta tre volte al dì e rende estranei persino a se stessi. Sembra la generazione precedente di fronte all’avvento di Berlusconi, questo è vero. Fare gli oppositori interni, in un partito del genere, è più che impossibile. È inutile.