1- NELLA PARTITA A SCACCHI AVVELENATI SULLA BANCA VATICANA SI ASSISTE A UNA MOSSA A SORPRESA: LIN-GOTTI TEDESCHI FA GIRARE UNA MAIL IN CUI CHIEDE CONSENSO ATTORNO ALLA CREAZIONE DI UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA (O UN COMMISSARIO) SUL SUO CASO 2- PER ERRORE (?) UNA COPIA DELL’APPELLO È FINITA OLTRETEVERE, PORPORATI INCAZZATI 3- I PM DI NAPOLI VOGLIONO CAPIRE COSA C’È NEI 47 FALDONI SEQUESTRATI A GOTTI, QUELLI DI ROMA INDAGANO SU PRESUNTI EPISODI DI RICICLAGGIO COMPIUTI DALLA BANCA DI DIO E LA SANTA SEDE AVVISA IL GOVERNO CHE PER L'UTILIZZO DI OGNI DOCUMENTO CHE RIGUARDI LO IOR SIA NECESSARIO PRESENTARE RICHIESTA DI ROGATORIA 4- TRAPANI E TREPPIEDI: I DUE PRELATI SONO MOLTO POTENTI E VENDERANNO CARA LA PELLE

1- GOTTI TEDESCHI FA GIRARE UNA MAIL IN CUI CHIEDE CONSENSO PER LA CREAZIONE DI UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL SUO CASO
Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

«Ricevo questo suggerimento che mi pare sensato: quello che puoi fare è creare un consenso perché si chieda a gran voce una commissione di inchiesta (o un commissario) sul caso Gotti Tedeschi». È il testo di una mail fatta circolare nell'entourage del banchiere il 4 giugno scorso, due giorni dopo la ratifica del licenziamento da presidente dello Ior. La missiva - che lo stesso Gotti ha a sua volta spedito per cercare consenso all'iniziativa - è allegata agli atti sequestrati per ordine della magistratura di Napoli e in parte trasmessi ai colleghi della capitale.

E dimostra a quale livello sia arrivato lo scontro sulla gestione dell'Istituto opere religiose. Anche perché qualcuno dei destinatari avrebbe girato copia della mail alle alte gerarchie ecclesiastiche contribuendo a infuocare ulteriormente la battaglia esplosa con la destituzione di Gotti avvenuta il 24 maggio, lo stesso giorno dell'arresto del maggiordomo del Papa Paolo Gabriele.

Non si placa la polemica per quanto sta accadendo all'interno delle mura vaticane e nuovi sviluppi arriveranno nei prossimi giorni, quando i magistrati potrebbero interrogare nuovamente il banchiere che ha già mostrato la propria volontà di collaborare. Ma soprattutto quando sarà fatto l'inventario dei 47 faldoni sottoposti a sequestro durante la perquisizione disposta dai pubblici ministeri partenopei. La documentazione è stata sigillata e sarà visionata alla presenza del banchiere e del suo legale Fabio Palazzo.

Poi si deciderà quali atti allegare al fascicolo di inchiesta, anche tenendo conto della presa di posizione delle autorità vaticane che venerdì scorso, con una nota ufficiale, hanno sottolineato di «riporre nell'autorità giudiziaria italiana la massima fiducia che le prerogative sovrane riconosciute alla Santa Sede dall'ordinamento internazionale siano adeguatamente vagliate e rispettate». Una sorta di altolà per evidenziare come per l'utilizzo di ogni documento che riguardi lo Ior sia necessario presentare richiesta di rogatoria.

L'indagine dei magistrati romani è concentrata su presunti episodi di riciclaggio compiuti facendo transitare flussi di denaro di provenienza illecita su conti dello Ior intestati a preti e suore. Le verifiche affidate al nucleo Valutario della Guardia di finanza riguardano oltre dieci «operazioni sospette» segnalate dall'Uif, l'Ufficio di informazione finanziaria della banca d'Italia.

E proprio ieri il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone ha preso contatto con il collega di Trapani Marcello Viola, titolare di un'inchiesta che riguarda ammanchi dalle casse delle Curia cittadina e movimentazioni di soldi sui due conti dello Ior intestati a don Ninni Treppiede, che per anni ha gestito il settore finanziario. Proprio qualche giorno fa è arrivata una richiesta di rogatoria in Vaticano per poter accedere ai depositi e adesso si attende la risposta delle autorità ecclesiastiche.

Su tutto questo la testimonianza di Ettore Gotti Tedeschi potrebbe rivelarsi preziosa. Nel memoriale che gli è stato sequestrato la scorsa settimana il banchiere sottolinea i timori per la propria vita e soprattutto ricostruisce con mail, lettere e altri documenti lo scontro interno allo Ior dichiarando di essere stato osteggiato quando ha cominciato a manifestare la propria volontà di rendere trasparenti le procedure e soprattutto quando ha mostrato interesse per i conti intestati a personalità laiche, dunque politici, funzionari, faccendieri. Una versione categoricamente smentita dal direttore generale Paolo Cipriani. E tanto basta per capire che questa storia è soltanto all'inizio.


2- TRAPANI E TREPPIEDI - LA GUERRA DI SOLDI E AFFARI NELLA DIOCESI SICILIANA È APPENA COMINCIATA
Giacomo Galeazzi per "La Stampa"

All'apparenza è un intrigo di potere locale, in realtà è uno scontro nel cuore del potere vaticano. Con tanto di maggiorenti Cei e cardinali di Curia schierati per l'una o l'altra parte. Nella devastante faida di Trapani tra il vescovo defenestrato Micciché e l'economo ribelle don Treppiedi entrano in campo fazioni ecclesiastiche e santi in paradiso.

Nel decreto in cui si stabilisce la "sospensione dal sacro ministero", il 20 febbraio, la Congregazione per il clero ritiene provata la responsabilità di don Antonino Treppiedi per il "mancato rendiconto" di gestione con "particolare riferimento a due assegni bancari di 97mila e 50mila euro". Per la Santa Sede "l'ostinata contumacia del reo" e la "speciale gravità della violazione" esige "l'urgente necessità di riparare lo scandalo dei fedeli".

Ma don Treppiedi non accetta la sanzione e così è lo stesso ministro del Clero, cardinale Mauro Piacenza a scrivere il 31 maggio al sostituto di Micciché, l'arcivescovo Plotti, per
ribadirgli che "la censura della sospensione al sacerdote è immediatamente esecutiva ed efficace". Malgrado ciò l'avvocato di don Treppiedi sostiene ancora che il provvedimento è congelato da un ricorso.

Intanto le carte vaticane e quelle dei magistrati di Trapani descrivono un vortice infernale di rogiti, mutui, operazioni finanziarie. Più che una diocesi quella di Trapani sembra un'agenzia immobiliare a doppio fondo. "Noi fedeli speriamo solo che torni la quiete dopo la tempesta, ci sono già tanti problemi qui e i preti dovrebbero risolverli non creali di ulteriori", taglia corto davanti alla statua di Garibaldi, Milena Accardi. A giudicare dalle "munizioni" in campo non c'è da essere ottimisti.

Una sequela di vendite, passaggi di mano, trasferimenti, come la cessione a prezzi stracciati della canonica della parrocchia del Rosario. Secondo la procura, Micciché era sempre all'oscuro di tutto, persino che don Treppiedi aveva svenduto la canonica a un suo fedelissimo. Tutto alle spalle del vescovo. Anche il convento di Alcamo affidato dalle suore al sacerdote. L'inchiesta della procura, che aveva prima innescato il 7 giugno 2011 l'invio del «visitatore apostolico» Mogavero e a metà maggio la rimozione del vescovo Micciché, riguarda ufficialmente un ammanco di denaro nella fase di incorporazione da parte della fondazione «Auxilium» di un'altra fondazione gestita dalla Curia, la «Campanile».

Sullo sfondo come nella tradizione dei "pupari" siciliani si muovono, però, ingombranti padrini. Micciché deve molto della sua carriera al discusso arcivescovo Cassisa, sotto la cui guida la diocesi di Monreale divenne epicentro di veleni e bufere di mafia. Treppiedi da parte sua ha parentele e amicizie influenti tra porporati e politici. In Sicilia come a Roma è guerra di nervi e di calunnie.

Malaffare, scandali sessuali, nepotismi, sodalizi con "uomini d'onore". Ogni arma è buona pur di danneggiarsi. Qui la Chiesa conta ancora tanto: nelle urne, nei cda delle banche, tra la gente che affolla il porto e i paesi barocchi. Non è un caso che per "pacificare" quest'angolo indocile della Sicilia la Santa Sede abbia speso l'influenza della Cei delegando l'ex vicepresidente (Plotti) e l'ex sottosegretario (Mogavero).

Malgrado ciò la guerra è tutt'altro che terminata. In primo piano e sotto traccia si combattono poteri più o meno occulti e si regolano partite che poco hanno a che fare con la Chiesa. Micciché ha pronte le valigie per ritirarsi a Monreale. Prima però ha preteso il timbro del cancelliere della diocesi sul passaggio delle consegne. Ha voluto che fosse certificato che lascia la cattedra con un bilancio economico in attivo. Da qui in avanti la "ditta" non è più affar suo. Se qualcuno ha gestito i conti delle parrocchie come se fossero conti personali sarà la magistratura ad appurarlo.

Di certo la trentina di beni immobili dati in pasto per quattro soldi agli "amici" tra Calatafimi e Alcamo non torneranno nella disponibilità della Curia. Autorizzazioni a vendere contraffatte, versamenti degli assegni "sviati", inusuali modalità di pagamento vengono riassunte dai magistrati nella definizione di "polpetta avvelenata" servita personalmente dal sacerdote al proprio vescovo. Domani in procura i magistrati avranno modo di sentire dall'economo ribelle le ragioni di ciò che mesi di perquisizioni e indagine ritraggono come un gigantesco assalto alla diligenza. Poi toccherà alla Santa Sede rispondere alla rogatoria per chiarire chi siano i veri titolari dei conti trapanesi allo Ior.

 

 

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