PSICODRAMMA DEMOCRATICO – “E ORA CHE FACCIAMO?”: ALL’ACQUARIO, VA IN SCENA LO SGOMENTO DEI MILITANTI MENTRE IL DEMENZIALE FASSINA INVOCA IL RITORNO AL VOTO - ORFINI PARLA DI “TERREMOTO” E CHIEDE DI CAMBIARE LA LEGGE ELETTORALE (FAI PRIMA A CAMBIARE SEGRETARIO) – DIMISSIONI DEL CULATELLO TRAGICO: “NESSUNO LO CHIEDE E SE RIFACCIAMO IL CONGRESSO LO VINCIAMO NOI”...

Carlo Bertini per "la Stampa"

«Vai Ale, c'è il Vietnam che ti aspetta», sibila il giovane Tommaso Giuntella ad Alessandra Moretti, testimonial del nuovo che avanza, sguardo ed entusiasmi spenti dallo scenario catastrofico che si profila nel pomeriggio: il suo leader sconfitto, nessuna maggioranza in Senato, Grillo che arriva davanti al Pd e la prospettiva di dover fare i conti con Berlusconi per un governissimo. Lei guarda costernata il suo compagno di battaglie, poi si gira e una ragazza vietnamita col microfono in mano le fa segno che vorrebbe una sua dichiarazione.

Ore 18, Casa dell'Architettura, detta «l'Acquario», centinaia di giornalisti stranieri, un salone dove in serata doveva arrivare Bersani per festeggiare. Si erano già predisposti a portare i militanti in piazza con le bandiere e invece comincia la doccia scozzese e lo sgomento assale le truppe. E' uno dei tre palcoscenici - insieme alla sede del partito e alla casa romana del segretario dove si consuma il dramma del Pd, in balia dei flutti e con una sola domanda che ricorre, «e ora cosa facciamo?».

Costernazione, confusione e sbandamento sulla linea da tenere, un manipolo di dirigenti dice la sua, all'Acquario arrivano i «giovani turchi», Stefano Fassina e Matteo Orfini. Le tivvù li assaltano, «se si confermano questi dati sarà difficile governare e bisognerà tornare a elezioni in una situazione economica e sociale difficile», azzarda Fassina. «Non abbiamo rimproveri da fare alla nostra campagna di verità».

«E' un terremoto, dobbiamo riflettere, certo per tornare a votare, bisogna cambiare la legge elettorale», dice Orfini. Bastano poche ore e la linea del si torna alle urne frana, arriva l'input direttamente da Bersani, quando sembra che forse alla Camera vincerà il centrosinistra. Uno stop secco che tradisce la spaccatura interna e investe anche chi presagiva una richiesta di andare a rivotare solo per Palazzo Madama. «Se alla Camera abbiamo la maggioranza e al Senato solo quella numerica, pur senza avere i seggi sufficienti, è politicamente rilevante», dicono gli uomini del leader.

Al piano due di largo del Nazareno, sede centrale, il clima è se possibile peggiore, glaciale. Nella stanza del braccio destro di Bersani, Maurizio Migliavacca, un drappello di big assiste attonito alle proiezioni di Piepoli in tv. D'Alema, Franceschini, Fioroni, Fassino, Veltroni, ma anche lo storico Miguel Gotor, il tesoriere Misiani, il responsabile organizzazione Stumpo. Lo shock arriva quando vengono smentite le prime indicazioni delle regioni che davano il centrosinistra in vantaggio anche in Senato.

«Bisogna verificare bene». Partono le telefonate con le regioni, Franceschini chiama i suoi, lo stesso Migliavacca e Stumpo, tutti cercano di capire se è una bufala o no, si compulsano via via i dati del Viminale. Nei corridoi cala il gelo, in poche ore si passa dagli schemini sul governo e le poltrone già date per certe, come Franceschini al vertice della Camera, D'Alema in predicato per gli Esteri e via dicendo, al dover fare i conti col ciclone di Grillo: forse bisognerà dare a uno di loro la presidenza di Montecitorio, è una delle voci delle otto di sera. «E' cambiato il mondo», dice uno dei presenti, vola qualche battuta sull'inaffidabilità dei sondaggi, tanta amarezza e preoccupazione.

«Se Berlusconi vince il premio alla Camera, elegge il nuovo capo dello Stato...», è una delle paure. L'altra domanda che fuori e dentro il partito circola di bocca in bocca è: ma Bersani si dimetterà? «Neanche per idea, nessuno lo chiede e se rifacciamo il congresso lo vinciamo noi», reagiscono i suoi uomini d'impeto. Mentre in giro per l'Italia già i giovani renziani sottovoce cominciano a recriminare ma si cuciono la bocca per evitare di fare la figura degli sciacalli.

Ma nessuno ha accesso fisico al principale palcoscenico del dramma, la casa romana di Bersani dietro il teatro Valle: dove un leader in totale solitudine, barricato in casa per tutto il pomeriggio, assiste scioccato alle proiezioni, mentre suo fratello Mauro dopo i primi instant poll gongola alla radio , «abbiamo sbiadito il giaguaro», senza sapere cosa sta arrivando. Un leader dipinto dai suoi già di cattivo umore prima della gelata, forse per via di quel fiuto terragno e tutto padano che potrebbe avergli fatto presagire quanto il ciclone Grillo avrebbe azzoppato la sua vittoria.

 

bersanipier luigi bersani PIERLUIGI BERSANI IN PREGHIERA MATTEO ORFINI STEFANO FASSINA jpegBERSANI GIUNTELLA MORETTI SPERANZA ESULTANO CON I PUGNI CHIUSI DARIO FRANCESCHINI Massimo Dalema

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