omofobia

NON È UN PAESE PER FROCI - DAI PUGNI A SCUOLA AL GELO DELLE FAMIGLIE: COME È DIFFICILE DIRSI GAY NELLA PICCOLA ITALIA - IL RAGAZZO CHE FECE COMING OUT DA SANTORO: “MASTELLA SE NE ANDÒ E IL PRETE DEL MIO PAESE DISSE CHE STAVO COMMETTENDO UN PECCATO MORTALE”

1. PUGNI E SOLITUDINE: IL PREZZO PER DIRSI GAY

Beatrice Borromeo per “il Fatto Quotidiano

 

Matteo 
Pegoraro 
Matteo Pegoraro

Non c’entrano l’estrazione sociale né il livello d’istruzione. Non conta che si faccia da adolescenti o da adulti, di persona o con una lettera. L’esito del coming out – l’ultimo tra quelli eccellenti è stato di Mr. Apple, Tim Cook – dipende forse più dalla fortuna che dalle coordinate geografiche. Anche se, tra le storie raccolte dal Fatto Quotidiano, emerge che la provincia (al Nord come al Sud) resta largamente intollerante. E che le ferite peggiori arrivano spesso tra le mura di casa.

   

Camilla, il messaggio in un video

   “Il mio percorso è durato per tutti e cinque gli anni di liceo, a Pavia. Ci ho messo molto ad ammettere di essere lesbica, soprattutto a me stessa. Poi ne ho parlato con un’amica: anche se ha reagito benissimo, c’è voluto qualche anno perché lo ammettessi alle altre persone che sono nella mia vita. Il passo più difficile è stato confessarlo a mia madre. Non avevo il coraggio di parlarle di persona, anche perché avevo già provato a farle capire come sono eppure non aveva mai voluto ascoltarmi. E poi, non volevo litigare con lei.

Clemente Mastella Clemente Mastella

 

Allora le ho inviato un video in cui le dicevo tutto. Era un messaggio pieno d’amore, per lei e per me stessa. All’inizio l’ha presa molto male, mi ha scritto un sms: ‘Cazzo, lo sai benissimo che non lo voglio sapere. Era davvero necessario dirmelo?’. Ho avuto a lungo la tentazione di tagliarla fuori dalla mia vita. Ora va meglio, mi sento libera e sono innamorata. Ma ancora non capisco perché proprio mia madre mi faccia soffrire per una cosa che non ho scelto”.

   

Armando, quei pugni presi a scuola

   “Ho capito di essere gay quando avevo 10, forse 11 anni, ma in terza media sono stato comunque con una ragazza. Volevo provare. Solo che, dopo esserci andato a letto, i dubbi sono spariti. E quello è stato l’inizio della fine. Ho cominciato a esprimere la mia omosessualità anche nel mio modo di vestire e di parlare. A scuola la situazione è diventata intollerabile.

 

A Napoli frequento un istituto tecnico, ogni mattina l’idea di andarci mi terrorizza. I miei compagni sono gentili, ma c’è un ragazzo più grande che mi insulta quasi ogni giorno, e che l’anno scorso mi ha preso a pugni nel bagno. Sono andato dal preside col naso che sanguinava e lui mi ha consigliato di togliere gli anelli e di non girare con una borsa. Mia madre mi sta molto vicina, ma mio padre non ne vuole sapere. Quando dico che esco con un ragazzo, risponde sempre la stessa cosa: ‘Salutami la tua amica’”.

   

Matteo Pegoraro, coming out in diretta

TIM COOK APPLE GAY PRIDE TIM COOK APPLE GAY PRIDE

   “Il mio coming out è stato incredibile, in diretta durante una puntata di Annozero, con l’allora ministro Mastella che si alzò e andò via. È stata un’esperienza bellissima, perché, a parte i miei, non lo sapeva nessuno. E mi è arrivato molto amore: la gente mi fermava per strada per dirmi che avevo fatto bene. Poi però sono tornato a Solesino, il mio paese natale. E lì il prete ha scritto una lettera pubblica dicendo che rovinavo la reputazione del paese, che ero una vergogna, che stavo commettendo un peccato mortale. Io non potevo crederci: è stato il momento più difficile”.

   

Alberto, lo psichiatra e il terrore

TIM COOK APPLE GAY PRIDE  TIM COOK APPLE GAY PRIDE

   “Ho capito di essere gay a 15 anni, ero in quinta ginnasio. Vivendo in provincia (in Piemonte, ndr) mi sentivo di essere l’unico in tutto il mondo. Pensavo che sarei stato sempre solo. Non sapevo che ci fossero altri gay, oltre a me, perché ancora non c’erano i social network. Ho detto a mia mamma che ero giù, che avevo bisogno di terapia perché ero depresso e che avevo spesso attacchi d’ansia. Dopo un anno dallo psichiatra ho iniziato a capire, mi sono accettato. Ma avevo paura di restare senza amici. Tutto è cambiato quando mi sono trasferito a Milano. Dopo un paio d’anni di università ho detto a mia madre: ‘Vado in vacanza col mio ragazzo’. Lei non ha fatto una piega”.

   

Giacomo: “Ma io proprio non ci riesco”

   “Vengo da Treviso, che non è il posto più aperto del mondo. E non ho mai pensato di fare coming out con i miei. Mi sono creato una mia famiglia a Roma, che mi capisce meglio di quella da cui provengo. Una volta ho pensato di dirlo a mia mamma, ma so che poi lo verrebbe a sapere mio padre. Ho paura di deluderlo. Sono fidanzato da un anno, ma a casa mia lui non lo porterò mai. Sennò lo scopre anche il resto dei miei parenti. Ho uno zio gay e sento i commenti che fanno su di lui, e il tono con cui li fanno. E non voglio essere al suo posto”.

 

2. NON SOLO COOK: I COMING OUT DEI RICCHI E FAMOSI

Caterina Soffici per “il Fatto Quotidiano

 

Elysium Jodie Foster Elysium Jodie Foster

Molto bella la lettera di outing di Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple che decide di dire al mondo: “Sono orgoglioso di essere gay e lo considero uno dei più grandi doni che Dio mi ha fatto”. La leggi e ti senti più buono. In che bel mondo viviamo, tutti diversi, pieni di rispetto, pieni di amore. Che bravo, che coraggioso. E che citazioni: “Nella vita dobbiamo portci soprattutto una domanda: cosa facciamo per gli altri?” (Martin Luther King).

   

Che nobili passaggi: “Se sapere che il Ceo di Apple è gay può aiutare una persona in difficoltà ad accettarsi, o essere di conforto a chi si sente solo, o di incoraggiamento a chi rivendica la propria uguaglianza, vale la pena di rinunciare per questo alla mia privacy”.

   

Coraggioso, certo. Molto bravo. Ma c’è qualcosa che non torna. Pensandoci meglio sono solo tante belle parole, un fiume di dichiarazioni e di buoni sentimenti. Ma davvero essere gay è un dono per tutti quelli che sono comunque “minoranza” e “discriminata” il luoghi meno felici della liberalissima California?

THORPE THORPE

 

Scrive Tim Cook: “Essere gay mi ha aiutato a capire cosa significa essere parte una minoranza, ad avere un’idea delle difficoltà che altre minoranze affrontano quotidianamente. Mi ha reso sensibile nei confronti degli altri, arricchendo così la mia vita”.

   

Vi siete chiesti se il discorso vale anche per un poveraccio qualsiasi, con un lavoro umile, in un paese omofobo, poniamo l’Italia? Quanti ragazzi si sono tolti la vita perché sbeffeggiati dai compagni di classe, derisi su Facebook, martoriati sui social network per le loro preferenze sessuali. La diversità è difficile da accettare, inutile girarci intorno. Quanti omosessuali e lesbiche fingono di avere un rapporto eterosessuale per paura di essere emarginati sul posto di lavoro? Quanti si vedono rifiutato un affitto, quando il padrone di casa scopre che la coppia è omo?

   

Tom Daley Tom Daley

Il mondo non è Apple o Google, che sponsorizzano e partecipano al Gay Pride. Il mondo non è fatto di gente come Jodie Foster, che ai Golden Globe fece il primo outing, e l’anno dopo poteva pure permettersi di scherzarci sopra: “Ragazzi, spero non vi aspettaste un grande discorso di coming out, stasera”.

 

O del grande nuotatore australiano Ian Thorpe, 5 ori olimpici, che ha trovato il coraggio dopo aver negato perfino nella sua autobiografia. O del tuffatore olimpico britannico Tom Daley, che ha mandato il suo messaggio via Youtube. O di Peter Thiel (fondatore di PayPal), Chris Huges (cofondatore di Facebook), Megan Smith (ex vicepresidente di Google). Loro sono l’1 per cento dei fighi che si possono permettere di essere gay e di vantarsene. E poi c’è il restante 99 per cento.

   

IL LORD JOHN BROWNE IL LORD JOHN BROWNE

Leggendo la lettera di Cook, si sarà sentito sollevato? O forse invece si sentirà ancora più tapino e infelice, costretto a vivere in una realtà ben diversa? Forse la verità sta nel mezzo. L’ex amministratore delegato della British Petroleum, Lord John Browne, ha fatto un altro clamoroso outing e ha poi raccontato la sua storia in un libro autobiografico: The Glass Closet.

 

Dove racconta di essere rimasto chiuso nella sua gabbia di vetro per quaranta anni e come, da giovane manager, andasse con i colleghi a vedere gli spettacoli di strip tease femminile a Soho, pur di non essere scoperto. Nel libro cerca altri manager che raccontino la propria storia. Ma non è facile trovarne, anche con la garanzia dell’anonimato. Perché anche a Londra, nonostante tutto, se non fai parte dell’1 per cento, non è così facile uscire dalla gabbia.

   Twitter: @caterinasoffici

 

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