1. I CONTROLLI SU TELEFONATE E COMUNICAZIONI TELEMATICHE RIGUARDANO ANCHE L’ITALIA. CHIAMATE, EMAIL, SMS: DIETRO IL PARAVENTO DELLA SICUREZZA NAZIONALE GLI STATI UNITI HANNO ACQUISITO MILIONI DI DATI CHE RIGUARDANO NOSTRI CONCITTADINI 2. CLAUDIO FAVA, PARLAMENTARE SEL DEL COPASIR: “I SERVIZI USA CI HANNO SPIEGATO CHE IL LORO SCRUPOLO PRINCIPALE È RISPETTARE LE LEGGI AMERICANE SULLA PRIVACY E INTERVENIRE A TUTELA DELLA SICUREZZA DEL PAESE. CHE TUTTO QUESTO CONFLIGGA CON LE LEGGI NAZIONALI DI PAESI ALLEATI È UN PUNTO DI VISTA CHE LORO NON HANNO” 3. LA VENDETTA CONTRO L’OBAMA-SPIA SI CHIAMA GLENN GREENWALD: CONFIDENTE DI SNOWDEN, È IL REGISTA DELL’OFFENSIVA DI RIVELAZIONI CHE SI PROPONE DI INNESCARE CONTRO L’AMERICA UN DOMINO DI CRISI INTERNAZIONALI ED ORA PROTAGONISTA DI UN’AVVENTURA DIGITALE DA 250 MILIONI DI DOLLARI, PAGATA DAL FONDATORE DI EBAY, CHE ‘’SI PROPONE DI RIDISEGNARE IL RAPPORTO FRA GOVERNI, GRANDE STAMPA E INFORMAZIONE’’

1 - EMAIL, SMS, CONVERSAZIONI: INTERCETTATA ANCHE L'ITALIA IL COPASIR VUOLE CHIAREZZA
Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

I controlli su telefonate e comunicazioni telematiche riguardano anche l'Italia. Chiamate, email, sms: dietro il paravento della sicurezza nazionale gli Stati Uniti hanno acquisito milioni di dati che riguardano nostri concittadini. La conferma è arrivata circa tre settimane fa, quando una delegazione di parlamentari del comitato di controllo sui servizi segreti è stata in missione negli Usa.

In quei giorni, durante gli incontri con i direttore delle agenzie di intelligence e i presidenti delle commissioni del Congresso, si è avuta la certezza di un monitoraggio ad ampio spettro. E adesso il vertice del Copasir chiede chiarimenti al governo. L'occasione è già fissata per domani pomeriggio quando a Palazzo San Macuto arriverà il sottosegretario delegato Marco Minniti.

Le informazioni acquisite dal Comitato si riferiscono al funzionamento del sistema di sorveglianza Prism, ma più in generale attengono ad un vero e proprio monitoraggio cominciato da anni e tuttora attivo. Una raccolta di dati sensibili che a questo punto anche i nostri Servizi segreti non possono più negare, sia pur ribadendo come si sia di fronte ad acquisizioni che «hanno come unico obiettivo l'attività dell'antiterrorismo». Tanto che una fonte dell'intelligence ribadisce: «Non abbiamo mai avuto alcuna evidenza che questo tipo di controllo abbia potuto riguardare lo spionaggio politico nei confronti di autorità o personalità italiane. Tutte le nostre verifiche su una simile eventualità hanno dato esito negativo».

È una posizione che lascia perplessi i parlamentari del Copasir. Lo dice senza mezzi termini Claudio Fava, di Sel, inserito nella «missione» statunitense, quando ricorda le parole del vicedirettore del Nsa sulla necessità di avere «un quadro completo delle comunicazioni da e per gli Stati Uniti». E aggiunge: «È un sistema di raccolta a strascico in base ad alcuni sensori. I vertici dei Servizi Usa ci hanno spiegato che il loro scrupolo principale è stato quello di rispettare le leggi americane sulla privacy e intervenire a tutela della sicurezza del Paese. Che tutto questo confligga con le leggi nazionali di Paesi alleati è un punto di vista che loro non hanno, ma che noi dovremmo avere».

Nei mesi scorsi si era parlato anche di spionaggio dell'ambasciata italiana a Washington e, sia pur in via ancora informale, gli 007 italiani smentiscono che questo sia mai avvenuto. Ma non basta, perché - come puntualizza il componente del Pd del Copasir, Felice Casson - «le risposte che abbiamo avuto dai vertici delle nostre strutture non sono affatto tranquillizzanti e l'audizione del sottosegretario Minniti dovrà servire proprio a pretendere maggiore chiarezza sulla posizione del nostro governo. Appare evidente che gli Stati Uniti abbiano acquisito informazioni su persone e autorità in tutta Europa. Quali elementi concreti esistono per escludere che questo non sia accaduto anche nei confronti dei politici e delle autorità del nostro Paese?».

Dalla direzione del Partito democratico è Ettore Rosato a chiedere chiarimenti al governo, «visto che nei mesi scorsi, quando arrivarono le prime rivelazioni sul "Datagate" sia il presidente Enrico Letta, sia il ministro degli Esteri Emma Bonino, mostrarono stupore per quanto era trapelato». La sensazione è che in realtà, sopratutto negli anni di massima collaborazione tra 007 italiani e statunitensi in materia di terrorismo, con la ricerca comune degli ostaggi occidentali nelle zone di guerra come l'Iraq e l'Afghanistan, e la condivisione delle comunicazioni attraverso il sistema di intercettazione Sigint, l'Italia sia stata informata di questa raccolta di dati.

E poi sia stato dato per scontato il proseguimento di questa attività, senza sollevare questioni particolari sulla natura dei dati acquisiti.
Una prassi che, dopo quanto sta accadendo in Francia, appare difficile da sostenere ulteriormente. Infatti, sarebbero già stati presi contatti informali tra le varie agenzie spionistiche proprio per verificare l'esistenza di casi particolarmente sensibili e quindi su possibili ulteriori ripercussioni della vicenda in tutta Europa.

2 - COSÌ GREENWALD FA LITIGARE L'AMERICA CON I SUOI ALLEATI
Maurizio Molinari per "la Stampa"

Autore degli scoop del Datagate, confidente di Edward Snowden, depositario dei segreti della sorveglianza elettronica e protagonista di un'avventura digitale da 250 milioni di dollari che si propone di ridefinire la galassia dei media: è Glenn Greenwald il regista dell'offensiva di rivelazioni che si propone di innescare contro l'America un domino di crisi internazionali.

Il blogger americano, classe 1967, firma gli scoop sulle rivelazioni di Snowden seguendo una tabella mirata a creare i maggiori imbarazzi all'amministrazione Usa: l'intervista all'ex analista dell'intelligence fuggito a Hong Kong arriva pochi giorni dopo il summit Obama-Xi in California che voleva rilanciare il dialogo con la Cina, la pubblicazione sul massiccio spionaggio elettronico ai danni di Gran Bretagna e Germania coincide con l'arrivo di Barack Obama in Europa per il summit G8 in Irlanda del Nord e la visita a Berlino, le rivelazioni sulle intercettazioni delle e-mail di leader politici ed economici di Brasile e Messico avvengono all'inizio del G20 di San Pietroburgo e adesso l'articolo di «Le Monde» su milioni di francesi spiati coincide con lo sbarco del Segretario di Stato John Kerry a Parigi.

Per Julian Assange, fondatore di Wikileaks, Greenwald è un «eroe della libertà di stampa», mentre Alan Dershowitz, giurista di Harvard, lo considera «un criminale che odia il proprio Paese» ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che è lui ha essere diventato il regista del Datagate. Confidente di Snowden al punto da raccoglierne le prime rivelazioni e da gestire i documenti segreti che non ha portato con sé nell'esilio moscovita, Greenwald gioca tre partite parallele da Rio de Janeiro, dove vive cambiando in continuazione tetto, numeri di telefono ed e-mail.

La prima, e più pungente, sono le rivelazioni tese a innescare crisi diplomatiche a ripetizione per l'amministrazione Obama - i cui risultati più lampanti finora sono arrivati con la cancellazione del viaggio del presidente brasiliano Dilma Rousseff a Washington e l'irritazione dell'Eliseo contro l'ambasciatore Usa - ma la seconda è più costante e invasiva perché si sviluppa sui mezzi di informazione americani.

Greenwald è ovunque: intervistato nei talk show dei maggiori network, citato dai blogger più seguiti, ripreso dai quotidiani più diffusi. Se Snowden è obbligato a tacere dagli accordi raggiunti con Mosca e Assange combatte contro l'estradizione dalla sede del consolato ecuadoriano di Londra, Greenwald domina l'etere e il Web, li difende a spada tratta e si trasforma nel paladino della galassia di sigle della protesta contro le violazioni della privacy garantita dalla Costituzione.

Ma non è che l'inizio perché Henry Farrell, docente di politica e Internet alla George Washington University, assicura che «la sfida più importante di Greenwald è quella che sta per iniziare». La scelta di lasciare il britannico «Guardian», per cui lavorava, si deve infatti all'impegno del fondatore di eBay Pierre Omidyar di stanziare 250 milioni di dollari della propria fortuna personale per creare un media digitale «che si propone di ridisegnare il rapporto fra governi, grande stampa e informazione» assicura il politologo.

La decisione di arruolare Laura Poitras, autrice del primo video a Snowden, e Jeremy Scahill di «The Nation» lascia intendere la volontà di creare una task force capace di trasformare in una sfida giornalistica globale le massicce fughe di notizie governative che Assange ha inaugurato e Snowden continuato, dimostrando la vulnerabilità dei segreti nell'era dell'informazione digitale. La scommessa di Greenwald è riuscire a generare conoscenza di massa violando le regole che finora hanno governato i rapporti fra potere politico e mezzi di informazione.

 

 

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