GONG! SUL RING, SAVIANO CONTRO TRAVAGLIO - DUELLO RUSTICANO SULLA PROPOSTA DI VERONESI: ABOLIRE L’ERGASTOLO - PER SAVIANO E’ UNA BUONA IDEA: “LO STATO NON PUÒ NON TENTARE IL TUTTO PER TUTTO PER RECUPERARE CHIUNQUE” - MA TRAVAGLIO NON CI STA: “L’ERGASTOLO E’ GIA’ STATO ABOLITO DALLA LEGGE GOZZINI” - “BOSS E KILLER TORNEREBBERO IN LIBERTÀ…”

1- L'ERGASTOLO? È LA RESA DELLO STATO
Roberto Saviano per "l'Espresso"

Il gemello" (di Vincenzo Marra) è un documentario ambientato nel carcere di Secondigliano. Una telecamera segue Raffaele, detenuto di 29 anni, in carcere da quando ne aveva 15 per una rapina. Raffaele parla con Niko, capo delle guardie carcerarie. Colloqui che a noi sembrano confessioni che aprono spiragli di comprensione su un mondo nel quale difficilmente avremmo voglia di entrare. Raffaele dice di essere favorevole alla pena di morte perché la vita in carcere non è vita.

Non è rieducazione. Non è volontà di reinserimento. Seguendo Raffaele, osservando la sua cella, osservandolo lavorare, nei rapporti con gli altri detenuti, ci rendiamo conto che lì tutto è affidato alla volontà del singolo, anche la rieducazione, ovvero l'essenza stessa della detenzione.

È di qualche giorno fa l'annuncio di una campagna promossa dal professor Umberto Veronesi per l'abolizione dell'ergastolo, quel "fine pena mai" che riguarda molti detenuti italiani. La riflessione di Veronesi prende le mosse dalla Costituzione, dal principio che postula la rieducazione del condannato attraverso la pena, per arrivare a una conclusione scientifica.

L'ergastolo sarebbe fisiologicamente un nonsense perché il nostro cervello muta nel corso degli anni, alla luce delle esperienze che si accumulano nell'arco della nostra vita. Dunque anche i riferimenti morali di un soggetto che ha commesso un reato cambiano a distanza di tanti anni dal fatto delittuoso. Per questo, sostiene Veronesi, l'ergastolo oltre a essere incostituzionale è antiscientifico. E, aggiungo io, è segno di una resa incondizionata dello Stato a una logica di sola deterrenza del tutto estranea all'idea di pena come rieducazione e reinserimento nella società.

La realtà ci offre un'immediata controprova. L'anno scorso, il 22 luglio 2011, in Norvegia si è consumata una strage premeditata che ha spento le vite di decine di giovani innocenti. L'autore, Anders Breivik, è stato subito individuato e arrestato. A distanza di poco tempo è stato processato. Il 24 agosto del 2012 il mondo ha assistito incredulo alla lettura del verdetto: il Tribunale lo ha condannato a ventuno anni di carcere, pena massima prevista dalla legge norvegese. Ho immediatamente associato questo fatto alle parole di Veronesi e la mia conclusione è che lo Stato norvegese ha dimostrato una forza assoluta rispetto all'orrore che era capitato.

Con quella sentenza si è affermata la possibilità, in un tempo determinato per quanto lungo, di riuscire a rieducare un soggetto con una personalità criminale eclatante, tanto da consentirgli, quando la pena sarà stata completamente espiata, di tornare a far parte della società. L'ergastolo, il "fine pena mai", non deve essere una pena di morte camuffata. Non deve essere la resa dello Stato, che ammette di non essere in grado di reinserire nella società l'autore di un reato. Il paradosso dell'ordinamento italiano è nella sua ipocrisia, che getta una luce di coerenza (per quanto inaccettabile) sulla pena di morte in vigore in alcuni Stati americani.

Lì la pena ha una mera finalità deterrente, non c'è interesse al recupero del condannato e la sua espulsione dalla società è immediata. Non è dunque un caso che in Italia molti condannati all'ergastolo chiedano l'introduzione della pena di morte.

Non è una provocazione, ma un richiamo alla coerenza rivolto a uno Stato incapace di realizzare il reinserimento di Caino nella società. Gli ergastolani ci dicono: se non volete rieducarci, allora ammazzateci, ma assumetevene la responsabilità morale.

Già immagino l'obiezione: "Saviano, proprio tu che ti occupi di mafie, proprio tu che hai denunciato cosa i clan campani hanno fatto alla tua terra d'origine, proprio tu che vivi sotto protezione da sei anni per le minacce di chi ha ammazzato innocenti, come fai a pensare che ci possa essere rieducazione?". Ecco, è qui il perno del mio discorso: credo che lo Stato debba mostrarsi forte, e per esserlo non può gettare la spugna, non può non tentare il tutto per tutto per recuperare chiunque. Anche chi in questo momento sta rendendo la mia vita un inferno.


2- MA SENZA CARCERE A VITA LA MAFIA RINGRAZIA
Marco Travaglio per "l'Espresso"

L'oncologo Umberto Veronesi ha riunito alla Bocconi un gran parterre di premi Nobel, intellettuali, scienziati e star dello spettacolo per lanciare una raccolta di firme da consegnare al prossimo Parlamento affinché abolisca l'ergastolo. Che, a suo dire, sarebbe «incostituzionale e antiscientifico». Incostituzionale perché «la pena deve rieducare». Antiscientifico perché, «20 anni dopo il reato, il carcerato può essere una persona diversa».

La seconda affermazione porta addirittura a cancellare un principio giuridico universale: l'omicidio (e tantopiù la strage) non si prescrive mai, dunque si può essere chiamati a risponderne anche dopo decenni, come per le stragi naziste o terroristiche. La prima invece è smentita dalla Corte costituzionale, che ha già stabilito la costituzionalità dell'ergastolo proprio perché in Italia è sostanzialmente finto: i benefici della legge penitenziaria (la famosa "Gozzini") consentono alla gran parte degli ergastolani di uscire dopo meno di 30 anni.

Il vero "fine pena mai" è limitato all'"ergastolo ostativo", che non ammette sconti né benefici, introdotto nel 1992 dopo le stragi per assicurare che almeno i criminali più efferati non tornino in libertà. A meno che, si capisce, non collaborino con la giustizia a sgominare le proprie organizzazioni. Il che dimostra che anche per l'ergastolo ostativo c'è una via d'uscita: basta dire la verità, ammettere le proprie colpe, abbandonare la cosca e schierarsi con lo Stato.

Proprio per questo l'ergastolo è la bestia nera dei mafiosi. Non a caso Riina lo inserì ai primi posti del suo "papello" consegnato nell'estate '92 agli uomini della trattativa, insieme con l'annullamento del 41-bis, gli arresti domiciliari per gli ultrasettantenni, la chiusura delle supercarceri e la riforma dei pentiti: il combinato disposto ergastolo-carcere duro, ideato da Falcone, cominciava a produrre gli effetti sperati.

Molti mafiosi scelsero di collaborare e consentirono la cattura di centinaia di latitanti e la scoperta dei colpevoli di migliaia di stragi e delitti eccellenti. «Possiamo obiettivamente affermare - domanda Veronesi a proposito dell'ergastolo ostativo - di avere così ridotto il potere delle mafie? Io credo di no». E invece sì. Gli italiani poi si sono già pronunciati nel referendum del 1981: il 77,4 per cento disse sì all'ergastolo. E nessun paese d'Europa, esclusi Portogallo e Spagna, s'è mai sognato di abrogarlo.

Lo fece nel '99, in nome del solito garantismo astratto e irenico, il centrosinistra con la legge del "giudice unico": estese il giudizio abbreviato a tutti i delitti, stragi comprese, così lo sconto di un terzo della pena trasformava l'ergastolo in 30 anni. Che diventavano 20 con gli sconti-Gozzini. I boss arrestati all'indomani delle stragi avrebbero potuto uscire in permesso nel giro di pochi anni.

Infatti il 23 ottobre 2000 Riina, Graviano e altri 15 boss condannati in primo grado all'ergastolo per le stragi del '93 si alzarono nelle gabbie del processo d'appello a Firenze e chiesero l'abbreviato. Solo allora, dopo le proteste di magistrati e parenti delle vittime, il governo Amato s'affrettò a ripristinare l'ergastolo almeno per i delitti più orrendi, aggiungendo alla pena detentiva l'isolamento diurno ai condannati per delitti di sangue che rispondono anche di altri reati (tipo l'associazione mafiosa): così lo sconto per l'abbreviato abbuona l'isolamento senza toccare la pena.

Ora Veronesi & C. citano Cesare Beccaria. Ma, se l'avessero letto, saprebbero che in "Dei delitti e delle pene" scriveva: «Non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa con le sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti».

E se consultassero un qualsiasi giudice antimafia, saprebbero quanti boss e killer tornerebbero in libertà il giorno dopo l'approvazione della loro demenziale proposta. La giustizia è certamente affare troppo serio per lasciarlo in mano ai politici e ai tecnici. Ma anche gli scienziati non scherzano.

 

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