UN MINISTRO DI TERZ’ORDINE CON UN PREMIER FIFONE

1. LE AMBIZIONI MESCHINE DI TERZI - SI DIMETTE TARDI E SCARICA LA COLPA SUI SUOI COLLEGHI PER FARSI BELLO CON IL PDL
Da "Il Foglio"

L'ultimo capolavoro di Giuliomaria Terzi di Sant'Agata sono le sue dimissioni fuori tempo, fuori luogo e fuori misura. Poteva fare decentemente questo suo passo, ma un mese fa, forse prima, quando a tutti gli osservatori - e alle sue prime vittime, i due Marò appena rispediti in India - era ormai chiara la sua incapacità di gestire con fermezza e coraggio un difficilissimo dossier internazionale.

Terzi non ha saputo difendere i Marò dalle intemperanze giudiziarie di Nuova Delhi, non ha mai dato l'impressione di voler agire con forza nelle sedi opportune per sbloccare lo stallo, non si è vergognato d'aver preso (anzi fatto prendere al nostro ambasciatore in India, Daniele Mancini) un impegno scritto sulla restituzione dei fucilieri al termine della licenza elettorale; poi ha tradito in modo spettacolare quella parola, ma si è subito spaventato quando gli indiani hanno costretto alla libertà vigilata Mancini, per ritorsione. Risultato: umiliazione planetaria per l'Italia, sofferenza e solitudine per i Marò reclusi in India, la Farnesina ridotta al rango di una bottega levantina.

Ieri, infine, Terzi s'è dimesso davanti al Parlamento. La sua è stata l'ennesima dimostrazione disonorevole, in omaggio alla peggiore iconografia dell'italiano che fugge da se stesso, dalla propria responsabilità, e nel suo caso anche dal larvale governo Monti (senza preavviso e con tanto di occhiolino strizzato in Aula al centrodestra, con cui non erano mancati contatti maliziosi nei mesi scorsi).

Terzi non ha detto: ho sbagliato, me ne vado, scusate se lo faccio in ritardo. No, ora esprime la sua "riserva per la decisione" sui Marò, lamenta che la sua voce "è rimasta inascoltata" e prova a scaricare la colpa sul premier e sul suo collega Giampaolo Di Paola, ministro della Difesa, che almeno alla corrività in questa turpe vicenda non ha voluto aggiungere l'ipocrisia. Tutti a casa, era il nostro auspicio: Terzi, Di Paola e il goffo De Mistura. L'ex inquilino della Farnesina ha scelto la via più meschina.


2. LA PARABOLA A OSTACOLI DEL NOBILE TECNICO
Alessandro Ferrucci per "il Fatto Quotidiano"

Una Harley Davidson 883 in garage. Nel tempo libero i completi e le scarpe di cuoio restano nell'armadio. Meglio jeans e sneakers, è giovanile. Quindi un "sorriso contagioso" (ipse dixit) e la certezza di poter contribuire "alla salvezza dell'Italia e dell'euro".

Così, nel settembre 2012, il settimanale Sette del Corriere della Sera descriveva Giulio Terzi di Sant'Agata, con tanto di copertina. Questa la sua unica e più importante conquista diplomatica (di concerto con il consigliere per l'immagine Luca Poma, per lui un contratto da 90 mila euro) in un anno e passa da ministro degli Esteri. Per il resto una lunga, lunghissima serie di gaffe, incomprensioni con i collaboratori e i colleghi di governo, proteste interne alla Farnesina, scioperi. Figuracce internazionali.

Schivo, ambizioso, sospettoso quanto serve, discendente da una nobile famiglia bergamasca, ha sotto l'albero dei titoli una prolifica serie di "conte", "barone", "cavaliere", "signore" tanto da giustificare in pieno il "di" minuscolo nel cognome, al quale tiene molto. Articolata la sua esperienza diplomatica, giocata tra Nato, Medio Oriente, Africa, Washington e New York, ma soprattutto Israele: è lui ad aver organizzato la visita a Gerusalemme di Gianfranco Fini, quando l'allora leader di An disse "fascismo male assoluto".

Da lì fu amicizia stretta tra i due, tanto far impuntare l'ex presidente della Camera al momento della nascita del governo Monti: "Va bene, rinuncio a questo, quest'altro e quest'altro ancora (chiedere a Umberto Croppi, in pole per il Mibac, poi più nulla). Ma Giulio deve andare alla Farnesina". Accontentato.

Peccato che gli bastino pochi mesi per rompere l'idillio con stampa e affini: Panorama e Dagospia lo pizzicano mentre la collaboratrice filippina accompagna i figli, gemelli, a scuola con l'auto blu. Settecento metri la distanza percorsa, "ma solo per tre volte", come prontamente fanno sapere i suoi collaboratori. Scene di ira del ministro dentro le stanze della Farnesina, al grido "come osano!".

A contribuire nel placare gli animi, un altro diplomatico di lunga percorrenza come Placido Vigo, già ambasciatore a Panama ai tempi di Valterino Lavitola, considerato uomo chiave per gli affari nel paese dello Stretto (come raccontano le intercettazioni), ma nonostante tutto nominato capo della segreteria. Ruolo di assoluto prestigio. Però nell'esecutivo di Monti iniziano a crescere i dubbi rispetto alla nomina.

Così, appoggiato da Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio decide di non affidare a Terzi le due deleghe più importanti: la "Cooperazione", poi finita ad Andrea Riccardi e le "Politiche europee" assegnate ad Enzo Moavero. Come a dire: limitiamo i danni. Ma anche così non è andata una meraviglia. Nei palazzi ufficiali davanti allo stadio Olimpico "non si sono mai viste tante proteste come in questo ultimo anno: tutti i giorni alle 12 un picchetto davanti alla sua stanza", raccontano le rappresentanze sindacali, "ma non ci ha mai voluto incontrare, restava assediato lì dentro". Tanto da "costringerlo" ad affittare una celebre villa capitolina per incontrare la delegazione messicana in un appuntamento ufficiale.

Ultimi Tempi. Nell'ordine: è stato sorpassato, o escluso, dal voto sul riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite. Però è riuscito a far nominare il suo capo di gabinetto nella sede di Ottawa in Canada, e il suo portavoce a capo della sede di Belgrado. Infine il "gioiello" legato alla vicenda-marò.

Dopo la decisione di farli restare in Italia è corso a incontrare Silvio Berlusconi al Circolo degli Scacchi per accreditarsi con il centrodestra, sempre meglio avere un amico potente, vista la sorte di Fini. Ma è andata male. Tutto è crollato, compreso il suo umore già provato da questo lungo anno. Dal presidente della Repubblica è stato salutato con qualche rimpianto per la scelta. Mentre da destra pensano a lui come candidato sindaco nella sua Bergamo.

 

Giulio Terzi DANIELE MANCINI DANIELE MANCINI TRA SALVATORE GIRONE E MASSIMILIANO LATORRE jpeg1 ammiraglio giampaolo dipaolaDE MISTURAGIULIO TERZI E GIANFRANCO FINI Giorgio Napolitano MARIO MONTI E ENZO MOAVERO

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