ilary blasi totti

DIVORZI ALL’ITALIANA - DALLA SARTA LUISA ALLA “GUERRA DEI TOTTI”: DOPO LA PANDEMIA BOOM DI COPPIE CHE SCOPPIANO - OGGI SI SEPARANO 97.474 COPPIE L’ANNO E DIVORZIANO 85.349 – L’AVVOCATO CARLO RIMINI: “DAL 1970 È CAMBIATO TUTTO, OGGI SI PUÒ CHIUDERE UN RAPPORTO COME SI CAMBIA COMPAGNIA TELEFONICA E POCHI LITIGANO”- LE SEPARAZIONI IMPOVERISCONO E LA CASA È UN PROBLEMA. NELLE FAMIGLIE A REDDITO MEDIO-BASSO IL MARITO CON FIGLI NE ESCE CON LE OSSA ROTTE…

Irene Soave per corriere.it

 

Dal delitto d’onore alla guerra dei Rolex: il termine “divorzio all’italiana” resiste nei decenni, ma (per fortuna) il significato non è più lo stesso.

Marcello Mastroianni Divorzio all'italiana

 

1961: il codice civile, articolo 149, stabiliva ancora che “il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi”. In Italia si registravano un milione e mezzo di separati ufficialmente, e il doppio di fatto; l’adulterio era punito con uno o due anni di carcere, il “delitto d’onore” - che ne avrebbe “lavato” l’offesa - con appena tre. Quasi un’esclusiva per maschi.

 

Così quell’anno il regista Pietro Germi intitolò Divorzio all’italiana la feroce commedia in cui Marcello Mastroianni, sposato, si innamorava della cugina (Stefania Sandrelli) e si liberava di sua moglie compiendo un delitto d’onore: appunto, un “divorzio all’italiana”.

 

Oggi si separano 97.474 coppie l’anno e divorziano 85.349 (Istat 2019), la procedura si è tanto snellita che si può divorziare - in alcuni casi - senza neppure vedere un giudice. Ma i casi più più recenti - come l’addio Totti-Blasi, più seguito di una crisi di governo - certo meno cruenti, non sembrano meno aggressivi.

 
Il difficile esordio

Marcello Mastroianni Divorzio all'italiana

«In cinquant’anni», spiega l’avvocato Carlo Rimini, ordinario di Diritto privato alla Statale di Milano e professore di Diritto di famiglia a Pavia, «il divorzio ha cambiato pelle. Quando è stato introdotto, nel 1970, la legge lo rendeva difficile: i coniugi dovevano sottoporsi a un doppio tentativo di conciliazione, e fino al 1987 tra separazione e divorzio dovevano passare 5 anni, in alcuni casi 7. Oggi si può divorziare quasi come si cambia compagnia telefonica, per iniziativa anche di un coniuge solo».

 

La strada tra ieri e oggi è stata lastricata di leggi, come quella del 2014 sulla negoziazione assistita e quella del 2015 sul divorzio breve (possono bastare sei mesi dalla separazione, se assistiti da avvocati e senza figli): nel solo biennio 2014-15, in un boom storico, i divorzi sono passati da 50 mila l’anno a oltre 80 mila, per raggiungere i 99 mila nell’anno seguente. Ma la legge del 1970 è sempre in piedi, in tutta la sua solennità.

Marcello Mastroianni Divorzio all'italiana

 

L’Italia aveva conosciuto il divorzio, prima, solo con il codice napoleonico (1808-1814) in alcune regioni. La prima ondata massiccia di rotture coniugali risale al primo dopoguerra: nel proporre una legge sul divorzio nel 1922, due deputati socialisti facevano riferimento a migliaia di reduci che avevano trovato una famiglia cui erano ormai estranei. Il fascismo era, naturalmente, contrario (ma una fotografia di come potesse essere un ménage di regime l’abbiamo nel film Una giornata particolare di Ettore Scola).

 

Nel 1954, una proposta di legge sul “piccolo divorzio” tentava di sanare anche la situazione di 500 mila mogli di emigrati che non tornavano. Non passò. Nella sua indagine I separati (1961) la sociologa Gabriella Parca riporta come, in Italia, ci si separasse tanto pur senza diritti (lo faceva un italiano su mille, il doppio della Gran Bretagna dove il divorzio era lecito); il 90% dei divorziati, 10 anni dopo la legge, era separato da prima che il divorzio esistesse.

 

Nel 1970 l’Italia divorzia

ORNELLA VANONI

La legge Fortuna-Baslini, dopo migliaia di firme raccolte in tutta Italia (la maggioranza in Sicilia, “patria” del delitto d’onore), fu approvata con il numero 898 il 1° dicembre 1970. Alcune parrocchie scampanarono a morto. “L’Italia divorzia: sposa questo secolo”, titolava memorabilmente il Times. E già il 29 dicembre il tribunale di Modena, primo in Italia, scioglieva il matrimonio di Luisa Benassi, sarta, allora 25 anni e un figlio di 9. «Sono sollevata», ha raccontato ai giornali due anni fa, nel cinquantenario della legge che le ha «salvato la vita», di «essermi liberata di quel marito. Mi aveva fatto di tutto». ll nome di lui non è passato alle cronache, quello di lei, oggi nonna di un ventiduenne, sì: «Fu uno scandalo: mi trattavano da donnaccia, me ne dicevano di tutti i colori, dovetti lasciare il mio paese, Castelvetro». Ma la tendenza era inaugurata. Nel 1971 i divorzi furono 17.134, raddoppiati già l’anno dopo (31.717).

rita dalla chiesa frizzi

 
I casi celebri

Nel 1971 divorzia Ornella Vanoni, dall’impresario Lucio Ardenzi, sposato nel 1960 «quando ero ancora innamorata di Gino» (Paoli). Dopo di lei chiedono il divorzio in poche settimane tante altre star - il più celebre, Vittorio De Sica - che il Corriere del 17 marzo 1973 titola “Esauriti i divorzi dei vip”. Un cancelliere del foro di Roma racconta: «Finora un’istanza su quattro la presentava un attore o un cantante. Qui sembrava Cinecittà».

 

E i divorzi più celebri hanno sempre appassionato gli italiani. Pochi brillano per stile. Da manuale di etichetta, datata 2002, è la separazione tra Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, con divorzio sette anni dopo.

 

«In un momento di crisi abbiamo trovato chi, anziché aiutarci, ci ha separati», è la sola versione che entrambi forniscono della rottura. O Fabrizio Frizzi e Rita Dalla Chiesa, dalla cui separazione del 2002 è nata un’amicizia. Anni di recriminazioni e velenosi retroscena seguirono invece la separazione (1999) tra Al Bano e Romina, già distrutti per la scomparsa della figlia.

 

A mezzo stampa, e «doloroso», così lei, fu il divorzio datato 1996 tra Luciano Pavarotti e la moglie-agente Adua Veroni: lui si era innamorato di Nicoletta Mantovani e sul Corriere un’intervista a Veroni titolava “Luciano mi dica se vuol divorziare” (la risposta fu sì).

 

nicoletta mantovani luciano pavarotti

I giornali hanno ospitato spesso missive di questo tipo: la più celebre è stata quella con cui Veronica Lario su Repubblica, nel 2007, chiedeva al marito Silvio Berlusconi «pubbliche scuse» per alcune «galanterie» rivolte in pubblico ad altre donne. La richiesta di separazione arriva nel 2009.

 
I costi una scelta

Di questo e di altri divorzi celebri si chiacchiera, soprattutto, a proposito di mantenimento: quello che il Cavaliere doveva versare all’ex moglie, 3 milioni di euro al mese durante la separazione e 1,4 dopo il divorzio, era poi stato cancellato in appello secondo il precedente di una sentenza di Cassazione del 2014 (sul caso dell’ex ministro Vittorio Grilli contro l’ex moglie Lisa Lowenstein).

 

berlusconi veronica lario

Che decise che l’eventuale assegno di mantenimento non va più calcolato tenendo come riferimento il “tenore di vita”, rigettando cioè «l’idea del matrimonio come una sistemazione definitiva». Vari “divorzi d’oro” sono stati ridimensionati da questa sentenza: come quello di Barbara D’Urso, che non dovrà più mantenere l’ex marito, il ballerino Michele Carfora.

 

Ma il tema non tocca la maggioranza degli italiani. «Il matrimonio», spiega Carlo Rimini, «non crea di per sé alcuna condivisione. Circa l’80% degli sposi sceglie la separazione dei beni, e solo in 1 divorzio su 5 il giudice stabilisce che il più debole abbia diritto a un assegno di mantenimento, oltretutto in genere basso.

 

I casi più ingiusti sono quelli nei quali una donna di 50 o 60 anni, che non lavora per essersi dedicata alla famiglia, viene lasciata e si trova senza un reddito. Per lei l’unica tutela è l’assegno mensile. Ma spesso le viene riconosciuta una somma che non la compensa dei sacrifici». “Moglie” e “marito” sono spesso sinonimi di “coniuge debole” e “coniuge forte”, nei divorzi all’italiana: lavora, in Italia, appena il 49,3% delle donne adulte. Ruoli che - sempre in via tendenziale - si rovesciano dopo il divorzio quando ci sono figli.

silvio berlusconi veronica lario 1

 

«Rilevanti redistribuzioni di reddito», spiega Rimini, «avvengono in questi casi. La casa coniugale viene perlopiù assegnata al genitore con cui i figli prevalentemente vivono, in genere la madre. L’altro genitore, in genere il padre, deve versare anche un assegno per i figli. Nel determinare questo assegno i giudici sono piuttosto generosi. Nelle famiglie a reddito medio-basso il marito con figli ne esce con le ossa rotte».

I conti in tasca alla coppia

È facile fare un prosaico gioco di simulazione: chi può divorziare? Coppia residente a Milano, due figli, lui professionista, 3.200 euro al mese, lei poniamo 1.200. Mutuo in comune da 1.000 al mese. Divorziano: dai 3.200 di lui si sottrae la rata del mutuo (condiviso con la moglie: basteranno 500?) e il contributo di mantenimento per i figli, variabile, alcune centinaia di euro; l’affitto di una nuova casa adatta ai bambini, almeno 1.200; in tasca resta poco. E sono stipendi alti per la media italiana (1.500 al mese): sotto questa soglia si rinuncia? Quasi mai.

romina power al bano

 

«Le separazioni impoveriscono, e specialmente la casa è un problema», spiega Luisa Francioli, avvocata e co-responsabile dell’ufficio legale del Centro ausiliario minori di Milano. «Eppure è difficile che una coppia in cui almeno uno dei due ha deciso di lasciarsi rinunci a farlo. Molti tornano dai genitori, o vanno in periferia. Ma se la situazione è invivibile, ci si lascia. Lo mostra l’anno del Covid: la convivenza forzata ha fatto esplodere molte coppie. Anche giovani, e con figli piccoli». L’idea che i figli preferiscano genitori uniti a tutti i costi «è superata». «Proteggere i figli», intento dichiarato sempre dai contraenti di separazioni soprattutto celebri, è soprattutto «facilitare i rapporti con l’altro genitore, quello con cui non convivono stabilmente», prosegue Francioli. Spesso il padre.

 

eros ramazzotti michelle hunziker

«Oggi i padri chiedono al giudice più tempo con i figli, e quasi sempre lo ricevono. A volte sono richieste strumentali, di battaglia; ma i padri più giovani sono davvero coinvolti nella gestione dei figli, e anche quando la famiglia si spacca si danno molto da fare per diventarlo». L’affido condiviso dei figli, dall’entrata in vigore della legge 54/2006 è ormai la modalità ordinaria. L’Istat registra per il 2018 75.760 affidi condivisi su 79 mila separazioni. Nel 59% dei casi la casa coniugale è assegnata alla madre. Altri numeri: dal 1991 al 2018 si registra un boom. Nel 1991 i divorziati erano 375.569; nel 2018 1.671.534.

Le cause dei divorzi

ilary blasi totti

Dal 1991 a oggi sono raddoppiati i “divorzi grigi”, tra i 65 e i 79 anni, e persino gli over 80 sono il 3,2% del totale; ma ci si lascia a ogni età. Perché? Stime artigianali di addetti ai lavori indicano come causa di 4 divorzi su 10 un nuovo amore, in metà dei casi del marito e in metà della moglie; tre, disamore semplice; gli altri violenza, dipendenze, odio per i suoceri; la grande maggioranza sono poco conflittuali, e solo il 20% somiglia per acredine alla “guerra dei Rolex” di questi giorni.

 

Ancora Istat: si divorzia un po’ più al Nord che al Sud; più tra i diplomati (18 mila coppie di diplomati si sono divise nel 2018) che tra i laureati (5.300); le sole a divorziare pochissimo sono le donne disoccupate, appena 7 mila sulle 62 mila divorziate 2017, uniche costrette a resistere alla forza centrifuga che divide chi non vuole più vivere insieme, fortissima, ben più di quella centripeta dell’amore, da ben prima del 1970.

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