LANTERNE ROTTE - LA CERTA CONDANNA ALL’ERGASTOLO DI GU KAILAI E’ ANCHE LA FINE DELLA CARRIERA TRAVOLGENTE DEL MARITO BO XILAI - IL “PRINCIPE ROSSO” CHE SOGNAVA UN POSTO AL SOLE A PECHINO ROVINATO DA UNA STORIACCIA DI SANGUE E TANGENTI - DIETRO L’OMICIDIO DEL FACCENDIERE NEIL HEYWOOD POTREBBE ESSERCI IL DESIDERIO DI COPRIRE LA CORRUZIONE DI BO XILAI E LA ESPORTAZIONE CLANDESTINA ALL’ESTERO DI 200 MILIONI DI EURO…

Giampaolo Visetti per "la Repubblica"

Un pezzo di cuore. Si consuma oggi attorno a un frammento del motore che tiene accesa la vita, il futuro della potenza che tiene acceso il motore del mondo. È un finale spettacolare, da grande Opera, quello che Pechino ha scelto per lo scandalo politico a cui ha affidato la missione di salvare il partito e la stabilità della Cina. Comincia così con la prova di un'autopsia l'ultimo atto della tragedia orientale che in queste ore deve separare i cattivi dai buoni, condannando i primi all'oblìo eterno delle masse e promuovendo i secondi a comandanti- eroi del popolo per i prossimi dieci anni.

Una liturgia grandiosa, periodicamente ricorrente negli autoritarismi dell'Asia, che con perfetta sincronia si celebra attorno ad un doppio colpo di scena. La corte intermedia del popolo di Hefei, città dell'Anhui, grazie al brandello di cuore del faccendiere britannico Neil Heywood proverà che ad ucciderlo è stata Gu Kailai, moglie del «principe rosso» Bo Xilai, il leader adorato dalla gente che sognava la reincarnazione di Mao Zedong.

Nello stesso tempo, sul mare di Beidaihe, proprio la «cittadella rossa» cara al Grande Timoniere, il vertice dell'unico comunismo di successo della storia anticipa la scelta della prima generazione di leader formati dopo la morte del padre della rivoluzione. Un processo e un conclave, entrambi inaccessibili e protetti dal mistero, la costruzione di un delitto eccellente e la rievocazione di uno storico decesso, il palcoscenico di Hefei, roccaforte del potere al tramonto del presidente Hu Jintao, e quello di Beidaihe, luogo-simbolo riscoperto dal suo prossimo successore Xi Jinping.

Ma soprattutto la magistrale sceneggiatura del comunismo cinese, che nei passaggi epocali si rifugia nel catartico racconto della sua «Banda dei Quattro» comandata da una donna. Nel 1976 il sacrificio toccò a Jiang Qing, vedova di Mao, e ai suoi tre complici accusati di aver alimentato le stragi della Rivoluzione Culturale.

Nel 2012 tocca a Gu Kailai, moglie di Bo Xilai, e ai tre protagonisti che il premier Wen Jiabao ha accusato di aver tentato di trascinare la Cina nel passato abisso della medesima ideologia maoista: lo stesso Bo Xi-lai, il suo sceriffo-star Wang Lijun, un mongolo con la passione per la tortura sui nemici del padrone, e la guardia del corpo Zhang Xiaojun, l'uomo che avrebbe fisicamente costretto Neil Heywood a ingerire la letale dose di cianuro.

Trentasei anni che per Pechino e per il resto del mondo, irriconoscibili, valgono un secolo. Il copione della propaganda però autorizza la replica e quella che nel frattempo, dai milioni di morti di fame del «Grande Balzo in Avanti », si è trasformata nella seconda economia del pianeta, non rinuncia alla trama di «Delitto e Castigo » per imporre ad 1,4 miliardi di persone la conferma di un potere che dall'alto scorre verso il basso e non può assorbire l'irrigazione opposta.

L'appuntamento, ufficialmente, è per ottobre, il mese amato dalle rivoluzioni leniniste, sempre onorato dalle loro metamorfosi capitaliste. Il 18° Congresso del Pcc acclamerà i leader del prossimo decennio nella Città Proibita, da cui oggi tutti dipendiamo, bruciando sul filo il verdetto delle urne per il nuovo quinquennio alla Casa Bianca, a cui tutti siamo soggetti sempre meno.

Sostanzialmente però i giochi si fanno oggi, nella distrazione torrida di agosto, mentre l'Oriente bada a ripararsi dai tifoni e l'Occidente indulge all'ultimo valzer di vacanze di rito ingrigite dalla crisi. Gli occhi del mondo sono così puntati dentro un tribunale cinese in cui nessuno può guardare, ma la cui sentenza mostrerà in un istante quanto ci aspetta per lungo tempo.

Gu Kailai, la dama nera del potere rosso, risponde dell'omicidio volontario del suo ex amante inglese, socio in affari e protettore del figlio Bo Guagua, inviato ad
acquistare i titoli di studio che contano tra Regno Unito e Stati Uniti. Come gli altri personaggi della più appassionante spystory successiva al massacro di piazza Tiananmen, è scomparsa al momento dell'arresto, a metà marzo, e non ha potuto pronunciare alcuna parola in pubblico.

Le ultime indiscrezioni fatte filtrare dalle autorità, autorizzano però l'attesa di un giudizio già scritto: condanna a morte, sospesa e commutata in carcere a vita grazie ad attenuanti politicamente bilanciate. L'avvocatessa moglie di Bo Xilai, signore di Chongqing con alte mire su Pechino, avrebbe infine confessato l'omicidio del 15 novembre, giustificandolo però con l'obbligo di difendersi dal ricatto economico di Neil Heywood e di sottrarre il figlio alle sue minacce fisiche.

Legittima difesa di sposa, tenuta a coprire la corruzione milionaria del marito e la clandestina esportazione all'estero di un capitale da 200 milioni di euro, ma anche di madre, decisa a proteggere l'erede laureando ad Harvard dall'ex spia al servizio di Sua Maestà.

Ed è nella recita di tale atto che va in scena la doppia e decisiva sorpresa. Il corpo di Heywood non sarebbe stato totalmente distrutto dall'immediata cremazione e Gu Kailai non sarebbe un'assassina proprietaria di piene facoltà mentali. Wang Lijun, sceriffo con il vizio dell'anatomia patologica, si era acceso un'assicurazione sulla vita prelevando segretamente frammenti di cuore, capelli e pelle dalla salma dello straniero immolato alla carriera e al patrimonio del solo leader carismatico che insidiava la tecnocrazia collegiale dei discepoli di Deng Xiaoping.

Sono i reperti, consegnati ai diplomatici americani dopo la fuga nel consolato di Chengdu, che proveranno oggi nell'aula blindata di Hefei l'avvelenamento di Heywood, icona di una Cina condannata a resistere alle tentazioni dell'influenza esterna per custodire il segreto del proprio potere interno. Gu Kailai, oltre che per la legittima difesa dalle minacce di uno straniero, scamperà alla fucilazione anche grazie alle testimonianze di compagni e amici della stessa élite comunista che la condanna.

Fin da ragazza, narra la propaganda, avrebbe sofferto di esaurimenti nervosi e squilibri mentali, violenti al punto di distruggerle il matrimonio, gettandola anche nelle braccia del consulente francese Patrick Devillers, e carriera. Una folle distrutta dai tradimenti del marito che sognava di diventare il nuovo Mao e assillata dai ricatti di ex agente dei servizi della Regina: è questa la donna che per nove mesi ha fatto tremare la Cina che governa il mondo e che, grazie all'annunciata pena capitale con grazia, viene investita oggi del ruolo di sua martire salvifica.

Perché condannare e risparmiare la leader della nuova «Banda dei Quattro», significa soddisfare la sete di giustizia di Londra, il bisogno di diritto moderato dell'Occidente e la necessità di pari trattamento dei potenti espressa da un sempre più insofferente e decisivo ceto medio cinese. Equivale però, elemento assai più determinante, a escludere con la necessaria prudenza Bo Xilai dal destino della Cina e il neomaoismo da quello della sua sempre più vasta sfera d'influenza. I giudici di Hefei, nominati dai fedeli di Hu Jintao, non processeranno oggi Gu Kailai anche per reati economici.

I mandarini riuniti a Beidaihe, nelle grazie del successore Xi Jinping, avranno così campo e tempo per gestire separatamente lo scandalo del concorrente epurato in extremis: risparmiandogli la vita, ma non la fine, ragionevolmente prima del congresso dell'autunno. Ma ottengono prima di tutto l'occasione per ridisegnare la geografia del partito comunista contemporaneo, potente mix di ideologia e affari, moralismo e corruzione, mito rivoluzionario e realtà conservatrice, socialismo nazionale e liberismo globale.

Mentre Hefei condanna Gu Kailai, il sopravvissuto capitalismo maoista di Beidaihe può scegliere così gli eletti che hanno respinto l'attacco di suo marito, illuso che una popolarità da primarie americane potesse travolgere la selezione imperscrutabile dell'autoritarismo cinese.

Cinque le scelte strategiche dell'improvviso conclave che in queste ore riunisce vecchi e nuovi leader del Paese: la riduzione da nove a sette dei membri del comitato permanente del Politburo allargato a venticinque; la nomina di Xi Jinping e Li Keqiang a successori di Hu Jintao e Wen Jiabao fino al 2022; i nomi dei prossimi componenti di comitato permanente e Politburo, ossia degli uomini che governano la Cina; la punizione di Bo Xilai, dei funzionari e dei generali che assieme a lui avrebbero tramato un «colpo di Stato» neomaoista; infine il modo di aggiornare il ruolo dello Stato nell'economia, di alleviare il divario tra ricchezza e povertà e tra città e campagne, di modificare una giustizia sottomessa al partito e incapace di frenare corruzione e abusi di potere.

Per la prima volta il processo di Hefei e il conclave di Beidaihe rivelano però una spaccatura profonda nel cuore del potere e smentiscono l'apparenza di un regime capace di istituzionalizzare un sistema ordinato e burocratico di successione a-democratica
del comando.

Ancora una volta occorrono invece arresti ed epurazioni, omicidi e condanne, misteri e censure, confucianesimo e rieducazioni, esercito e repressione, guerre personali e pace di gruppo. Il prevalere dell'arte antica della guerra, che consente di vincere senza combattere, è la ragione che per qualche anno sembra prolungare infine la vita del Dragone. Ma spiega anche perché, fuori dalla Grande Muraglia, il mondo appeso alla sua sorte teme che pure la clessidra del terrore, dopo quella della speranza, stia esaurendo la sua sabbia.

 

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