FENOMENOLOGIA DEL DITO MEDIO - UN LIBRO DI CORRIAS, PEZZINI E TRAVAGLIO RACCONTA LE TRE VITE DI UMBERTO BOSSI: DALLA POLVERE ALLE STELLE E RITORNO - “L’ILLUSIONISTA” DELLA PADANIA INVENTO’ UNA NUOVA LINGUA POLITICA FATTA DI INVETTIVE, INSULTI, PERNACCHIE, GESTACCI E CHIAMATE ALLE ARMI - LA CANOTTIERA E IL TROTA - SI ATTRIBUI’ ANCHE LA PROTEZIONE DI UN DIO, CON TANTO DI AMPOLLA…

È in libreria "L'illusionista" di Pino Corrias, Renato Pezzini e Marco Travaglio, edito da Chiarelettere. Il testo racconta l'ascesa e il declino dell'ex leader della Lega Nord. Pubblichiamo una parte dell'introduzione.

Pino Corrias, Renato Pezzini e Marco Travaglio per "il Fatto quotidiano"

Umberto Bossi ha avuto tre vite. La prima è stata uno spasso, la seconda un trionfo, la terza una tragedia. È venuto su nel verde assoluto di Soiano, frazione di Cassano Magnago, provincia agricola di Varese, quando ancora c'erano i carri trainati dai buoi, l'acqua si prendeva dal pozzo e il granturco asciugava nelle aie al sole. Per quarant'anni ha impiegato il tempo sgocciolandolo via senza curarsene troppo.

"Mai studiato in vita sua, mai lavorato un giorno" dicono di lui i paesani. Ma si sbagliano, quel disfare è stato il suo apprendistato. Compresa la mitica Scuola Radio Elettra di Torino - "Fu la prima tappa nella mia marcia di avvicinamento alla cultura" -, che in realtà fabbricava diplomi per corrispondenza e alibi per gli studenti più svogliati. E poi i lavori da due lire, il barista, il fattorino, l'installatore di antenne, l'impiegato all'Aci, il supplente, l'infermiere, il finto medico, persino il cantante.

E nei mesi da disoccupato, battitore libero dei biliardi di zona, ad assorbire le chiacchiere da nulla degli amici e degli avventori al bancone, che poi sono il racconto quotidiano di quella terra, di quella gente - fatto con parole semplici: la famiglia, la casa, i figli, le donne, le tasse, i meridionali, il lavoro - che ha ascoltato nei bar e nelle bocciofile di Cassano, di Samarate, di Besnate, su fino a Sesto Calende, dove il cielo d'alta Lombardia entra nel Lago Maggiore e i piccoli sogni dei laghée diventano la malinconia del tempo immobile che fugge.

Da laggiù Umberto Bossi ha scalato Roma e poi l'Italia intera nominandosi guerriero del Nord, narratore di una rivoluzione sempre imminente, di una battaglia che non si vedeva ancora a occhio nudo ma che lui sentiva nel pugno e nel cuore. Una lotta che nei primissimi anni della sua marcia gli capitava di dettare ai fogli del ciclostile in forma di vaticinio, anzi di minaccia: "Si avvicina l'anno del Samurai, quando la Lega taglierà la gola al Sistema da orecchio a orecchio". Così, straparlando da finto guerriero, finì per trovarsi un vero esercito di delusi disposto a seguirlo. E, seguendolo, a infiammarsi.

Da quella polvere di parole - "Basta! È il momento di liberare la Lombardia dalla vorace e soffocante egemonia del governo centra-lista di Roma ladrona!" - Bossi ha inventato una nuova lingua politica fatta di punti esclamativi, invettive, insulti, semplificazioni di massima efficacia compresa la pernacchia, il gestaccio, la chiamata alle armi per la "lotta di liberazione da Roma!". Ha inventato uno stile, battezzato barbarico, che esibiva le giacche stazzonate e la canottiera come simbolo di purezza popolana, e il dito medio come scettro del nuovo Regno che avrebbe liquidato il vecchio.

Ha inventato un territorio da difendere e uno da sconfiggere: il primo immaginario, la Padania, il secondo tanto vero da coincidere con lo Stato unitario. Si è attribuito la protezione di un dio che scorre nel Grande Fiume e nell'Ampolla. La titolarità di un colore sacro, il verde della Pianura. Un inno con cui commuoversi, un destino da condividere. E anche se il destino era fatto con gli elastici del rancore sociale, lo spago della rivolta antitasse e la vernice spray con cui di notte, per anni, ha disegnato sui cavalcavia della pedemontana le lettere immense e bianche di lega nord, a certificarne un'esistenza almeno visiva, quattro milioni di italiani adulti gli hanno creduto.

Perché comunque quel destino immaginario e immaginifico era meglio del nulla che passava la vecchia Italia dei partiti e dei Palazzi, dell'assistenzialismo meridionalista e del pubblico impiego fannullone. Perché sollecitava un ideale puro, la "Libertà del Popolo!", che sembrava più attraente delle vuote promesse della politica. Perché i partiti sguazzavano negli scandali, mentre la gente annegava in un mare di tasse pagate senza vantaggio.

Perché quel destino era una identità. Era l'idem sentire che tornava a declinarsi coerente ai vincoli del sangue e del suolo, negli stessi anni in cui l'economia globale, governata dai misteriosi poteri forti che sovrastano persino gli Stati centralisti, quei vincoli iniziava a triturarli, mischiando geografia e culture, cancellando orizzonti antichi, abitudini, sicurezze, tradizioni, fino a trasformare la lingua e il territorio. La prima minacciata dall'arrivo dei forestieri, "prima i terroni, poi gli africani", che la corrompevano fino a renderla irriconoscibile.

Il secondo alterato dalle speculazioni, dalla crescita sregolata, oppure malamente abbandonato, e comunque violentato fino a sfigurarlo, a renderlo spesso ostile, se non addirittura estraneo. Al punto da innescare quella furente malinconia che genera lo spaesamento, quella paura orizzontale, quotidiana, di chi non si sente più, come ai bei tempi andati, "padrone a casa propria". Per dissigillare quei tempi andati Bossi ha promesso la chiave. Affidandola alle avanguardie del risarcimento, i militanti della Lega, detta anche la Potentissima, l'Imbattibile, la Padrona del Nord.

Il territorio e la lingua sarebbero stati restituiti ai legittimi proprietari: il popolo. E anche l'anima, anche lo spirito: un immenso conguaglio politico che aveva bisogno di una sola parola magica per diventare vero, bastava pronunciarla e pronunciarla bene, scandendo le sillabe come nei mantra: "Fe-de-ra-li-smo!".

Elezione dopo elezione, dai 186.255 voti raccolti nel 1987, passando ai 3,4 milioni del 1992, fino ai 4 milioni e rotti del 1996, Bossi ha trasformato quel primo movimento di eccentrici, fabbricato con gli scampoli del vecchio autonomismo regionale, nel più dinamico tra i nuovi partiti della Seconda repubblica e il quarto per consistenza numerica. Capace di diventare la compatta colonna della destra di governo, la dura guarnigione della protesta al Sistema e infine il caposaldo del berlusconismo trionfante - anni 2001-2006 -, che è stato insieme l'apogeo della sua storia e l'inizio del suo declino.

 

bossi umberto UMBERTO BOSSI jpegBOSSI UMBERTO UMBERTO BOSSI Umberto BossiUmberto BossiBOSSI UMBERTO BOSSI NEL NOVANTACINQUE jpegUMBERTO BOSSI CON L AMPOLLA DEL PO jpegUMBERTO BOSSI IN CANOTTIERA jpeg

Ultimi Dagoreport

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA LITIGIOSA DINASTIA DEL VECCHIO? RISPETTO ALLO SPARTITO CHE LO VEDE DA ANNI AL GUINZAGLIO DI UN CALTAGIRONE SEMPRE PIÙ POSSEDUTO DAL SOGNO ALLUCINATORIO DI CONQUISTARE GENERALI, IL CEO DI DELFIN HA CAMBIATO PAROLE E MUSICA - INTERPELLATO SULL’OPS LANCIATA DA MEDIOBANCA SU BANCA GENERALI, MILLERI HA SORPRESO TUTTI RILASCIANDO ESPLICITI SEGNALI DI APERTURA AL “NEMICO” ALBERTO NAGEL: “ALCUNE COSE LE HA FATTE… LUI STA CERCANDO DI CAMBIARE IL RUOLO DI MEDIOBANCA, C’È DA APPREZZARLO… SE QUESTA È UN’OPERAZIONE CHE PORTA VALORE, ALLORA CI VEDRÀ SICURAMENTE A FAVORE” – UN SEGNALE DI DISPONIBILITÀ, QUELLO DI MILLERI, CHE SI AGGIUNGE AGLI APPLAUSI DELL’ALTRO ALLEATO DI CALTARICCONE, IL CEO DI MPS, FRANCESCO LOVAGLIO - AL PARI DELLA DIVERSITÀ DI INTERESSI BANCARI CHE DIVIDE LEGA E FRATELLI D’ITALIA (SI VEDA L’OPS DI UNICREDIT SU BPM), UNA DIFFORMITÀ DI OBIETTIVI ECONOMICI POTREBBE BENISSIMO STARCI ANCHE TRA GLI EREDI DELLA FAMIGLIA DEL VECCHIO RISPETTO AL PIANO DEI “CALTAGIRONESI’’ DEI PALAZZI ROMANI…

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO