ENTRO DICEMBRE, CON PRASSI FAST AND FURIOUS, LA CONSULTA SI ESPRIMERÀ SULLE INTERCETTAZIONI DI NAPOLITANO E MANCINO - STABILIRÀ SE DOVEVANO ESSERE DISTRUTTE DALLA PROCURA O DA UN GIP, DEFINENDO I LIMITI DELL’IMMUNITÀ DEL PRESIDENTE - LA PROCURA DI PALERMO SI COSTITUIRÀ IN GIUDIZIO…

M. Antonietta Calabrò per il "Corriere della Sera"

Tempi dimezzati per l'iter del ricorso promosso dal capo dello Stato nei confronti della Procura di Palermo, che intanto ha fatto sapere che si costituirà in giudizio non appena arriverà la notifica dell'atto.

Il presidente della Corte costituzionale, Alfonso Quaranta, ha emesso infatti ieri un proprio decreto con il quale sono stati ridotti i termini del procedimento, vista la delicatezza della materia e anche su istanza dell'Avvocatura dello Stato (che rappresenta il presidente della Repubblica) che ha chiesto «una sollecita» trattazione del caso. Adesso l'Avvocatura dello Stato deve notificare a Palermo la decisione della Corte entro trenta giorni, e dimostrare di averlo fatto alla Cancelleria della Consulta entro i successivi quindici giorni.

Cioè in tempi letteralmente ridotti alla metà della normale prassi. E si può inoltre ragionevolmente ritenere che questi termini massimi saranno abbondantemente ridotti in concreto. Calendario alla mano, ci sono tecnicamente tutti i margini perché la trattazione nel merito da parte dei giudici costituzionali avvenga entro l'inizio di dicembre. Questo tra l'altro permetterà a Quaranta (il cui mandato scade a gennaio) di partecipare alla decisione di merito e di approvare in una successiva camera di consiglio la stesura della motivazione della sentenza.

Il «conflitto» è stato ammesso dalla Corte - si legge nella motivazione dell'ordinanza, depositata ieri - perché, «per quanto attiene all'aspetto soggettivo, la natura di potere dello Stato e la conseguente legittimazione del presidente della Repubblica ad avvalersi dello strumento del conflitto a tutela delle proprie attribuzioni costituzionali sono state più volte riconosciute, in modo univoco, nella giurisprudenza di questa Corte».

Allo stesso modo la Corte ha sempre riconosciuto, «con giurisprudenza costante, la natura di potere dello Stato al pubblico ministero, in quanto investito dell'attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all'esercizio obbligatorio dell'azione penale, cui si connette la titolarità delle indagini a esso finalizzate».

Anche dal punto di vista «oggettivo» il ricorso del capo dello Stato ha tutti gli elementi di legittimazione perché «è proposto a salvaguardia di prerogative del presidente della Repubblica che sono prospettate come insite nella garanzia dell'immunità prevista dall'articolo 90 della Costituzione».

La Consulta è stata chiamata in causa dopo che sono state intercettate alcune conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, la cui utenza era sotto controllo su disposizione dei magistrati palermitani che indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia.

La Corte dovrà stabilire se sia valida l'impostazione da sempre sostenuta dai magistrati, secondo cui, sulla base del codice di procedura penale, solo un gip poteva ordinare la distruzione di quelle registrazioni, o se invece quelle intercettazioni andassero distrutte subito da parte della Procura, come ritiene il Quirinale appellandosi all'articolo 90 della Costituzione sulle tutele presidenziali. O, ancora, se possa esservi un vuoto normativo per quanto riguarda possibili intercettazioni del capo dello Stato e, in particolare, sulle intercettazioni indirette, ossia effettuate casualmente durante controlli che riguardano altri soggetti, come è avvenuto in questo caso.

Secondo l'Avvocatura dello Stato il divieto di intercettazione anche indiretta sarebbe insito nella previsione dell'articolo 90, perché l'immunità prevista dalla norma costituzionale non consisterebbe soltanto «in una irresponsabilità giuridica per le conseguenze penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti dal presidente della Repubblica nell'esercizio delle proprie funzioni, ma anche in una irresponsabilità politica, diretta a garantire la piena libertà e la sicurezza di tutte le modalità di esercizio delle funzioni presidenziali».

Intanto ieri il Consiglio superiore della magistratura si è spaccato sulla partecipazione del Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia a un incontro organizzato dal Pdci. Ingroia ha invece rivendicato il suo diritto-dovere di parlare in incontri organizzati sulla mafia.

 

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpegNICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO ANTONINO INGROIA E FRANCESCO MESSINEO PALAZZO DELLA CORTE COSTITUZIONALEAlfonso QuarantaLORIS DAMBROSIO IN UNA FOTO DEL

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