COME SI SALVA L’OPERA? CHIUDENDOLA! - INUTILE CERCARE DI SOSTITUIRE MUTI: CONTRO IL SABOTAGGIO SINDACALE SERVE UNO CHOC - CORAGGIO, MINISTRO FRANCESCHINI: CHIUDA L’OPERA DI ROMA. E SALVI L’OPERA IN ITALIA

riccardo muti cornariccardo muti corna

Alberto Mattioli per “la Stampa

 

Dopo che Riccardo Muti ha capito che è inutile cercare di fare musica dove la musica non interessa a nessuno e si è chiamato clamorosamente fuori dalle previste produzioni di «Aida» e «Nozze di Figaro», il teatro dell’Opera di Roma è nel suo stato abituale: il caos.

Si cercano affannosamente dei rimpiazzi, che ovviamente non potranno essere al livello del rimpiazzato.

 

Si ipotizza di rinviare la prima di «Aida» dal 27 novembre a gennaio, per calmare le acque ed evitare che i soliti noti scioperino contro lo sciopero di Muti (ormai siamo al paradosso, sempre più dentro «Prova d’orchestra» di Fellini). Il sovrintendente Fuortes tace. Il sindaco Marino dice invece a Repubblica che l’«Aida» si farà, ma che per dirigerla vorrebbe, chissà perché, «una donna».

 

ignazio marino con i peperoncini all opera di roma per la prima di ernani diretto da riccardo muti ignazio marino con i peperoncini all opera di roma per la prima di ernani diretto da riccardo muti

I sindacati litigano fra loro e la minoranza rumorosa della Slc-Cgil e Fials-Cisal convoca conferenze stampa per far sapere che la colpa del Gran Rifiuto di Muti è solo della dirigenza. «L’orchestra è una Ferrari ma il resto del teatro è rimasto indietro», dice Lorella Pieralli della Fials, e in effetti viste le ultime prestazioni della Rossa ha ragione. Intanto la notizia dell’addio di Muti ha fatto il giro del mondo. Non si può dire che abbia fatto perdere all’Opera di Roma il suo prestigio perché per perdere qualcosa bisognerebbe prima averlo, però la figuraccia è globale.

 

Ma è davvero così importante salvare l’inaugurazione e la stagione? No. O almeno è meno importante che salvare il principio che i privilegi di pochi non devono essere un danno per tutti. Quindi sarebbe bene che quest’«Aida» non si facesse né in novembre né in gennaio né mai. Il teatro deve restare chiuso. Certo: è una soluzione dolorosa per chiunque pensi che l’opera (non l’Opera) sia la più bella espressione dell’Italia, della sua gente, della sua storia, uno dei principali contributi della nostra civiltà a quella del mondo.

Carlo Fuortes Carlo Fuortes

 

Per chi i teatri li vorrebbe vedere aperti, e aperti ogni sera, come del resto è pacifico che sia in un Paese civile, perché sono un servizio pubblico indispensabile come gli ospedali o i tribunali o le scuole.

 

Però quel che è successo a Roma è talmente clamoroso, e talmente indecente, che non può restare senza conseguenze. Siamo al punto di non ritorno. Il più celebre direttore d’orchestra italiano ha dichiarato che all’Opera non ci sono le condizioni minime per fare quello per cui l’Opera esiste, cioè la musica e il teatro. Ed è un dato di fatto incontestabile, ripensando all’incredibile serie di scioperi, rivendicazioni e minacce che hanno portato il teatro in questa pazzesca situazione.

 

Ve l’abbiamo raccontata giorno per giorno: e davvero la realtà ha superato la fantasia. Queste non sono più relazioni sindacali: è sabotaggio. Non credete a chi dice che in Italia è impossibile far funzionare l’opera: non è vero. Basta fare un giro alla Fenice di Venezia o al Regio di Torino per scoprire che ci sono dei teatri che producono, dei denari pubblici (molto meno di quelli buttati nell’Opera di Roma) spesi con criterio, dei bilanci in pareggio e dei lavoratori che lavorano, e magari sono pure contenti e orgogliosi di farlo.

 

Bray con zainetto Bray con zainetto

Ora, dispiace dirlo per la gente ragionevole che ci lavora (e che in ogni caso ci lavora poco, perché la produttività dell’Opera è fra le più basse del mondo) e per Fuortes che ha cercato di far funzionare quel che funzionare non può, ma adesso a Roma l’unica soluzione possibile è chiudere, azzerare tutto, ristabilire le regole, e magari un po’ di decenza, e poi, magari, un giorno riaprire.

 

DARIO FRANCESCHINIDARIO FRANCESCHINI

L’intrico degli abusi diventati usi è inestricabile. Quando la cattiva volontà viene elevata a sistema, riformare diventa impossibile. Si può solo tirare una bella riga e ripartire da capo. Il bluff mediatico degli ultimi anni, i comunicati trionfalistici, le pagliacciate degli turiferari non possono più nascondere la realtà.

 

I sindacati sfascisti contestano la legittimità del referendum che ha approvato il piano industriale? Bene, facciamo finta che abbiano ragione. Niente piano industriale, niente fondi della legge Bray, libri in tribunale e dipendenti in mobilità. Tutti a casa. Coraggio, ministro Franceschini: chiuda l’Opera di Roma. E salvi l’opera in Italia.

 

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