OGNI VOLTA CHE SI RIPERCORRE LA STORIA DEL “METODO BOFFO” TUTTI SI DIMENTICANO CHE IL “TRATTAMENTO” EBBE ORIGINE SULLE PAGINE DELL’’’ESPRESSO’’, A CURA DI CAMILLA CEDERNA, SULLA PELLE DI LEONE

Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

Dice Alfano che c'è aria di metodo Boffo. Ohibò, che sorpresa! E' almeno la seconda volta in effetti che il ministro dell'Interno lo fa presente, il 31 di settembre scorso lo denunciò insieme con gli altri suoi colleghi di governo «diversamente berlusconiani».

A scanso di equivoci, dopo quel penultimo avvertimento pubblico - ché di privati chissà quanti altri in precedenza! - il segretario uscente del Pdl chiese al Cavaliere la testa del direttore del Giornale Sallusti. Il quale rispose per iscritto: «Mafiosetti».

E tuttavia chi voglia ricostruire in che modo i giornali e un po' anche le tv di Berlusconi siano diventati un fattore sensibile del discorso pubblico, che sarebbe un modo gentile per non dire che funzionano oggi come una specie di tortore nodoso sospeso sulla capoccia dei dissidenti, ecco, chi ci prova, e con qualche praticaccia in materia, si ritrova subito disperso nel mare magnum della dirty politics, e quindi nel fetido e sterminato immondezzaio del potere, là dove le varie e periodiche macchine del fango e di altre materie meno nominabili comunque operano a pieno regime da almeno un quinquennio; e la sensazione è che trattandosi di tecniche, nel caso specifico del discredito, siano ormai sfuggite completamente di mano, per giunta a prescindere dalla loro effettiva efficacia.

Così, in cupa e caotica commistione, s'incontrano agguati più o meno rovinosi, da parte della stampa di destra, più o meno riusciti, a partire dal «ciclo del nudo», Veronica «velina ingrata» a seno scoperto (ma erano foto di scena); Fini pure nudo in prima pagina, ma con la foglia di fico sulle vergogne; e servizi illustrati di Chi sul body guard in vacanza con la prima; e insistenti notiziole sul Giornale a proposito di una finta escort emiliana collegata al secondo.

E insomma, occorre anche un po' di stomaco perché in questi casi i dispositivi della memoria, che è fortunatamente selettiva, sono salutari. Ma a parte la casa di Montecarlo, con la partecipazione straordinaria di Lavitola e del ministro degli Esteri Frattini, e a parte i video di Marrazzo, che tanto stavano a cuore ad Alfonso Signorini, tocca qui rammentare anche certe promesse, invero poco simpatiche, rivolte a Emma Marcegaglia, o certi tele-approfondimenti sul colore dei calzini del giudice Mesiano o sulle cene del giudice Esposito, per non dire della foto-cicca gettata per terra da Boccassini o dello scatto all'esponente leghista, allora anti-berlusconiano, che di notte suona il citofono sotto il portone della graziosa collaboratrice, nonché presunta ganza.

Hai voglia a reperire il fondamento di tutto questo nel tramonto delle ideologie e nei processi di personalizzazione che hanno reso ogni scontro più privato e selvaggio. In realtà la zozzeria si aggroviglia al di là di ogni ragionevole prospettiva, e se una settimana Chi ospita l'onorevole Bocchino che con tanto di cappello da cuoco illustra le sue abilità gastronomiche, ecco che la settimana dopo dà la parola all'Ape Regina che ne racconta le peggiori vicissitudini amorose, per così dire.

Così come, per dire le inevitabili contraddizioni, a causa di una «rivelazione» da lei considerata falsa e offensiva una volta Alessandra Mussolini strappò in diretta una copia del Giornale e quando Fede si ritrovò privato della direzione del Tg4, nel denunciare quello che gli pareva un complotto, volle augurarsi che i congiurati non avessero «scheletri nell'armadio, amori sbagliati, frequentazioni sbagliate, che so, transess... » e non finì la parola - perché forse per taluni bastava. Così va l'odierna lotta politica, e il ministro Alfano potrebbe chiederne utile conferma all'ex ministro Tremonti che, venuto pure lui e prima di lui ai ferri corti con Berlusconi, nei seguenti termini ha inteso chiarire i suoi timori ai magistrati di Napoli: «Manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella di Boffo».

E dispiace che ogni volta e ormai da ogni parte, per indicare la bastonatura, s'invochi il nome del povero direttore di Avvenire, bastonato con cartuccelle false per il suo atteggiamento nei confronti degli scandali sessuali berlusconiani, e non quello dell'acclarato e sanzionato bastonatore, Vittorio Feltri - che per tale non proprio disinteressata attitudine alla «clava», come disse Montanelli, venne scelto da Berlusconi alla guida del Giornale.

Se poi agli appassionati di filologia contundente interessa la genealogia dell'espressione, almeno all'inizio (31 luglio 2010) non fu il «metodo», ma il «trattamento» Boffo. A invocarlo un deputato ultrà, Giorgio Stracquadanio, allorché fu evidente che Fini non si sarebbe allineato. E dunque: «Parliamoci chiaro, Fini va destituito dalla presidenza della Camera. Se serve, c'è sempre il trattamento Boffo». Ed evidentemente è servito, ma il dramma è non solo a chi e a che cosa, ma fino a quando, in questo disastro senza fine.

 

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