SIAMO ALLE COLICHE FINALI – IN UN LIBRO FELTRI RICORDA I PROBLEMI INTESTINALI NEL PRIMO INCONTRO COL CAV - “BERLUSCONI? ALL’INIZIO MI ERA ANTIPATICO”

Marco Cremonesi per il "Corriere della Sera"

L'Italia che non vorremmo. E l'Italia che siamo. Quella che si è costruita negli ultimi settant'anni e di cui c'è poco di cui essere orgogliosi, almeno a leggere Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano. Perché il tratto fondamentale del Paese è l'estremismo fazioso che qui da noi non si avvicina mai a riscattare, nemmeno con gli occhi cinici della Realpolitik, le ragioni nobili dell'idea da cui nasce.

È arrivato nelle librerie Una Repubblica senza patria - Storie d'Italia dal 1943 ad oggi (Mondadori) in cui i due giornalisti rileggono gli ultimi decenni di storia nazionale. Una rilettura, come è lecito aspettarsi, tutta da destra. Eppure, nessuno può trarre consolazione dall'affresco dipinto dai due direttori. Perché lo sfondo, il sentimento da cui muove è quello di una montanelliana sfiducia nella possibilità di emendare gli italiani e i loro vizi.

Il libro è diviso in due parti nettamente separate. La prima è affidata a Sangiuliano e ripercorre i decenni fino al 1960. Il vicedirettore del Tg1 è forse più amaro di Feltri, i ritratti che dipinge sono desolanti. Anche quando non prende di mira le doppiezze di Togliatti, «il compagno Ercoli», ben ritratto nel suo rientro in Italia, a Napoli, dopo l'esilio moscovita. Ma il problema non sono i comunisti: sono gli italiani.

All'inizio del settembre del 1943 due agenti segreti americani arrivano nel Belpaese per concordare un aviosbarco Usa che aiuti i militari fedeli ai Savoia a difendere la Capitale: «Si aspettano di trovare interlocutori adeguati, con le idee chiare. La situazione è, invece, ai limiti del ridicolo. Il comandante della difesa di Roma, il generale Carboni, è a una festa; Badoglio dorme e ha dato ordine di non essere svegliato; il generale Ambrosio è a Torino per un trasloco; Roatta è a cena. I due ufficiali alleati vengono intrattenuti da un colonnello che non conosce una parola d'inglese e li tratta da turisti. Il meglio che gli riesce di fare è condurli in un lussuoso ristorante».

La chiave è questa, ben ricesellata nel racconto del generale Giuseppe Castellano che firma la resa italiana agli americani con il futuro direttore della Cia, Walter Bedell Smith: «La sequenza fotografica che ritrae quella firma suscita ancora oggi imbarazzo e vergogna - scrive Sangiuliano -. Castellano si presenta in abiti borghesi, indossa un elegante blazer, con il fazzoletto nel taschino, come si va al circolo per l'aperitivo serale, l'aria è di chi sta vendendo un pezzo di terra dal notaio. Il sua abbigliamento suscita ilarità e una certa pena negli angloamericani».

L'inizio del libro è tutto dedicato a Togliatti, al suo «tradimento» di Gramsci che arriva alla riscrittura - mai pienamente individuata e rimossa - dei Quaderni dal carcere . La parte di Feltri è programmaticamente diversa, il racconto in prima persona di un testimone del suo tempo: «L'Italia che ho visto». Qui, è tutto concentrato sullo sguardo del direttore.

La strategia della tensione continua a essere qualcosa in cui «tutto sommato siamo rimasti ai sospetti». Così come le varie piste nere per le stragi restano qualcosa di credibile fino a un certo punto: il contrasto è tra le organizzatissime formazione comuniste che godono anche di «tacita simpatia collettiva» e i gruppi neofascisti, «magari non innocenti» ma in grado di centrare soltanto «obiettivi più modesti».

Chi potrebbe essere deluso, per paradosso, è il berlusconiano puro. Il ventennio del Cavaliere è infatti riassunto da Feltri soltanto nell'ultimo capitolo. Racconta di come al futuro direttore del Giornale , Berlusconi all'inizio fosse «proprio antipatico»: «A me questo faraone che prende tutto ciò che vuole non può in nessun modo andare a genio».

Attenzione: il racconto è gustosissimo, il Berlusconi giovane salta fuori dalla pagina come in un film. E i problemi intestinali di Feltri al primo incontro con il «faraone» sono un pezzo di commedia all'italiana che davvero val la pena di leggere. Però, nel contesto di una rilettura della storia d'Italia recente, il bozzetto riservato a colui che, nel bene e nel male, dell'ultimo ventennio è stato protagonista indiscusso potrebbe lasciare una sensazione di non sazietà.

 

 

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