AMERICAN SBOOM - DOPO 5 ANNI DI STIMOLI, LA FEDERAL RESERVE MOLLA - MA L’ ECONOMIA USA CRESCE LENTAMENTE, QUELLA EUROPEA È IN STALLO E LA CINA STA RALLENTANDO. GLI UTILI DELLE SOCIETÀ NON ESISTONO

Francesco Guerrera* per "la Stampa"
*caporedattore del Wall Street Journal a New York

La Borsa di New York è il simulacro di un passato che non esiste più. Oggigiorno i veri operatori di cambio sono i computer, super-cervelloni silenziosi, efficaci e senza sentimenti. Non fanno errori, non si ubriacano e non sono mai in ritardo in ufficio.
Il palazzo neoclassico del New York Stock Exchange, all'angolo tra Wall Street e Broad Street, è diventato un museo del capitalismo.

Qui un gruppetto di esseri umani compra e vende qualche azione per le telecamere della televisione e le foto-ricordo delle società che si quotano in Borsa.
Ma per capire la paura cha sta attanagliando gli investitori non si può stare davanti ad un computer. Bisogna scendere sul «floor», sul pavimento della Borsa.

Solo lì si capisce che siamo all'inizio della fine di un periodo di grazia per i mercati azionari. Gli americani lo chiamano «body language», il linguaggio del corpo in questo caso è molto eloquente: basta guardare ai gesti preoccupati degli operatori più anziani, la mancanza delle battute spavalde e un po' rozze, la voglia di comprare poco e vendere subito.

Il grande recupero dei mercati azionari iniziato dopo la crisi del 2008 si sta lentamente spegnendo. Dopo anni di prezzi al rialzo, boom nelle quotazioni e miliardi di guadagni, i veterani della compravendita stanno fiutando la fine dei soldi facili.
Negli ultimi giorni tutti i più importanti mercati americani - dallo storico Dow Jones Industrial Average, al tecnologico Nasdaq, al più ampio S&P500, sono colati a picco. Dopo questa settimana di fuoco, i tre indici, la santissima trinità del mondo degli affari Usa, sono in rosso per il 2014.

Il resto dei mercati segue Wall Street. Quando New York starnutisce, Tokyo, Francoforte e Milano si prendono la febbre. E' uno degli ultimi vestigi del superpotere americano: se gli investitori americani perdono denaro, perdiamo tutti. L'ecosistema finanziario è radicato nel culto dell'individualismo, ma quando si parla di mercati, tutti per uno e uno per tutti.
Fino alla settimana scorsa il motto dei moschettieri ha funzionato. Mi ricordo bene il giorno in cui le azioni americane toccarono il fondo - il 9 marzo del 2009. Era una bella giornata nonostante fosse lunedì. A New York c'era un primo sole primaverile. Le maniche delle camicie e le gonne si stavano finalmente accorciando dopo un lungo inverno.
Ma per noi guardoni della finanza, quelli erano tempi bui. La crisi che aveva quasi distrutto l'economia mondiale aleggiava ancora sui mercati e gli investitori rispondevano con una parola sola: vendi, vendi e vendi.

Ma quel giorno qualcosa cambiò nella psiche dei mercati. Non lo sapevamo allora, ma un mix di aiuti da parte di banche centrali, prezzi ormai bassissimi di azioni di buone società e i primi segni di ripresa economica avrebbero spinto il mercato a crescere più del 150% nei cinque anni seguenti.

Il Dow Jones e lo S&P500 (non il Nasdaq che deve ancora sorpassare i livelli stratosferici della bolla-Internet del 2000) hanno abbattuto record dopo record. Ma erano più Ben Johnson e Lance Armstrong che non Carl Lewis o Fausto Coppi.
La salita vertiginosa del Dow e compagnia è stata possibile solo grazie agli steroidi della Federal Reserve e di altre banche centrali.

I tassi d'interesse bassissimi sanzionati dai burocrati di Washington, Francoforte e più di recente Tokyo, hanno aiutato i re del libero mercato in due modi.
Prima di tutto, hanno offerto denaro a prezzi stracciati a investitori grandi e piccoli. E in secondo luogo, hanno messo un tetto sulle quotazioni di beni «sicuri» quali i beni del Tesoro americano, spingendo i mercati verso strumenti più rischiosi come le azioni.
Era uno schema destinato a far ripartire economie moribonde, giocando sugli «spiriti animali» di John Maynard Keynes, la voglia di far soldi che è propria di quasi tutti gli esseri umani.

Per i mercati, la strategia ha funzionato (per le economie, meno), ma come quasi tutte le droghe ha anche portato all'assuefazione. Quando, a maggio dell'anno scorso, la Fed ha annunciato che avrebbe incominciato a ritirarsi dai mercati, gli investitori si sono guardati per un lunghissimo momento e si sono chiesti: «E adesso?».

In teoria, dopo cinque anni di stimolo, la ripresa economica dovrebbe soppiantare gli aiuti delle banche centrali. Le società dovrebbero essere in grado di giustificare il loro valore in Borsa con utili e programmi d'investimento. I consumi, la produzione industriale e le esportazioni dovrebbero incominciare a tirare. E le Borse dovrebbero ritornare a guardare ai «fondamentali», che a Wall Street vuol dire i numeri, i bilanci, le previsioni.
Ma per ora manca l'analisi matematica e abbonda la paura.

La verità è che in questo momento i fondamentali non ci sono. L'economia Usa cresce lentamente, quella europea è in fase di stallo e persino la Cina sta rallentando.
Gli utili delle società non esistono. Il numero forse più agghiacciante degli ultimi mesi me lo ha fornito il mio amico Jason DeSena Trennert, il capo del centro studi Strategas: dal 2008 il fatturato delle aziende nell'S&P500 è cresciuto solo del 7%. Una cifra troppo bassa per spingere i mercati. E senza concreti prospetti per miglioramenti economici, è difficile pensare che fatturati e utili possano crescere granché nei prossimi anni.

Gli ottimisti parlano di prezzi azionari ancora non troppo alti dal punto di vista storico e dell'assenza d'inflazione, la vera bestia nera delle Borse.
Ma come diceva Lidio, il mio allenatore di pallacanestro: senza i fondamentali, non vali nulla. Senza un salto di qualità nelle economie di Usa, Europa e Cina, i signori del pavimento della Borsa si troveranno presto al tappeto.

 

 

quantitative easing OBAMA FEDERAL RESERVE BERNANKE QUANTITATIVE EASING SOLDI DALL ELICOTTERO DOLLARI STAMPATI quantitative easing DOLLARO SIRINGA

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni kirk renzi salvini tajani

DAGOREPORT - LA STRATEGIA DELLA DISTRAZIONE DI GIORGIA MELONI: PER LA DESTRA DE’ NOANTRI, IL DELITTO KIRK NON È UNA STORIA AMERICANA DEFLAGRATA ALL’INTERNO DEL MONDO DEI “MAGA” TRUMPIANI. NO, È ROBA DA BRIGATE ROSSE IN VIAGGIO PREMIO NEGLI USA - ECCO: IL CADAVERE DI UN ATTIVISTA DI UN PAESE DOVE LE ARMI LE COMPRI DAL TABACCAIO È GIUNTO AL MOMENTO GIUSTO PER ESSERE SFACCIATAMENTE STRUMENTALIZZATO AD ARTE DALLA PROPAGANDA DI PALAZZO CHIGI, COPRENDO CON DICHIARAZIONI FUORI DI SENNO LE PROPRIE DIFFICOLTÀ - CHE LA DESTRA DI GOVERNO SIA IN PIENA CAMPAGNA ELETTORALE, INQUIETA (EUFEMISMO) PER L’ESITO DELLE REGIONALI D’AUTUNNO, IL CUI VOTO SARÀ DIRIMENTE IN VISTA DELLE POLITICHE 2027, ALLE PRESE CON UN PAESE CHE SENZA LA FORTUNA DEI 200 MILIARDI DEL PNRR SAREBBE IN RECESSIONE COME LA FRANCIA E LA GERMANIA, NE È CONSAPEVOLE LO STESSO ESECUTIVO, IN PIENO AFFANNO PER TROVARE LE RISORSE NECESSARIE ALLA FINANZIARIA DI FINE D’ANNO - RENZI: “LA PREMIER SEMINA ZIZZANIA E CREA TENSIONE PER EVITARE DI PARLARE DI STIPENDI E SICUREZZA. MA SOPRATTUTTO PER EVITARE CHE NASCA UN VERO MOVIMENTO A DESTRA. OCCHIO: SE VANNACCI FA COME FARAGE, LA MELONI VA A CASA. LA POLITICA È PIÙ SEMPLICE DI QUELLO CHE SI CREDA. GIORGIA MELONI ALIMENTA LA PAURA PERCHÉ LEI HA PAURA…” - VIDEO

emanuele orsini romana liuzzo luiss sede

FLASH! – IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, EMANUELE ORSINI, HA COMINCIATO IL "RISANAMENTO" DELL’UNIVERSITÀ "LUISS GUIDO CARLI" ALLONTANANDO DALLA SEDE DELL’ATENEO ROMANO LO SPAZIO OCCUPATO DALLA "FONDAZIONE GUIDO CARLI" GUIDATA DALL’INTRAPRENDENTE ROMANA LIUZZO, A CUI VENIVA VERSATO ANCHE UN CONTRIBUTO DI 350 MILA EURO PER UN EVENTO ALL’ANNO (DAL 2017 AL 2024) - ORA, LE RESTA SOLO UNA STANZETTA NELLA SEDE LUISS DI VIALE ROMANIA CHE SCADRÀ A FINE ANNO – PRIMA DELLA LUISS, LA FONDAZIONE DELLA LIUZZO FU "SFRATTATA" DA UN PALAZZO DELLA BANCA D’ITALA NEL CENTRO DI ROMA...

rai giampaolo rossi gianmarco chiocci giorgia meloni bruno vespa scurti fazzolari

DAGOREPORT - RIUSCIRÀ GIAMPAOLO ROSSI A DIVENTARE IL CENTRO DI GRAVITÀ DELL’INDOMABILE BARACCONE RAI? - IL “FILOSOFO” DEL MELONISMO HA TENUTO DURO PER NON ESSERE FATTO FUORI DAL FUOCO AMICO DEL DUPLEX SERGIO-CHIOCCI. A “SALVARE” IL MITE ROSSI ARRIVÒ IL PRONTO SOCCORSO Di BRUNO VESPA, CON IL SUO CARICO DI MEZZO SECOLO DI VITA VISSUTA NEL FAR WEST DI MAMMA RAI - A RAFFORZARE LA SUA LEADERSHIP, INDEBOLENDO QUELLA DI CHIOCCI, È INTERVENUTA POI LA FIAMMA MAGICA DI PALAZZO CHIGI, “BRUCIANDO” IN PIAZZA IL DESIDERIO DI GIORGIA DI ARRUOLARLO COME PORTAVOCE - L’OPERAZIONE DI ROSSI DI ESSERE IL BARICENTRO IDEOLOGO E PUNTO DI RIFERIMENTO DI TELE-MELONI, SI STA SPOSTANDO SUI TALK-SHOW E L’INTRATTENIMENTO, A PARTIRE DALLA PROBABILE USCITA DI PAOLO DEL BROCCO, DA UNA DOZZINA DI ANNI ALLA GUIDA “AUTONOMA” DELLA CONSOCIATA RAI CINEMA, IN SCADENZA AD APRILE 2026 - IL NOME CHE SCALPITA PER ANDARLO A SOSTITUIRE, È UN AMICO FIDATO DI ROSSI, L’ATTUALE DIRETTORE DEL DAY-TIME, LO SCRITTORE-POETA-CANTANTE-SHOWMAN ANGELO MELLONE - MENTRE A RAI FICTION...

roberto vannacci matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - UNO SPETTRO SI AGGIRA MINACCIOSO PER L'ARMATA BRANCA-MELONI: ROBERTINO VANNACCI - L’EX GENERALE DELLA FOLGORE STA TERREMOTANDO NON SOLO LA LEGA (SE LA VANNACCIZZAZIONE CONTINUA, ZAIA ESCE DAL PARTITO) MA STA PREOCCUPANDO ANCHE FRATELLI D’ITALIA - IL RICHIAMO DEL GENERALISSIMO ALLA DECIMA MAS E ALLA PACCOTTIGLIA DEL VENTENNIO MUSSOLINIANO (“IO FASCISTA? NON MI OFFENDO”)  ABBAGLIA LO “ZOCCOLO FASCIO” DELLA FIAMMA, INGANNATO DA TRE ANNI DI POTERE MELONIANO IN CUI LE RADICI POST-MISSINE SONO STATE VIA VIA DEMOCRISTIANAMENTE “PETTINATE”, SE NON DEL TUTTO SOTTERRATE - IL PROGETTO CHE FRULLA NELLA MENTE DI VANNACCI HA COME TRAGUARDO LE POLITICHE DEL 2027, QUANDO IMPORRÀ A SALVINI I SUOI UOMINI IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI. ALTRIMENTI, CARO MATTEO, SCENDO DAL CARROCCIO E DO VITA AL MIO PARTITO - INTANTO, SI È GIÀ APERTO UN ALTRO FRONTE DEL DUELLO TRA LEGA E FRATELLI D’ITALIA: LA PRESIDENZA DEL PIRELLONE…

berlusconi john elkann

FLASH! – “AHI, SERVA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO...”: DA QUALE FANTASTICA IPOCRISIA SPUNTA LA FRASE “MESSA IN PROVA” PER LIQUIDARE IL PATTEGGIAMENTO DI JOHN ELKANN, CONDANNATO A 10 MESI DI LAVORO DAI SALESIANI? - QUANDO TOCCÒ AL REIETTO SILVIO BERLUSCONI DI PATTEGGIARE CON LA GIUSTIZIA, CONDANNATO A UN ANNO DI LAVORO PRESSO UN OSPIZIO DI COLOGNO MONZESE, A NESSUNO VENNE IN MENTE DI TIRARE FUORI LA FRASE “MESSA IN PROVA”, MA TUTTI TRANQUILLAMENTE SCRISSERO: “SERVIZI SOCIALI”…